In Mission: Impossible – The Final Reckoning il montaggio con cui si apre il film dice già molto: questo non è il semplice finale di una saga, ma il finale – o meglio, l’apice – di un’intera carriera.
Vediamo immagini dai capitoli precedenti di Mission: Impossible, ma sinceramente: ci avessero messo in mezzo anche scene da Top Gun, da Giorni di tuono, da Minority Report e War of the Worlds, da Edge of Tomorrow e Oblivion, e perché no, da Il socio, Il colore dei soldi, Cuori ribelli, L’ultimo samurai, non sarebbe cambiato nulla, anzi. È come se vi passassero davanti agli occhi pure quelle.
“Tutto quello che eri, tutto ciò che hai fatto, ti ha portato qui”, dicevano già nel trailer.
Chi è Ethan Hunt? È il tizio che si sobbarca le imprese che spaventano tutti gli altri. Lo fa con un’incrollabile fede nei propri valori, davanti ai quali è pronto se necessario ad andare contro tutto e tutti, inclusi i suoi superiori e il Presidente: i risultati gli danno ragione, anche se non sono sempre perfetti. Ha provato a sposarsi, ma non faceva per lui, non si adattava al suo stile di vita. Ha degli amici: sono pochi ma buoni, scelti meticolosamente tra persone che capiscono e approvano quello che sta cercando di fare, e lo sostengono senza rompere. Se entri nel giro, se lo capisci, se ti fidi di lui e limiti il tuo ruolo a offrire e agevolare soluzioni per i suoi istinti, allora lui darà la vita per proteggerti, che è un po’ il suo modo per dire che tutto sommato si sente solo.
Qui si fa il finale epico, definitivo, quasi messianico.
Si prosegue dritti dal capitolo precedente, ma Tom e McQuarrie vogliono tutti a bordo, per cui quel montaggio iniziale ti dice tutto quello che ti serve sapere per goderti questo capitolo anche senza aver visto gli altri, esattamente come il precedente a un certo punto si prendeva un’intera scena per rispiegarti da capo in cosa consiste il ruolo di Ethan Hunt.
Mission: Impossible – The Final Reckoning cambia i tempi del racconto rispetto al resto della saga. Se la prende molto più comoda: di colpo non è una scena d’azione dietro l’altra, ma chiacchiere per una buona metà. È voluto, ed è chiaro da subito: qui si fa l’epica pura. Si fa la grande rincorsa che accumula anni di ricordi, costruisce con calma, piazza tutte le sue pedine a posto, e facendoti aspettare promette implicitamente il climax più incredibile che tu abbia mai visto. Questa è la sua scommessa, la sua missione impossibile.
Tom Cruise a 60 anni superati non può farti vedere chissà quali atleticismi, ma può farti vedere della resistenza sovrumana stando sott’acqua, barcamenandosi fra enormi relitti pericolanti e claustrofobici che da un momento all’altro potrebbero colpirti con qualsiasi cosa contengono, giocando con una continua assenza o ribaltamento di regole della gravità, e facendotelo sentire tutto esponendo il suo corpo in prima persona, il peso che si sposta, il vento a mille all’ora addosso.
Mission: Impossible – The Final Reckoning è una partita a poker: due ore di tensione fatte di continui rilanci, con la posta in palio sempre più grande e poi, quando si scoprono le carte, è scala reale.
È un unicum nella saga e non piacerà a tutti – non è un film perfetto – ma andava fatto così.
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