eugenio
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sabato 28 gennaio 2023
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cucina horror
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Lo scarto, il frantume diviene pietra d’angolo, un particolare che rimanda a un universale, che lo redime attraverso una corrispondenza tra i diversi frammenti che restituiscono loro una centralità. Cucina alta gamma contro cheeseburger. Alto contro basso. Poli opposti che divergono nel classico luogo isolato, dove regna un ancor più classico ristorante di lusso, con clienti, gli ancor più classici “gente per bene”, radical chic manager di ricchissime società di non si sa bene cosa, piattume imborghesito di critici gastronomici, attori mitomani e presuntuosi, yuppie (come si diceva una volta) e ipocriti mariti (come si dice ancora oggi, meglio con l’accezione cornuti). A gestire il tutto uno chef megalomane (si chef) filosofo naif dai toni quanto surreali tanto inquietanti e una coppia di “fighetti” new age, uno in fissa e quasi adorante nei confronti di questa cucina “stellare” e l’altra, acidina e deboluccia che sarà la sola a uscirne viva come da copione, magari perché no, degustando un buon cheeseburger. Con tanto di sorriso in un climax in fiamme. Ahimè non simbolico.
The menu di Mark Mylod è in fondo un film semplice che sotto la scorza di una satira sociale inviperita e travestita da horror tratteggia e vanamente schernisce quella profana pontificazione di molti chef dalle indiscusse capacità, rei di attrarre un pubblico indottrinato, incapace di reagire persino alle loro evidenze e che diviene in qualche modo succube.
Come il nostro fanatico di cucina, Tyler (Nicolas Hoult), fidanzato dell’acidina di cui sopra, Margot (Anja Taylor-Joy) apprenderà a sue spese, così contento di essere riuscito ad accaparrarsi un posto in quel ristorante esclusivo da comportarsi come zerbino; come del resto, farà, tutta la militaresca troupe del cuoco stellare (un convincente Ralph Fiennes), dal comportamento degno di un harakiri giapponese o, meglio di una setta.
Perché tutto sommato, in questo film che butta nel calderone tanti elementi, non finendo però per cuocerne a dovere realmente uno, null’altro abbiamo che persone solitamente diversissime (per quanto appartenenti all’alta borghesia), colte nella loro debolezza di un luogo isolato e inavvicinabile -che tanto si sa come va a finire (da centinaia di pellicole a questa parte)- e preda dei deliri di questa setta con a capo il guru che muove le ardite stelle, spingendo al suicidio, omicidio, e chi più ne ha più ne metta, i commensali o gli stessi collaboratori o, peggio ancora, elaborando un piano con precisa ossessione.
Argomenti estremi ma non estremizzati, perché in fondo in maniera non del tutto nascosta, avvengono anche da noi capaci di tradursi nelle umiliazioni di chi, sicuro di avere talento, viene messo alla porta o alla berlina senza il necessario giudizio critico, spesso superficiale. E a rendere tutto instabile, non poteva che esserci Margot, appunto, che non è la donna di cui è perennemente innamorato Lupin nella terza stagione, ma l’acidina che rifiutando le avances sottoforma di elaborate portate del grande cuoco, sovvertirà ogni piano.
E The menu sembra ricordarci questo. Che un buon cibo, può essere anche lo scarto, il frantume di cui sopra, e che un cibo eccellente è lo stesso preparato con amore. Senza la rabbia vendicativa di tante pietanze pretenziose.
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francesca quadri
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mercoledì 23 novembre 2022
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the menu - horror servito portata dopo portata
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Quando Mark Mylod ha guardato per la prima volta Hell’s kitchen, avrà pensato “posso fare di meglio”. Così ha iniziato a pensare a come trasformare lo show televisivo in un vero e proprio “inferno”, questa volta però considerandolo non tanto come un talent show, bensì una lotta alla sopravvivenza, nel vero e proprio senso della parola.
Il primo dialogo si apre con la giovane coppia formata da Margot e Tyler, lei distaccata e lui fin troppo entusiasta per l’esperienza alla quale sta per partecipare: un’esclusiva cena servita dal famoso chef Julian Slewik nel suo ristorante raggiungibile solo con una piccola imbarcazione.
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Quando Mark Mylod ha guardato per la prima volta Hell’s kitchen, avrà pensato “posso fare di meglio”. Così ha iniziato a pensare a come trasformare lo show televisivo in un vero e proprio “inferno”, questa volta però considerandolo non tanto come un talent show, bensì una lotta alla sopravvivenza, nel vero e proprio senso della parola.
Il primo dialogo si apre con la giovane coppia formata da Margot e Tyler, lei distaccata e lui fin troppo entusiasta per l’esperienza alla quale sta per partecipare: un’esclusiva cena servita dal famoso chef Julian Slewik nel suo ristorante raggiungibile solo con una piccola imbarcazione. Ed è proprio sulla nave che facciamo la conoscenza del resto dei commensali. L’attenta sceneggiatura di Reiss e Tracy riesce a farci capire, in pochi brevi dialoghi e studiati gesti, chi abbiamo davanti a noi e cosa ci aspetterà una volta che tutti saranno a tavola.
Facciamo la conoscenza di Liebrandt, regista la cui stella artistica ha ormai da tempo iniziato il suo declino con la sua assistente Felicity, sempre in cerca di riportarlo con i piedi per terra anche a costo di sbattergli in faccia la realtà; Lilian Bloom, un’affermata critica culinaria e il suo compagno leccapiedi; tre ricchi uomini d’affari (forse un po’ troppo stereotipati) ai quali non importa tanto del cibo servito in sé, quanto di poter dire in giro di aver cenato al rinomato ristorante Hawthorne; infine, la coppia sposata da ormai troppi anni, la metà dei quali lui ha tradito lei con donne molto più giovani con la plausibile scusa “tesoro, sono fuori città per lavoro. Non mi aspettare stasera”.
Il primo atto del film ci fa quindi conoscere i personaggi, sono tanti i dialoghi che occorrono tra i tavoli del ristorante una volta che gli invitati si siedono, i fluidi movimenti di macchina ci permettono di origliare cosa si dicono i protagonisti, come si comportano quando pensano di non essere visti da occhi indiscreti. Ma quello sguardo scrutatore c’è ed è quello del pubblico. Noi, come a teatro, siamo di fronte a una scena studiata e programmata, è come se Mylod ci ponesse al di là della vetrata trasparente del ristorante per poter vivere un’esperienza metaforica. L’etica della cucina molecolare di Selwick si mescola con i risultati che essa ha sulla gente, coloro che accolgono questo “servizio” (come lo descrive lo stesso chef in un dialogo faccia a faccia con Margot) e lo trasformano in un’esperienza. Ritroviamo l’idea di Benjamin di arte come qualcosa di futile e inafferrabile, qualcosa che viene offerto al pubblico che ne fa esperienza in modo attivo, un’arte che necessita una reazione da parte di coloro che ne usufruiscono.
È evidente come ogni tavolo rappresenti una sfumatura diversa della critica (in questo caso cinematografica), è come se il film si auto criticasse da solo: abbiamo l’amatore con una passione incondizionata e irragionevole per l’artista (Tyler), il consumatore passivo (i tre businessman), la critica spietata e ostentatrice (Lilian Bloom) e infine l’indifferente. Questo personaggio, che ritroviamo nella figura di Margot, merita un posto d’onore in quanto cambia le carte in tavola. La ragazza non vuole il piatto sofisticato dello chef, non le interessa la location lussuosa e raffinata, non le importa di rovinarsi il palato fumando una sigaretta. Alla fine della cena lei ha ancora fame e per soddisfare il suo appetito chiede un cheeseburger. Ciò che vince non è il piatto ricercato, ma il cibo spazzatura.
Inutili i tentativi violenti di uscire dal ristorante, inutili le prediche, inutili le suppliche e le richieste d’aiuto. Ciò che premia in questo film è l’atto di rivolta al concetto di artistico, si mette in discussione l’artista e la sua opera.
Tra i colpi di scena di questo horror moderno servito portata dopo portata, stona la figura della madre che risulta una guarnizione in un piatto che non le dà modo di esprimere la sua presenza. Anche l’aiutante dello chef Elsa, se prima ci viene presentata come un personaggio forte, autoritario e minacciosa, il suo sviluppo narrativo lascai decisamente l’amaro in bocca.
Con una geometria narrativa simile al Midsommar e un cast corale che ricorda i personaggi di Cena con delitto - Knives out, Mylod crea un prodotto che sicuramente sarà sulla bocca di tutti.
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johnny1988
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venerdì 18 novembre 2022
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the menu - un'esperienza cinematografica stellata
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The Menu – un'esperienza cinematografica stellata
Siamo su un'isola anonima, che ospita un intero ecosistema e un ristorante gestito da uno chef stellato, che offre da anni ai suoi commensali un'esperienza culinaria sopraffina, alla modica cifra di 1200 dollari a testa. Vi sono alcune regole che non vanno violate e a cui gli avventori sono contrattualmente vincolati. Ma questa volta è diverso, il cuoco offrirà ai suoi convitati qualcosa di unico. Tutto è studiato nei minimi dettagli, ma la presenza di una donna inattesa potrebbe mandare tutto in fumo.
In un'era in cui il Capitalismo televisivo e lo show hanno irreversibilmente contaminato l'arte, “corrotto” gli artisti (Cracco e tutta la gang bastano?), e si riaffaccia la nostalgia, come il rimpianto emerge negli animi quando si consapevolizza che non si può scontare una pena, ecco che il Cinema, come uno Chef, trova le risorse per lanciare un allarme.
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The Menu – un'esperienza cinematografica stellata
Siamo su un'isola anonima, che ospita un intero ecosistema e un ristorante gestito da uno chef stellato, che offre da anni ai suoi commensali un'esperienza culinaria sopraffina, alla modica cifra di 1200 dollari a testa. Vi sono alcune regole che non vanno violate e a cui gli avventori sono contrattualmente vincolati. Ma questa volta è diverso, il cuoco offrirà ai suoi convitati qualcosa di unico. Tutto è studiato nei minimi dettagli, ma la presenza di una donna inattesa potrebbe mandare tutto in fumo.
In un'era in cui il Capitalismo televisivo e lo show hanno irreversibilmente contaminato l'arte, “corrotto” gli artisti (Cracco e tutta la gang bastano?), e si riaffaccia la nostalgia, come il rimpianto emerge negli animi quando si consapevolizza che non si può scontare una pena, ecco che il Cinema, come uno Chef, trova le risorse per lanciare un allarme. Se di allarme non si tratta, giacchè è troppo tardi e non si può tornare indietro, è una vendetta che si assapora. Un regolamento dei conti che rosvescia le caste, riscrive le gerarchie e il cuoco, in questo film interpretato da un angelo sterminatore (Ralph Fiennes, che non sbaglia mai un copione), fa della cucina la sua arma a doppio taglio, e della brigata il suo fedele esercito divino.
A mano a mano che vengono servite le portate, come quando si origliano le conversazioni a tavola dei vicini, lo spettatore capta i segreti che gli ospiti si scambiano. Ed è gradualmente che il sorriso beffardo guidicante lascerà il posto al giudizio vero e proprio. Un'esperienza culinaria che si evolve in esperienza umana, di vita e di morte, che scatena le emozioni, attiva nuovi recettori e scuote tutto il sistema nervoso.
La morale della favola? Che il delitto più antico del mondo, la presunzione dell'uomo, non è senza castigo. Con un bellissimo “fanculo” a tutte le menate sui fronzoli hipster e gli impiattamenti boriosi. E una fame chimica che ti fa venir voglia di un ignorantissimo e purissimo hamburger.
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