angelo umana
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mercoledì 15 dicembre 2021
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dolore contenuto
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Un bambino di 4 anni che all'orario solito aspetta da dietro la finestra il ritorno del papà dal lavoro, osserva attento, lo vede e va alla porta ad accoglierlo. E' sereno coi gesti delicati dell'adulto e le fiabe lettegli nel lettino prima di dormire. Quando al mattino viene portato all'asilo il bambino riflette sull'assenza della mamma al suo fianco, tutti gli altri ce l'hanno, dov'è la mia mamma?, ma la ragazza russa che lo concepì scappò via dopo la sua nascita. Le finestre nel film sono protagoniste, perché questo papà fa il lavavetri all'esterno di edifici privati e in cima alla scala – luogo di lavoro – vede le case degli altri, le loro cose, o immagina “le vite degli altri”.
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Un bambino di 4 anni che all'orario solito aspetta da dietro la finestra il ritorno del papà dal lavoro, osserva attento, lo vede e va alla porta ad accoglierlo. E' sereno coi gesti delicati dell'adulto e le fiabe lettegli nel lettino prima di dormire. Quando al mattino viene portato all'asilo il bambino riflette sull'assenza della mamma al suo fianco, tutti gli altri ce l'hanno, dov'è la mia mamma?, ma la ragazza russa che lo concepì scappò via dopo la sua nascita. Le finestre nel film sono protagoniste, perché questo papà fa il lavavetri all'esterno di edifici privati e in cima alla scala – luogo di lavoro – vede le case degli altri, le loro cose, o immagina “le vite degli altri”.
Questa è la premessa di chi voglia osservare il film con un certo sentimentalismo, vedere o “sentire” le lacrime montare, ma il fair-play inglese non lo consente, tutta quanta la proiezione e il regista-sceneggiatore italo-britannico Uberto Pasolini non lo fanno, e comunque a lui è dovuto un grazie per avere raccontato questo film sulla vita come lo definisce (fu apprezzatissimo anche Still Life).
Spesso non immaginiamo quante situazioni diverse si presentano nella vita altrui, o nostra? Anche il cinema serve a ricordarle: così fu per 18 Regali, per Tutti i nostri desideri..., cose che a un genitore non sarà dato di fare, come “crescere” con il proprio figlio... Evviva il cinema!
L'idea, raccontava nel prezioso cinema Edera di Treviso, gli venne da un articolo di giornale: un papà senza tanti mezzi, di umile mestiere, voleva dare in adozione il proprio bambino perché, malato, sapeva di dover morire a breve. Lesse l'articolo, le autobiografie di persone che stavano per morire, guardò documentari, parlò con persone affidatarie poi ho messo tutto da parte e ho cominciato a scrivere.
Il film è un iter di visite fatte dal papà col bambino, accompagnati dalla psicologa dei servizi sociali presso famiglie probabili candidate all'adozione. E' anche un modo di verificare come la disponibilità ad adottare può venire accolta da coppie diverse: chi storce il naso, chi pensa di far intraprendere al figlio scuole “perbene”, la single che vede nell'adozione la luce alla fine di un tunnel, uno scopo nella vita. Ognuna con le sue visioni e i suoi must. Papà John (James Norton) e il piccolo Michael (Daniel Lamont) fanno da spettatori di questi quadretti familiari.
Comincia a capire anche il piccolo Michael che John se ne andrà – papà gli ha pure detto un giorno accadrà, non sono più così giovane ormai. Dice alla psicologa gli dato una famiglia e dovrò togliergliela. Sceglierà un focolare Michael, questo è parte dell'immaginazione del regista. Il papà ha cercato di fargli comprendere il lutto: lui lo vedrà sempre anche se potrà solo immaginare di parlargli, che saranno sempre accanto senza vedersi, che sarà presente nei suoi pensieri, nei gesti e nelle immagini mentali. La cosa è verosimile se pensiamo ai nostri morti ed è per il piccolo un'educazione sentimentale che presto impara. Ottima l'interpretazione compunta del piccolo Daniel, si è messo perfettamente nella parte, ma il regista ce lo ha descritto come un bambino allegro e pieno di vita.
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eugenio
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sabato 15 gennaio 2022
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un padre e un figlio
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Un piano sequenza ad altezza di bambino e un padre che tiene per mano suo figlio pronto a lasciarlo a qualcuno che saprà badare a lui quando non ci sarà più.
Questo in due righe il poetico, straziante film di Uberto Pasolini che già otto anni fa con Still Life, aveva analizzato, cinematograficamente parlando, l’ineluttabile distico vita-morte permeando di bellezza vagamente retrò, la pace dei sensi propria della triste meretrice e colmando i momenti precedenti all’evento, con affetto e leggerezza.
La storia tutto muta e trasforma eppure si ripete non più nell’Inghilterra sapientemente tracciata da Ken Loach con servizi sociali non sempre all’altezza delle aspettative, ma nell’Irlanda del Nord, nella Belfast di Joyce e Oscar Wilde.
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Un piano sequenza ad altezza di bambino e un padre che tiene per mano suo figlio pronto a lasciarlo a qualcuno che saprà badare a lui quando non ci sarà più.
Questo in due righe il poetico, straziante film di Uberto Pasolini che già otto anni fa con Still Life, aveva analizzato, cinematograficamente parlando, l’ineluttabile distico vita-morte permeando di bellezza vagamente retrò, la pace dei sensi propria della triste meretrice e colmando i momenti precedenti all’evento, con affetto e leggerezza.
La storia tutto muta e trasforma eppure si ripete non più nell’Inghilterra sapientemente tracciata da Ken Loach con servizi sociali non sempre all’altezza delle aspettative, ma nell’Irlanda del Nord, nella Belfast di Joyce e Oscar Wilde. Tra campagne e cottage, si muove peripateticamente John (James Norton), un trentaquattrenne lavavetri gravemente malato, conscio della vicina fine, alla strenua ricerca, di una famiglia giusta cui affidare il figlioletto Michael, cresciuto senza madre, prima di abbandonare questo pianeta per sempre.
E ne vede di ogni: donne che avrebbero desiderato essere madri, famiglie multietniche allargate, altre che cercano in un figlio che non hanno mai avuto, una mera oggettivizzazione di un loro desiderio di puro egotico successo, per riempire il vuoto che hanno dentro oppure coppie ricche annoiate ma sentimentalmente anestetizzate; eppure la macchina da presa mai critica di Pasolini è sempre stemperata da note di malinconica dolcezza e calore umano, un inno alla fraternità comune.
Nowhere Special come suggerisce il sottotitolo, più che un’anamnesi di una malattia incurabile, il cui corpo di John, su scelta sapiente del regista, non viene mai martirizzato in scena o peggio ancora, tradotto in disfacimento inesorabile, è una storia d’amore potente e intima, esautorata da ogni retorica e capace di vincere il freddo e oscuro volto della meretrice.
Il film di Pasolini ci parla, in fondo, di vita: quella vissuta, quella condotta con dolcezza negli ultimi momenti condivisi con chi è stato maggiormente vicino, come Michael per John, capace di intuire facilmente la malattia del padre senza troppi giri di parole. Ecco il grande vantaggio e al tempo stesso, forse limite della pellicola per la sua dirompenza: la forza e al tempo stesso la dolcezza nel volto del bimbo che diverrà presto uomo, un uomo come il padre, strappato alla vita nel fiore della sua giovinezza eppure capace di guardare con innocenza e candore, curiosità e stupore ogni azione del padre, stoicamente avvinto a un destino segnato.
James Norton compie un gran lavoro di sottrazione, recita in una scenografia foriera di grigi funerali ma anzi capace di stigmatizzare la vita, con la coralità di una profonda nobilità d’animo, quella degli uomini, figlia di una fiducia verso il prossimo. E Pasolini ben lo sa.
Del resto, la vita non è fatta solo di labirinti pieni di gira volte e strettoie spigoli gomiti dove uno rischia di rimanere intrappolato, no. Ci sono anche i sentieri strade pianure,praterie e orizzonti illimitati da esplorare. Si tratta solo di non aver paura, di mettersi in cammino e non voltarsi mai verso il passato.
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irene
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sabato 11 settembre 2021
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Ci sono film che, per prenderti e coinvolgerti, hanno bisogno di grandi storie, mille personaggi, scene di massa e magari effetti speciali. Ce ne sono altri, come questo, che raccontano una piccola storia semplice, fatta di quotidianità, mettendo insieme pezzetti di poesia. Raccontare la morte attraverso la vita è cosa a cui Uberto Pasolini non è nuovo e chi ha visto "Still life" lo sa. Farlo con la grazia con cui lo fa lui, senza pesantezza, commuovendo al livello più profondo eppure facendo anche sorridere, è un dono raro.
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Ci sono film che, per prenderti e coinvolgerti, hanno bisogno di grandi storie, mille personaggi, scene di massa e magari effetti speciali. Ce ne sono altri, come questo, che raccontano una piccola storia semplice, fatta di quotidianità, mettendo insieme pezzetti di poesia. Raccontare la morte attraverso la vita è cosa a cui Uberto Pasolini non è nuovo e chi ha visto "Still life" lo sa. Farlo con la grazia con cui lo fa lui, senza pesantezza, commuovendo al livello più profondo eppure facendo anche sorridere, è un dono raro. Quanta tenerezza nella storia di questi due esseri umani, un padre e il suo bambino, legati come una cosa sola, sempre vicini, sempre attaccati, mano nella mano, occhi negli occhi. Quanta delicatezza nel far capire cos’è la morte ad un bambino di 4 anni, occhioni sgranati, interrogativi, mai impauriti.
E allo stesso modo, ci sono attori che non hanno bisogno di niente per far capire di cosa sono fatti. Nelle parole di Uberto Pasolini, James Norton dà “feelings without performance”, perché, anche se in pochi per ora lo conoscono, lo sa fare meravigliosamente bene. Perché nel suo ritratto di uomo quieto, Norton non ha bisogno di agitarsi, di piangere, di fare scene madri, non ha bisogno di nient’altro che dei suoi occhi per esprimere tutto ciò che gli passa dentro: tristezza, disperazione, dubbi, speranza, dolcezza infinita ed infinito amore. E' un nuovo tipo di recitazione, un nuovo tipo di attore che mostra poco esprimendo tantissimo, chissà che qualcuno finalmente si accorga di lui.
"Nowhere special" è un film raffinato, dolce e poetico, struggente senza essere straziante, che non sbrodola dolore, ma che racconta la vita così com'è, con piccoli gesti quotidiani. Si piange? Sì, con discrezione, ma si sorride anche. E alla fine del film, per quanto incredibile possa sembrare, ci si sente meglio.
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Ci sono film che, per prenderti e coinvolgerti, hanno bisogno di grandi storie, mille personaggi, scene di massa e magari effetti speciali. Ce ne sono altri, come questo, che raccontano una piccola storia semplice, fatta di quotidianità, mettendo insieme pezzetti di poesia. Raccontare la morte attraverso la vita è cosa a cui Uberto Pasolini non è nuovo e chi ha visto "Still life" lo sa.
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Ci sono film che, per prenderti e coinvolgerti, hanno bisogno di grandi storie, mille personaggi, scene di massa e magari effetti speciali. Ce ne sono altri, come questo, che raccontano una piccola storia semplice, fatta di quotidianità, mettendo insieme pezzetti di poesia. Raccontare la morte attraverso la vita è cosa a cui Uberto Pasolini non è nuovo e chi ha visto "Still life" lo sa. Farlo con la grazia con cui lo fa lui, senza pesantezza, commuovendo al livello più profondo eppure facendo anche sorridere, è un dono raro. Quanta tenerezza nella storia di questi due esseri umani, un padre e il suo bambino, legati come una cosa sola, sempre vicini, sempre attaccati, mano nella mano, occhi negli occhi. Quanta delicatezza nel far capire cos’è la morte ad un bambino di 4 anni, occhioni sgranati, interrogativi, mai impauriti.
E allo stesso modo, ci sono attori che non hanno bisogno di niente per far capire di cosa sono fatti. Nelle parole di Uberto Pasolini, James Norton dà “feelings without performance”, perché, anche se in pochi per ora lo conoscono, lo sa fare meravigliosamente bene. Perché nel suo ritratto di uomo quieto, Norton non ha bisogno di agitarsi, di piangere, di fare scene madri, non ha bisogno di nient’altro che dei suoi occhi per esprimere tutto ciò che gli passa dentro: tristezza, disperazione, dubbi, speranza, dolcezza infinita ed infinito amore. E' un nuovo tipo di recitazione, un nuovo tipo di attore che mostra poco esprimendo tantissimo, chissà che qualcuno finalmente si accorga di lui.
"Nowhere special" è un film raffinato, dolce e poetico, struggente senza essere straziante, che non sbrodola dolore, ma che racconta la vita così com'è, con piccoli gesti quotidiani. Si piange? Sì, con discrezione, ma si sorride anche. E alla fine del film, per quanto incredibile possa sembrare, ci si sente meglio.
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felicity
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lunedì 21 febbraio 2022
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il senso prezioso della vita
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In Nowhere Special il padre fa il lavavetri, pulisce finestre dietro cui scorrono fotogrammi di vite che non sono la sua. Il figlio ha quattro anni e accompagna quel padre paziente in giro per case che non sono la loro. Al padre infatti restano pochi mesi di vita, ma questo il piccolo Michael non lo sa. Se John lo porta con sé è per trovare la famiglia a cui affidarlo quando lui non ci sarà più. Le signore del centro per le adozioni ne hanno individuate parecchie, gente di ogni tipo e livello sociale. Bisogna solo andare, vedere, capire. Intanto il tempo passa. Pian piano mettiamo a fuoco la storia dell’indomito John. Il cuore segreto di “Nowhere Special” però non è lo strazio di quel padre, raccontato con ammirevole economia di mezzi, ma un tema perfino più arduo.
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In Nowhere Special il padre fa il lavavetri, pulisce finestre dietro cui scorrono fotogrammi di vite che non sono la sua. Il figlio ha quattro anni e accompagna quel padre paziente in giro per case che non sono la loro. Al padre infatti restano pochi mesi di vita, ma questo il piccolo Michael non lo sa. Se John lo porta con sé è per trovare la famiglia a cui affidarlo quando lui non ci sarà più. Le signore del centro per le adozioni ne hanno individuate parecchie, gente di ogni tipo e livello sociale. Bisogna solo andare, vedere, capire. Intanto il tempo passa. Pian piano mettiamo a fuoco la storia dell’indomito John. Il cuore segreto di “Nowhere Special” però non è lo strazio di quel padre, raccontato con ammirevole economia di mezzi, ma un tema perfino più arduo. La scoperta della morte vista con gli occhi di un bambino.
Uberto Pasolini conferma il suo talento e il suo gusto per le sfide. Un occhio alla misura dei Dardenne, l’altro a certo teatro e a certa fotografia inglesi per il gusto icastico dei dialoghi e degli interni familiari, questo ex banchiere d’affari trapiantato a Londra non racconta la vita che se ne va ma quella che continua. Usando il dolore evidente del padre per avvicinarci senza parere a quello, irrappresentabile, del figlio.
In altre mani sarebbe stato un film sentimentale e ricattatorio. In quelle di Pasolini genera uno studio di caratteri attento a ogni sfumatura, dunque capace di non scivolare mai nella pornografia del dolore. Chi vuole può considerarlo una metafora di quel tramonto del Padre di cui si parla da decenni. Ma nulla vieta di viverlo e di emozionarsi senza tanti alibi intellettuali.
Perché quello che in fondo viene descritto non è solamente la bruttezza della morte, ma la perenne forza creatrice della vita, nonostante tutto.
La verità, dopotutto, è che nulla di quello che è nostro lo è realmente. Sembrerebbe una triste ovvietà, ma non lo è così tanto. Uberto Pasolini ama fluttuare in modo dolce su uno dei dolori più disperanti che esistano, così come su una delle paure più grandi, anzi, probabilmente la più grande in assoluto. Ma nel farlo riesce a spiegare l’aspetto più semplice che è condensato nella soluzione migliore a tutto quello che non possiamo controllare: la fiducia.
Ciò che il regista racconta della morte è che non spazza via tutto con sé, anzi. Quello che resta è la parte più importante ed è su questo che si poggia il protagonista. Il senso prezioso della sua vita è quello che lascia al suo piccolo, e niente di più. È la sua eredità e la consapevolezza di quanto sia importante a dargli forza, perché sarà la stessa che riceverà Michael col suo ricordo, giorno dopo giorno. Solo il suo amore rimarrà, ed è descritto con sofferta chiarezza.
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