carloalberto
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sabato 22 maggio 2021
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possibile una interpretazione psicoanalitica
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Trasposizione cinematografica di un classico racconto di fantasmi di Henrj James, Il giro di vite, tradotto da Floria Sigismondi, in chiave psicoanalitica, in un film horror onirico ed introspettivo che nella messa in scena ricorda vagamente The Others. Quattro personaggi chiusi in una grande e sinistra villa ottocentesca, al centro di una immensa tenuta di campagna, sono gli unici protagonisti di una storia che si presta, nell’ambiguità delle immagini, sospese tra allucinazioni, incubi e realtà, a molteplici interpretazioni.
Spoiler.
Il doppio finale invita ad una lettura a ritroso delle sequenze già viste per una interpretazione del film che non può che essere se non un viaggio nella mente malata della protagonista, che combatte con gli spettri della propria anima, l’eros sfrenato e perverso degli impulsi sessuali repressi, i sensi di colpa derivanti da un super io ingombrante ed onnipresente e l’innocenza perduta della fanciullezza, che si manifestano, rispettivamente, nel fantasma dello stalliere e nel suo alter ego, il ragazzino sensuale e maligno espulso dal collegio, nella governante arcigna ed autoritaria e nella bambina di cui deve prendersi cura come istitutrice.
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Trasposizione cinematografica di un classico racconto di fantasmi di Henrj James, Il giro di vite, tradotto da Floria Sigismondi, in chiave psicoanalitica, in un film horror onirico ed introspettivo che nella messa in scena ricorda vagamente The Others. Quattro personaggi chiusi in una grande e sinistra villa ottocentesca, al centro di una immensa tenuta di campagna, sono gli unici protagonisti di una storia che si presta, nell’ambiguità delle immagini, sospese tra allucinazioni, incubi e realtà, a molteplici interpretazioni.
Spoiler.
Il doppio finale invita ad una lettura a ritroso delle sequenze già viste per una interpretazione del film che non può che essere se non un viaggio nella mente malata della protagonista, che combatte con gli spettri della propria anima, l’eros sfrenato e perverso degli impulsi sessuali repressi, i sensi di colpa derivanti da un super io ingombrante ed onnipresente e l’innocenza perduta della fanciullezza, che si manifestano, rispettivamente, nel fantasma dello stalliere e nel suo alter ego, il ragazzino sensuale e maligno espulso dal collegio, nella governante arcigna ed autoritaria e nella bambina di cui deve prendersi cura come istitutrice.
Numerosi i rinvii simbolici alla lotta tra le diverse entità in contrasto nella psiche della giovane donna, semplicisticamente rappresentate, in linea con gli stereotipi della tradizione cristiana, nel cavallo bianco, ovvero la purezza ed il bene assoluto che significa candore e castità, ed il cavallo nero, non a caso cavalcato dal ragazzo, ovvero le fantasie sessuali nell’immaginazione della prima adolescenza. Nell’ultima scena il viaggio introspettivo ed allucinato termina con l’urlo angosciato e terrorizzato della protagonista che rivedendo sé stessa nella madre, ricoverata in manicomio, comprende che il proprio conflitto interiore si è risolto nella follia.
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carloalberto
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Trasposizione cinematografica di un classico racconto di fantasmi di Henrj James, Il giro di vite, tradotto da Floria Sigismondi, in chiave psicoanalitica, in un film horror onirico ed introspettivo che nella messa in scena ricorda vagamente The Others. Quattro personaggi chiusi in una grande e sinistra villa ottocentesca, al centro di una immensa tenuta di campagna, sono gli unici protagonisti di una storia che si presta, nell’ambiguità delle immagini, sospese tra allucinazioni, incubi e realtà, a molteplici interpretazioni.
Spoiler.
Il doppio finale invita ad una lettura a ritroso delle sequenze già viste per una interpretazione del film che non può che essere se non un viaggio nella mente malata della protagonista, che combatte con gli spettri della propria anima, l’eros sfrenato e perverso degli impulsi sessuali repressi, i sensi di colpa derivanti da un super io ingombrante ed onnipresente e l’innocenza perduta della fanciullezza, che si manifestano, rispettivamente, nel fantasma dello stalliere e nel suo alter ego, il ragazzino sensuale e maligno espulso dal collegio, nella governante arcigna ed autoritaria e nella bambina di cui deve prendersi cura come istitutrice.
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Trasposizione cinematografica di un classico racconto di fantasmi di Henrj James, Il giro di vite, tradotto da Floria Sigismondi, in chiave psicoanalitica, in un film horror onirico ed introspettivo che nella messa in scena ricorda vagamente The Others. Quattro personaggi chiusi in una grande e sinistra villa ottocentesca, al centro di una immensa tenuta di campagna, sono gli unici protagonisti di una storia che si presta, nell’ambiguità delle immagini, sospese tra allucinazioni, incubi e realtà, a molteplici interpretazioni.
Spoiler.
Il doppio finale invita ad una lettura a ritroso delle sequenze già viste per una interpretazione del film che non può che essere se non un viaggio nella mente malata della protagonista, che combatte con gli spettri della propria anima, l’eros sfrenato e perverso degli impulsi sessuali repressi, i sensi di colpa derivanti da un super io ingombrante ed onnipresente e l’innocenza perduta della fanciullezza, che si manifestano, rispettivamente, nel fantasma dello stalliere e nel suo alter ego, il ragazzino sensuale e maligno espulso dal collegio, nella governante arcigna ed autoritaria e nella bambina di cui deve prendersi cura come istitutrice.
Numerosi i rinvii simbolici alla lotta tra le diverse entità in contrasto nella psiche della giovane donna, semplicisticamente rappresentate, in linea con gli stereotipi della tradizione cristiana, nel cavallo bianco, ovvero la purezza ed il bene assoluto che significa candore e castità, ed il cavallo nero, non a caso cavalcato dal ragazzo, ovvero le fantasie sessuali nell’immaginazione della prima adolescenza. Nell’ultima scena il viaggio introspettivo ed allucinato termina con l’urlo angosciato e terrorizzato della protagonista che rivedendo sé stessa nella madre, ricoverata in manicomio, comprende che il proprio conflitto interiore si è risolto nella follia.
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