cardclau
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venerdì 7 maggio 2021
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libertà e condivisione dopo che hai tutto perduto
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Questo film di Chloé Zhao è il benvenuto perché ben condotto, con un’attrice protagonista in un ruolo molto difficile, dagli elementi di pensiero piuttosto articolati, clamorosamente privo di effetti speciali, in un cinema (americano) dove negli ultimi anni, spesso, questi tendono a sostituirsi all’impoverimento delle idee. La prima protagonista è la natura, bellissima, sorprendente, di un immensamente grande. Apparentemente imperturbabile accoglie sempre anche l’antropizzazione di un capitalismo all’ultimo stadio, dove la dimensione della povertà, del lavoro precario, delle risicate risorse sociali, delle ferite irrisolte delle generazioni portate alle guerre, fanno meglio comprendere la Rivoluzione Francese.
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Questo film di Chloé Zhao è il benvenuto perché ben condotto, con un’attrice protagonista in un ruolo molto difficile, dagli elementi di pensiero piuttosto articolati, clamorosamente privo di effetti speciali, in un cinema (americano) dove negli ultimi anni, spesso, questi tendono a sostituirsi all’impoverimento delle idee. La prima protagonista è la natura, bellissima, sorprendente, di un immensamente grande. Apparentemente imperturbabile accoglie sempre anche l’antropizzazione di un capitalismo all’ultimo stadio, dove la dimensione della povertà, del lavoro precario, delle risicate risorse sociali, delle ferite irrisolte delle generazioni portate alle guerre, fanno meglio comprendere la Rivoluzione Francese. In questa atmosfera dove sogno e incubo si mescolano in modo solo in apparenza surreale, si inserisce la storia di Fern. Lei ha lavorato molti anni con l’amato marito Bo all’Empire, entrambi con dedizione, una industria di carton gesso del Nevada. Poi il marito muore di cancro, da lei assistito fino alla fine. Non hanno avuto figli. L’Empire chiude per sempre nel’88. Fern ha perso tutto, tutto troppo presto. Comincia una vita randagia fatta di un camioncino, di continui spostamenti, di lavori saltuari, di relazioni con altri simili a lei. Riguadagna, aiutata in questo dalla natura, una dimensione di libertà. Ma forse non c’è più spazio per la condivisione, forse c’è il timore di legarsi per poi tutto perdere, ancora. L’apparente componente anaffettiva di Fern suggerisce solo un grande dolore. «Nessun maggior dolore che ricordarsi del tempo felice ne la miseria …
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cardclau
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venerdì 7 maggio 2021
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libertà e condivisione dopo che hai tutto perduto
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Questo film di Chloé Zhao è il benvenuto perché ben condotto, con un’attrice protagonista in un ruolo molto difficile, dagli elementi di pensiero piuttosto articolati, clamorosamente privo di effetti speciali, in un cinema (americano) dove negli ultimi anni, spesso, questi tendono a sostituirsi all’impoverimento delle idee. La prima protagonista è la natura, bellissima, sorprendente, di un immensamente grande. Apparentemente imperturbabile accoglie sempre anche l’antropizzazione di un capitalismo all’ultimo stadio, dove la dimensione della povertà, del lavoro precario, delle risicate risorse sociali, delle ferite irrisolte delle generazioni portate alle guerre, fanno meglio comprendere la Rivoluzione Francese.
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Questo film di Chloé Zhao è il benvenuto perché ben condotto, con un’attrice protagonista in un ruolo molto difficile, dagli elementi di pensiero piuttosto articolati, clamorosamente privo di effetti speciali, in un cinema (americano) dove negli ultimi anni, spesso, questi tendono a sostituirsi all’impoverimento delle idee. La prima protagonista è la natura, bellissima, sorprendente, di un immensamente grande. Apparentemente imperturbabile accoglie sempre anche l’antropizzazione di un capitalismo all’ultimo stadio, dove la dimensione della povertà, del lavoro precario, delle risicate risorse sociali, delle ferite irrisolte delle generazioni portate alle guerre, fanno meglio comprendere la Rivoluzione Francese. In questa atmosfera dove sogno e incubo si mescolano in modo solo in apparenza surreale, si inserisce la storia di Fern. Lei ha lavorato molti anni con l’amato marito Bo all’Empire, entrambi con dedizione, una industria di carton gesso del Nevada. Poi il marito muore di cancro, da lei assistito fino alla fine. Non hanno avuto figli. L’Empire chiude per sempre nel’88. Fern ha perso tutto, tutto troppo presto. Comincia una vita randagia fatta di un camioncino, di continui spostamenti, di lavori saltuari, di relazioni con altri simili a lei. Riguadagna, aiutata in questo dalla natura, una dimensione di libertà. Ma forse non c’è più spazio per la condivisione, forse c’è il timore di legarsi per poi tutto perdere, ancora. L’apparente componente anaffettiva di Fern suggerisce solo un grande dolore. «Nessun maggior dolore che ricordarsi del tempo felice ne la miseria …
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luciano
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lunedì 10 maggio 2021
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unico limite il cielo
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#NomadLand. Spettacolare movie 'on the road'.Qui la strada fa parte integrante di quell'immaginario americano dove c'è sempre 'un oltre la frontiera' da raggiungere. Ma quest'oltre non è mai un punto d'arrivo ma solo un altro luogo da cui ripartire. Mentre la strada si srotola come un nastro di fronte a Fern,la protagonista senza casa ma non senzatetto,che macina km con il suo van malconcio,un altro nastro si riavvolge attraverso una ricerca che supera la prospettiva di una vita costruita solo per stratificazione di ricordi ma,con la sottrazione di tutto ciò che è superfluo,le lascia la benedizione di una vita ridotta all'essenziale.
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#NomadLand. Spettacolare movie 'on the road'.Qui la strada fa parte integrante di quell'immaginario americano dove c'è sempre 'un oltre la frontiera' da raggiungere. Ma quest'oltre non è mai un punto d'arrivo ma solo un altro luogo da cui ripartire. Mentre la strada si srotola come un nastro di fronte a Fern,la protagonista senza casa ma non senzatetto,che macina km con il suo van malconcio,un altro nastro si riavvolge attraverso una ricerca che supera la prospettiva di una vita costruita solo per stratificazione di ricordi ma,con la sottrazione di tutto ciò che è superfluo,le lascia la benedizione di una vita ridotta all'essenziale. Echi di ricordi di affetti ritrovati affiorano lungo la strada come pietre pazienti che diventano sabbia di una miniera dimenticata se le strofini una contro l'altra. Un cuore nomade incontra un'anima scartavetrata dai sentimenti, dai ricordi e dalle emozioni.Chi fa un tratto di strada assieme a Fern impara a non andare mai oltre la rassegnazione e a vivere la giornata come orizzonte minimo indispensabile. Fern non vuole più cercare niente, non intende neppure immaginare un’altra vita che non sia quella del viaggio in solitario dove "l'unico limite è il cielo".
Sulla strada di Fern disillusione e speranza non s'incontrano mai. La riappropriazione dei grandi spazi americani della frontiera dell'ovest fa da sfondo al tentativo più intimista del recupero di un'identità che oltrepassa i confini angusti di un sogno americano diventato improvvisamente troppo piccolo.
(una magistrale e commovente Frances McDormand assolutamente da vedere)
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nexus
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lunedì 3 maggio 2021
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non è mai un vero addio
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La nazione dei grandi spazi e delle solitudini immense.
Persone che non hanno più una casa né un lavoro stabile.
Certezze spazzate via dalla crisi economica e dalla desertificazione industriale a seguito anche di fallimenti e/o processi aziendali di delocalizzazine delle produzioni.
Scheletri impolverati di capannoni ed aziende... insegne arrugginite.
Una soltitudine che può essere "curata" solamente dal viaggio... perenne, incessante, "senza sosta".
Per fuggire dalle proprie paure e dai propri fantasmi.
Quando Fern si ritrova ospite in casa dell'amico si percepisce che sta provando una solitudine più grande di quella che quotidianamente prova nel suo eterno peregrinare da un posto all'altro, da un impiego occasionale all'altro.
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La nazione dei grandi spazi e delle solitudini immense.
Persone che non hanno più una casa né un lavoro stabile.
Certezze spazzate via dalla crisi economica e dalla desertificazione industriale a seguito anche di fallimenti e/o processi aziendali di delocalizzazine delle produzioni.
Scheletri impolverati di capannoni ed aziende... insegne arrugginite.
Una soltitudine che può essere "curata" solamente dal viaggio... perenne, incessante, "senza sosta".
Per fuggire dalle proprie paure e dai propri fantasmi.
Quando Fern si ritrova ospite in casa dell'amico si percepisce che sta provando una solitudine più grande di quella che quotidianamente prova nel suo eterno peregrinare da un posto all'altro, da un impiego occasionale all'altro.
Meravigliosa l'osservazione del vecchio "guru" verso il termine del film: le persone alla fine le reincontri sempre... non è mai un vero addio.
Ritroveremo nel nostro viaggio anche le persone care che sono morte.
Un film molto bello che per certi versi mi ha ricordato un'altra meravigliosa pellicola: “Dersu Uzala” con cui il grande regista Akira Kurosawa vinse il premio Oscar.
Una vita itinerante trascorsa nella natura dal piccolo uomo delle grandi pianure: Dersu Uzala.
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fabriziog
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mercoledì 5 maggio 2021
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film strepitoso on the road!
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Il cinema è tornato! "Nomadland" (Premio Oscar 2021 come Miglior Film) diretto dalla cinese naturalizzata statunitense Chloé Zhao (Miglior Regia) è strepitoso! La fotografia di Joshua James Richards è la vera trama, narrata lungo i solchi espressivi del volto intenso di una gigantesca Frances McDormand, Premio Oscar come Migliore Attrice Protagonista (vi ricordate il personaggio centrale di "Tre manifesti a Ebbing, Missouri"?): le rughe del suo viso raccontano una sofferenza tangibile, visiva, fisica, percepita dal pubblico, una sofferenza che permane anche quando un sorriso le compare sul volto e gli occhi brillano di una luce nuova. È un film on the road, quasi schizofrenico, fra spostamenti dentro sconfinate cornici naturali e la stantia schiavitù del lavoro da Amazon.
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Il cinema è tornato! "Nomadland" (Premio Oscar 2021 come Miglior Film) diretto dalla cinese naturalizzata statunitense Chloé Zhao (Miglior Regia) è strepitoso! La fotografia di Joshua James Richards è la vera trama, narrata lungo i solchi espressivi del volto intenso di una gigantesca Frances McDormand, Premio Oscar come Migliore Attrice Protagonista (vi ricordate il personaggio centrale di "Tre manifesti a Ebbing, Missouri"?): le rughe del suo viso raccontano una sofferenza tangibile, visiva, fisica, percepita dal pubblico, una sofferenza che permane anche quando un sorriso le compare sul volto e gli occhi brillano di una luce nuova. È un film on the road, quasi schizofrenico, fra spostamenti dentro sconfinate cornici naturali e la stantia schiavitù del lavoro da Amazon. Una pellicola en plain air che si sviluppa nella tensione che ogni individuo prova nel cercare un abbraccio da una comunità, nello scansare una solitudine in cui troppi americani sono gettati. Radici che non si dimenticano ma rimangono silenti, come malattie da nascondere, per poi riemergere prepotenti e sospingere Fern a tornare in una casa oramai vuota, disadorna, spoglia, senza più vita. E allora è tempo di andare come novella pioniera con il proprio van più in là, senza meta, salvo un lavoro da trovare, dentro spazi solo apparentemente geografici ma in realtà eterei come possono essere solo quelli dell'anima. Ci vediamo lungo il viaggio
Fabrizio Giulimondi
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gianleo67
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domenica 24 gennaio 2021
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vendo casa...nel nevada
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Persi lavoro e marito in un colpo solo, la non più giovane Fern inizia una carriera improvvisata di lavoratrice stagionale a bordo di un furgone attrezzato lungo le vie dell'Ovest americano. La sua radicale decisione di non mettere più radici si traduce nelle difficili scelte di rinuncia agli affetti stabili e ad una vita errabonda nel limbo pittoresco dei diseredati d'America. Al suo terzo lungometraggio la polivalente regista cinese Chloé Zhao ritorna con un tema incentrato sulla poetica della marginalità e l'epica delle minoranze (due fratelli nativi orfani di padre, un ultimo mandriano male in arnese) con questo adattamento dell'omonimo libro-inchiesta di Jessica Bruder, sfiorando il nervo sensibile e scoperto delle falle del modello liberista post-subprime e puntando senza tanti preamboli al valore di una scelta radicale e minoritaria che riassume nella decrescita felice e nella riscoperta del contatto con la natura una filosofia di vita alternativa alla comfort zone della stanzialità consumistica.
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Persi lavoro e marito in un colpo solo, la non più giovane Fern inizia una carriera improvvisata di lavoratrice stagionale a bordo di un furgone attrezzato lungo le vie dell'Ovest americano. La sua radicale decisione di non mettere più radici si traduce nelle difficili scelte di rinuncia agli affetti stabili e ad una vita errabonda nel limbo pittoresco dei diseredati d'America. Al suo terzo lungometraggio la polivalente regista cinese Chloé Zhao ritorna con un tema incentrato sulla poetica della marginalità e l'epica delle minoranze (due fratelli nativi orfani di padre, un ultimo mandriano male in arnese) con questo adattamento dell'omonimo libro-inchiesta di Jessica Bruder, sfiorando il nervo sensibile e scoperto delle falle del modello liberista post-subprime e puntando senza tanti preamboli al valore di una scelta radicale e minoritaria che riassume nella decrescita felice e nella riscoperta del contatto con la natura una filosofia di vita alternativa alla comfort zone della stanzialità consumistica. Con un piglio documentaristico che fa però del racconto e della psicologia dei suo personaggi la centralità del suo discorso cinematografico, la Zhao mette in scena l'ariosa dialettica tra gli immensi spazi disabitati di un paese troppo spesso associato alle giungle d'asfalto delle sue immense megalopoli e l'inesplorata terra di nessuno abitata da gli eterni ritornanti di una frontiera americana ormai ridotta all'itinerario turistico di una stagionalità lavorativa che si arrende alla propria condizione di sussistenza; una zona grigia sospesa nello spazio e nel tempo in cui coltivare la dolorosa memoria di affetti perduti e traguardare l'orizzonte senza speranza di un ciclicità produttiva itinerante che dia il sapore e l'illusione di una libertà sempre appena a portata di mano. Nel loop in cui la stessa protagonista (una McDormand costantemente in levare) si ficca volontariamente, la consapevole volontà di espiazione di chi ha fatto scelte magari sbagliate ma che ha confidato esclusivamente sulle proprie forze; ma anche e soprattutto il prototipo umano e credibile di una resilienza civica che ha derubricato il lavoro da irrinunciabile statuto di appartenenza sociale a mero strumento di sussistenza biologica. A dispetto delle apparenze quindi, un film che predilige la poetica umanista all'impegno civile, centrando la sua attenzione sulla dolente condizione di chi vive da nomade nella terra di mezzo di una irrangiungibile felicità e relegando la critica politica alle brevi incursioni pubbliche di un canuto profeta del deserto che piange in privato la prematura perdita del figlio od alle brevi battute sulle speculazioni immobiliari fatte nel comodo giardino di una casa borghese da cui filarsela alla chetichella nell'alba di un giorno qualunque e senza lasciare alcuna traccia di sè. Leone d'oro al miglior film alla 77ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia.
...quanta polvere c'è dentro casa è tutto un velo...
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