Laggiù qualcuno mi ama

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Un film di Mario Martone. Con Massimo Troisi Documentario, Ratings: Kids+13, durata 128 min. - Italia 2023. - Medusa uscita giovedì 23 febbraio 2023. MYMONETRO Laggiù qualcuno mi ama * * * 1/2 - valutazione media: 3,80 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Un film su Troisi per certi versi necessario Valutazione 4 stelle su cinque

di darkglobe


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domenica 26 febbraio 2023

Sono appena uscito da una sala dove proiettavano Laggiù qualcuno mi ama, ultimo lavoro di Martone dedicato a Massimo Troisi a 70 anni dalla sua nascita. Il titolo parafrasa la celebre opera di Robert Wise e il "laggiù" è un chiaro riferimento alle origini dell’artista.

Il nuovo lavoro di Martone è una sorta di docufilm, materiale assai viscido con cui si corre il rischio della noia, della celebrazione acritica o della incompletezza, aspetto quest’ultimo che mi lascia sempre piuttosto perplesso in merito all’efficacia di questo tipo di operazioni produttive. Il regista napoletano evita però abilmente tali rischi, il che conferma la convinzione di chi scrive sulla sua notevole crescita professionale ed artistica; Martone ricorre infatti ad un abile montaggio fatto di annotazioni personali, stralci di film ed altro materiale d’archivio inedito, arricchito da interviste a personaggi celebri che non avevano rapporti diretti con Troisi, di cui alcuni ammettono di essere stati da lui influenzati come attore e come regista.
Laggiù qualcuno mi ama - voce narrante dello stesso Martone - introduce il cinema di Troisi azzardando un paragone tra il suo percorso artistico e quello di Truffaut e della Nouvelle Vague. In effetti la forza dirompente ed innovativa di Troisi è nella capacità di aver saputo smontare e ricostruire un certo modo di fare cinema in Italia, pieno zeppo di stanchi e patetici stereotipi, portando sul grande schermo frammenti reali di vita ovvero disagi e difficoltà affettive della generazione napoletana dei fine ‘70. La tesi di Martone è che Troisi abbia in qualche modo girato sempre lo stesso film su se stesso, riprendendo l’evoluzione della propria esistenza come se si fosse guardato allo specchio, proprio come Truffaut ha raccontato la sua vita, trasferendola nel suo Jean-Pierre Léaud da I 400 colpi in avanti. Troisi, aggiunge il regista, nelle sue opere ha sempre provato a proporre una personale indagine sulla complessità del sentimento amoroso e sulla (im)possibilità del suo pieno raggiungimento nel rapporto di coppia.

Riecheggiano le note di Je so’ pazzo dell’amico Pino Daniele e con esse le immagini delle strade di Napoli, delle violenze, del post sisma. Martone lo fa per accennare all’intento politico sotteso in molti film dell'artista, intento che Troisi riconosceva di non essere mai stato in grado di portare a pieno compimento, dichiarando piuttosto la propria ammirazione per intellettuali come Pasolini. Troisi, sostiene il regista, era comunque un artista dalla “schiena dritta”, capace di rifiutare la propria partecipazione a Sanremo quando gli organizzatore pretendevano di controllarne i testi.
Martone ricorda poi un aspetto fondamentale che lo guida nella sua analisi: la presenza costante tra i co-autori delle sceneggiature di tanti film di Troisi di Anna Pavignano, sua compagna per un decennio, scrittrice di origini piemontesi delle quali non se ne aveva inaspettatamente alcuna percezione nei loro lavori a quattro mani. La Pavignano, collaborando alla scrittura del docufilm, mette a disposizione del regista decine di fogli fatti di pensieri e appunti vari che Troisi le aveva affidato per sviluppare insieme la sceneggiatura dei propri film. Toccante tra questo materiale è il contenuto del diario in cui Troisi appuntava il suo stato fisico durante i giorni di convalescenza successivi all’operazione al cuore ricevuta negli Stati Uniti in piena gioventù; per racimolare i soldi vi era stata una generosa raccolta di contributi economici volontari che aveva coinvolto le scuole di San Giorgio a Cremano, Barra e dei paesi limitrofi.
Il film propone inoltre un altro elemento inedito di significativo interesse, la registrazione audio in cui la Pavignano ed una amica sottoponevano Troisi ad una sorta di seduta di psicoterapia, coscienti che le risposte avrebbero offerto spunti di umanità frammischiati alla comicità dei toni. La vita dell’artista ed il suo complesso rapporto col padre affiorano tra tutto il materiale archiviato come nell’episodio narrato in cui Troisi aveva provato a saltare su una pozzanghera rendendosi conto a metà volo, della stupidità compiuta.

Nel docufilm l'evoluzione artistica dell'artista viene ripercorsa dalle prime esibizioni del Teatro Spazio alla forma televisiva de La Smorfia, insieme ad Arena e Decaro, fino all’esplosione cinematografica di Ricomincio da tre che rappresentò una rivoluzione anche culturale in quanto per la prima volta si portavano sullo schermo le fragilità di un maschio nel suo rapporto “ribaltato” con l’altro sesso e nell’affrontare il dramma personale dell’accettazione di una paternità incerta. Fu quel film che travasò nel cinema tutte le stramberie, le inibizioni e la goffaggine che potevano caratterizzare le relazioni ed il normale vissuto di un giovane un po’ impacciato, con effetti di comicità inarrivabili.
Il docufilm di Martone prosegue con una ricca dote di interventi incentrati su commenti al processo creativo di Troisi tra i quali spiccano quelli di Goffredo Fofi (per lui l’artista fu la prima “voce adolescente” del cinema partenopeo) e Paolo Sorrentino (che ricorda le soluzioni ardite di Troisi che lo hanno ispirato, come il finale a fermo immagine di Scusate il ritardo, definendo il suo un meritorio cinema della lentezza). Non mancano interventi dei critici di Sentieri Selvaggi Federico Chiacchiari e Demetrio Salvi, dello sceneggiatore Francesco Piccolo e dei comici Ficarra e Picone.
Segue un excursus che va dalla riuscita capacità di Troisi di affiatarsi con Benigni (Non ci resta che piangere) ad artisti da lui stilisticamente piuttosto distanti, alla sua abilità di semplice attore in film come No grazie, il caffè mi rende nervoso, in cui recitava allegoricamente se stesso, accusato da un misterioso criminale di aver distrutto la napoletanità ovvero la "tradizione" musicale; e infine alle prove con Scola, nelle quali nonostante la rigorosità del regista, Troisi riusciva a fornire una significativa identità d’autore ai personaggi da lui interpretati (bello il richiamo alle scene con Matroianni). È Scola stesso che testimonia quanto Troisi non tollerasse l'eccesso di platealità degli attori napoletani, quasi a confermare la sua tendenza ad una recitazione sommessa e mai sguaiata.
Laggiù qualcuno mi ama termina raccontando le ultime scelte di Troisi che preferì rimandare l’operazione al proprio cuore – sarebbe stato necessario un trapianto – pur di completare le riprese de Il Postino, da lui sceneggiato, la cui regia fu affidata dallo stesso artista a Michael Radford, anch’egli intervistato nel film insieme al montatore Roberto Perpignani. Quest'ultimo descrive la magnifica intesa recitativa tra Troisi e Noiret nonostante in scena interagissero in lingue diverse.

Un buon lavoro quello di Martone, che riesce in qualche modo a ripercorre con una levità non ampollosa l’intera carriera dell’artista; un lavoro per certi versi necessario perché non didascalico, come certe piatte commemorazioni televisive, ma sentito e nel contempo rigoroso, capace di cogliere tutte le fragilità e le peculiarità dell’artista Troisi e di spiegare perché il suo ingresso nel mondo del cinema abbia in qualche modo lasciato un segno incontrovertibile di innovazione che deve essergli necessariamente riconosciuto. Quanto a certa idolatria, se ne esiste nei confronti dell'artista, non è sicuramente in questo film che va individuata.


 

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