davidestanzione
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domenica 11 luglio 2010
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autarchicamente nanni - extended cut
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Lo sguardo dell’autore de “Il caimano”, seppur giovanissimo (appena 23enne) e ancora non cinematograficamente svezzato, è (già) incredibilmente feroce, tutto si fa fuorché sghignazzare sotto i baffi (comunque disponibili) con moine assortite (in verità presenti eccome in termini di gestualità, ma che grondano esclusivamente di humour carbonizzato), e nel decadente, spietato tritacarne morettiano postsessantottino finisce così con l’essere repentinamente fagocitato e selvaggiamente sbrindellato davvero di tutto: i rapporti umani&familiari (approfonditi, a dispetto di qualche sperimentalismo in meno, nel successivo “Ecce Bombo”, in cui la famiglia di Apicella, che sarà l’alterego del autorattore Moretti anche in “Sogni d’oro” e “Bianca”, è la tipica, problematica famiglia postsessantotina con prole pseudoribelle a carico), la politica (la disillusione di un ideale, emblematica in tal senso la frase “ho sbagliato ideologia”), la pseudocritica intellettuale (“Allora, Pozzi.
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Lo sguardo dell’autore de “Il caimano”, seppur giovanissimo (appena 23enne) e ancora non cinematograficamente svezzato, è (già) incredibilmente feroce, tutto si fa fuorché sghignazzare sotto i baffi (comunque disponibili) con moine assortite (in verità presenti eccome in termini di gestualità, ma che grondano esclusivamente di humour carbonizzato), e nel decadente, spietato tritacarne morettiano postsessantottino finisce così con l’essere repentinamente fagocitato e selvaggiamente sbrindellato davvero di tutto: i rapporti umani&familiari (approfonditi, a dispetto di qualche sperimentalismo in meno, nel successivo “Ecce Bombo”, in cui la famiglia di Apicella, che sarà l’alterego del autorattore Moretti anche in “Sogni d’oro” e “Bianca”, è la tipica, problematica famiglia postsessantotina con prole pseudoribelle a carico), la politica (la disillusione di un ideale, emblematica in tal senso la frase “ho sbagliato ideologia”), la pseudocritica intellettuale (“Allora, Pozzi..”- “Fabio Ghezzi!!”), il lessicale americanismo (“okay” vuol dire “va bene”!!), gli algidi freudismi possibilmente strombazzati da chicchessia, la commedia all’italiana più comunemente osannata (su tutti qui il bersaglio principale è Pasqualino Settebellezze, anaforicamente demolito, e la Wertmuller, il cui cinema popolare provoca nell’essai addicted Apicella dei conati di similvomito “dentifricioso”), ma anche il cinema civile (Volonté) e la vanished bertolucciana Maria Schneider; più in generale dunque i tradizionalismi di ogni sorta (l’educazione che Michele impartisce al figlio Andrea è politically uncorrect, e per lui “cattolico” diventa addirittura un insulto da urlare contro Silvia al telefono) e (non ultima) la colossale decandenza culturalemotiva di un’intera generazione allo sbaraglio, incapace di decidere, di ritagliarsi anche solo un cantuccio borghese in cui figliare e vivificare, la generazione eccebombiana del “vengo, no non vengo”, delle tacite telefonate annegate tra lacrime e rabbiosità represse.
Film visivamente vintage, narrativamente straniante ed autarchicamente “Nanni” (definizione che più di ogni altra ne esemplifica l’autorial-imprinting peculiarmente riconoscibile.), una tappa di fatto imprescindibile da incanalare in un’eventuale (ri)scoperta dell’opera omnia dell’autore nostrano che più di ogni altro, con autarchica audacia, si potrebbe definire “Il Woody Allen italiano”, data la ricorrenza di stilemi , nevrosi, paradigmatici topos figurativi e narrativi.
“Io sono un autarchico” ottenne un buon successo di pubblico, rimanendo in programmazione per molto tempo al Filmstudio di Roma. Il film venne successivamente proiettato in altri cineclub romani, e a Berlino e Parigi in occasione dei rispettivi festival cinematografici, iniziando a suscitare l'interesse di alcuni critici (tra cui Alberto Moravia-peraltro esplicitamente citato in termini positivi a inizio film ai danni del più ardito Sanguinetti-su L'espresso del 9 gennaio 1977) e divenendo un vero e proprio “caso” culturalcinematico.
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davidestanzione
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domenica 11 luglio 2010
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autarchicamente nanni:come nacque un autore
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Opera prima di Nanni Moretti, divenuta ormai cult. Il rompipalle enfant prodige del cinema italiano anni’ 70, contastamente a spron battuto contro tutti e tutto, al suo esordio dietro la macchina da presa (in un lungometraggio) si avventura in lande registiche a tratti ultrasperimentali a tratti smaccatamente indie, per raccontare le surreali vicende di una semimprovvisata compagnia teatrale d’ispirazione avanguardista guidata dal suo “beckettiano” amico Fabio (Fabio Traversa, feticcioso coprotagonista morettiano d’inizio carriera, lo ritroveremo nel successivo “Ecce bombo”), intellettuale di provincia dalle propulsive ambizioni e costantemente in cerca del plauso della critica, che, al fine di meglio rappresentare la sua controversa opera pionieristicamente tesa verso la follia, trascinerà sé stesso e i suoi amici (compreso l’ultranerdiano cinefilo e rimarcatamente capezzoluto Michele Apicella, alterego di Moretti, abbandonato dalla moglie e con un figlio a carico) in un paradossale road movie “preparatorio” e fisicamente terapeutico, che vira verso la stilizzata, corrosivamente rabbuiata ma anche fumettistico-macchiettistica surrealtà, con personaggi dalle caratterizzazioni provocatoriamente sopra le righe (Moretti anticipa la mimica facciale che in “Palombella rossa” lo porterà ad un repentino e memorabile car-crash), vocalmente “alterate”, tirate al massimo (proprio in termini strettamente riferibili alle “corde vocali”) e riversate in una sorta di avanspettacolo venato di istrionico cabaret similmacabro.
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Opera prima di Nanni Moretti, divenuta ormai cult. Il rompipalle enfant prodige del cinema italiano anni’ 70, contastamente a spron battuto contro tutti e tutto, al suo esordio dietro la macchina da presa (in un lungometraggio) si avventura in lande registiche a tratti ultrasperimentali a tratti smaccatamente indie, per raccontare le surreali vicende di una semimprovvisata compagnia teatrale d’ispirazione avanguardista guidata dal suo “beckettiano” amico Fabio (Fabio Traversa, feticcioso coprotagonista morettiano d’inizio carriera, lo ritroveremo nel successivo “Ecce bombo”), intellettuale di provincia dalle propulsive ambizioni e costantemente in cerca del plauso della critica, che, al fine di meglio rappresentare la sua controversa opera pionieristicamente tesa verso la follia, trascinerà sé stesso e i suoi amici (compreso l’ultranerdiano cinefilo e rimarcatamente capezzoluto Michele Apicella, alterego di Moretti, abbandonato dalla moglie e con un figlio a carico) in un paradossale road movie “preparatorio” e fisicamente terapeutico, che vira verso la stilizzata, corrosivamente rabbuiata ma anche fumettistico-macchiettistica surrealtà, con personaggi dalle caratterizzazioni provocatoriamente sopra le righe (Moretti anticipa la mimica facciale che in “Palombella rossa” lo porterà ad un repentino e memorabile car-crash), vocalmente “alterate”, tirate al massimo (proprio in termini strettamente riferibili alle “corde vocali”) e riversate in una sorta di avanspettacolo venato di istrionico cabaret similmacabro.
A distanza di 34 anni, “Io sono un autarchico” esteticamente accusa il colpo degli archetipi senilizzanti peraltro inevitabili per una pellicola iperindie girata tra mille ristrettezze economiche (dapprima in presa diretta e in Super8, poi riconvertita, ampliata e gonfiata in 16 mm) e con un cast raccattato tra amici e parenti (che non siano monicelliani, né “miei” né “serpenti”, manco a dirlo), ma ad ogni modo, seppur l’estro morettiano sia ancora registicamente embrionale, il film resta un viatico d’esordio “ad alto tasso di premonizione” di quelli che saranno i successivi dettami peculiarmente riconoscibili del Moretti autore.
Finale pessimista, largamente pessimista e totalmente “asperanzato”, che si snoda sulla scia di due abbandoni dalla parvenza peraltro definitiva:quello, assai prematuro, di Fabio alle scene a seguito della sua ombrosamente imperscrutabile e densamente simbolica rappresentazione, portata a termine in una cantina con tentativo connesso (e miseramente fallito) di instaurare un dibattito (“no, il dibattito no!” urla qualcuno, battuta a buon diretto rientrante tra i cultormentoni morettiani) con un pubblico sventrato e svuotato (in mezzo al quale spicca nientepopodimenoche Augusto Minzolini..), che si dilegua a gambe levate non appena avverte anche solo l’imminenza di una digressione stilistico-tematica (leggasi masturbazione intellettuale;e un altro tipo di masturbazione, visivamente ellittica ma intesa in senso pienamente tattile, viene anche portata sullo schermo da Apicella..); e quello di Silvia (Simona Frosi) a Michele, forse addirittura meno approfondito, in termni di minutaggio dedicatogli (e non solo), a dimostrazione della desertificazione emotiva e del vuoto di senso assoluto intorno al quale Moretti orchestra il suo disillusamente destabilizzato teatro dell’assurdo.
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