fiddi
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mercoledì 8 maggio 2024
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superficiale
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Non sono stato capace di vederlo fino in fondo. Pessimo.
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no_data
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domenica 31 gennaio 2021
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piacevole ed esilarante commedia su un tema non facile. consigliato!
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L’ultima pellicola della regista franco-tunisina Manele Labidi affronta il tema difficile, eppure ancora drammaticamente attuale, della condizione della donna nella società moderna e, in particolare, in Tunisia, dove le regole sociali sono tutt’oggi basate su una cultura per molti versi ancora arretrata, patriarcale e maschilista. La trama si svolge intorno alla vita di Selma (Golshifteh Farahani), giovane donna di origini tunisine che dopo la laurea in psicologia e insoddisfatta della vita a Parigi, decide di tornare in Tunisia per aprire uno studio di psicoterapia. La decisione di tornare nel Paese e, sopratutto, quella di iniziare una propria avventura imprenditoriale, la fa immediatamente scontrare con una serie innumerevole di problemi e disavventure, alcune divertenti, altre al limite del grottesco.
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L’ultima pellicola della regista franco-tunisina Manele Labidi affronta il tema difficile, eppure ancora drammaticamente attuale, della condizione della donna nella società moderna e, in particolare, in Tunisia, dove le regole sociali sono tutt’oggi basate su una cultura per molti versi ancora arretrata, patriarcale e maschilista. La trama si svolge intorno alla vita di Selma (Golshifteh Farahani), giovane donna di origini tunisine che dopo la laurea in psicologia e insoddisfatta della vita a Parigi, decide di tornare in Tunisia per aprire uno studio di psicoterapia. La decisione di tornare nel Paese e, sopratutto, quella di iniziare una propria avventura imprenditoriale, la fa immediatamente scontrare con una serie innumerevole di problemi e disavventure, alcune divertenti, altre al limite del grottesco. Selma ritrova infatti un Paese socialmente ed economicamente a pezzi, al limite della schizofrenia, lacerato da divisioni interne profonde e combattuto tra tradizioni, religione, voglia di modernità e desiderio di futuro. La protagonista dovrà infatti districarsi in una vera e propria giungla di pregiudizi, moralismi e ipocrisie mentre sullo sfondo si intravedono già le crepe di una società che fatica a contenere le spinte del progresso e della globalizzazione che fanno breccia sopratutto nelle giovani generazioni. In una società in cui il sesso è tabù e il silenzio su qualsiasi questione personale è legge, una varietà infinita di personaggi fanno la fila per poter affrontare ognuno i propri fantasmi, in un ambiente che sentono finalmente scevro dai pregiudizi. La scelta della commedia dà leggerezza ai temi trattati, il ritmo è piacevole, la fotografia restituisce con autenticità il contesto del nord-Africa, con inquadrature immerse in una luce del giorno accecante che esaltano il bianco delle case umili eppure dignitose. Le due canzoni di Mina che ci accompagnano nella pellicola, Le strade vuote e Io sono quel che sono, sono un segno di vicinanza al nostro Paese che non può non far piacere. Consigliato!
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anna rosa
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domenica 25 ottobre 2020
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meno male che l''ultimo film visto al cinema...
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... prima della nuova chiusura sia stato questo: fa da specchio in modo originale e divertente a una società - quella tunisina - che evidentemente la regista ama e odia al contempo, così come la protagonista del suo film. Come detto da chi mi ha preceduto, la protagonista è una giovane psicanalista tunisina cresciuta a Parigi, che decide "non sa perché " di tornare nel paese d'origine, dove però la mentalità è segnata dal maschilismo, dall'influsso della religione, dalla mancanza di senso civico e di rigore anche solo nel rispettare un orario convenuto, mentre l'apparato statale è rappresentato da un'impiegata che in ufficio tutto fa fuor che lavorare, e da un terzetto di poliziotti di cui due sono dei perfetti idioti, mentre un terzo sembra giocare allo sceriffo ed esigere da Selma l'autorizzazione all'esercizio della professione per gelosia nei confronti di una donna bella colta e libera e non perchè le leggi siano rispettate ("Non siamo nella giungla").
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... prima della nuova chiusura sia stato questo: fa da specchio in modo originale e divertente a una società - quella tunisina - che evidentemente la regista ama e odia al contempo, così come la protagonista del suo film. Come detto da chi mi ha preceduto, la protagonista è una giovane psicanalista tunisina cresciuta a Parigi, che decide "non sa perché " di tornare nel paese d'origine, dove però la mentalità è segnata dal maschilismo, dall'influsso della religione, dalla mancanza di senso civico e di rigore anche solo nel rispettare un orario convenuto, mentre l'apparato statale è rappresentato da un'impiegata che in ufficio tutto fa fuor che lavorare, e da un terzetto di poliziotti di cui due sono dei perfetti idioti, mentre un terzo sembra giocare allo sceriffo ed esigere da Selma l'autorizzazione all'esercizio della professione per gelosia nei confronti di una donna bella colta e libera e non perchè le leggi siano rispettate ("Non siamo nella giungla"). Senonché nell'ultimissima scena lo si vede pretendere invano che dei bagnanti portino via il sacchetto dei loro rifiuti dalla spiaggia: quelli se ne andranno avendo anzi svuotato il sacchetto sulla sabbia. Insomma, la giovane donna che vuole liberare la parola e mettere ordine nei pensieri dei suoi pazienti - tutti personaggi coloritissimi - , ma anche imporre il rispetto di un protocollo nelle sedute, e il giovane poliziotto integerrimo conducono in realtà entrambi la stessa difficile battaglia per la modernizzazione del loro paese. Prima di concludere non posso non dire che il film mi ha conquistata d'emblée, fin dal primo istante, con quella stupenda canzone di Mina ...
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dana scully
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lunedì 19 ottobre 2020
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improbabile e macchiettistico
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Si salva l'ambientazione originale (una Tunisi popolare più o meno come ce la immaginiamo), per il resto non si contano nè i cliché né le macchiette (vogliamo parlare dei poliziotti scemi, dell'impiegata statale fannullona ... si può andare avanti per mesi).
Sommiamo il tutto al fatto che nè si ride (dovrebbe essere una commedia) nè si riesce a provare la più vaga simpatia per qualcuno dei personaggi, uno più antipatico dell'altro).
Non vedevo l'ora di uscire.
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il ciadiano
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domenica 18 ottobre 2020
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ritorno a casa
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Selma, la protagonista, una psicanalista parigina, dopo aver studiato e vissuto in Francia, ritorna a Tunisi per aprirvi uno studio. E qui si scontra con una società che ormai le è estranea ma che dimostra, a sorpresa, di aver bisogno di lei e della sua professione.
Film che affronta in modo leggero ed a volte persino comico diversi temi "seri", anche se a volte solo accennati.
Il desiderio di tornare alle proprie radici, la voglia di fuggire in Europa, la diversità della cultura, la differente concezione della donna e del matrimonio, le nuove generazioni che fremono di fronte alle lusinghe del mondo europeo, l'inerzia burocratica, lo sguardo superiore con cui si guarda ai paesi arabi, la famiglia tunisina, l'omosessualità, la politica, l'Islam, appaiono e scompaiono sullo schermo insieme agli strampalati pazienti, strappandoci un sorrico.
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Selma, la protagonista, una psicanalista parigina, dopo aver studiato e vissuto in Francia, ritorna a Tunisi per aprirvi uno studio. E qui si scontra con una società che ormai le è estranea ma che dimostra, a sorpresa, di aver bisogno di lei e della sua professione.
Film che affronta in modo leggero ed a volte persino comico diversi temi "seri", anche se a volte solo accennati.
Il desiderio di tornare alle proprie radici, la voglia di fuggire in Europa, la diversità della cultura, la differente concezione della donna e del matrimonio, le nuove generazioni che fremono di fronte alle lusinghe del mondo europeo, l'inerzia burocratica, lo sguardo superiore con cui si guarda ai paesi arabi, la famiglia tunisina, l'omosessualità, la politica, l'Islam, appaiono e scompaiono sullo schermo insieme agli strampalati pazienti, strappandoci un sorrico.
La svolta sarà una seduta psicoanalitica in cui lei si ritrova sul divano (o meglio, sul sedile dell'auto) e dall'altra parte c'è nientepopodimeno che Freud in persona.
Un film delizioso come il finale a sorpresa: per Selma ritorna la possibilità di sognare e di scegliere il suo futuro.
Unico neo: una fiducia forse un po' esagerata nella psicoanalisi ...
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venerdì 16 ottobre 2020
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attesa
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Domani corro a venderlo, Rita Ossi
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francesca meneghetti
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giovedì 15 ottobre 2020
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la scommessa di selma
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Introdurre la psicanalisi in un paese arabo e islamico equivale, più o meno, ad avviare una rosticceria che fa solo costine e spedi di maiale: un’eresia. Se la psicanalisi, di per sé, è un metodo terapeutico, le radici della sua ideologia, ebraiche e borghesi, e la sua focalizzazione sulla sessualità ne fanno una summa del pensiero “occidentale”. Nemico numero uno degli integralisti. Questa però è la scommessa di Selma, parigina di formazione, ma tunisina per origine (un po’ come la giovane regista, Manele Labidi Labbé), che decide di avviare uno studio di psiocanalisi, rigorosamente dotato di divano, sulla terrazza della casa di famiglia. La interpreta la magnifica Goshifteh Farahani, affermata attrice iraniana, esule a Parigi e simbolo dell’opposizione all’integralismo islamico.
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Introdurre la psicanalisi in un paese arabo e islamico equivale, più o meno, ad avviare una rosticceria che fa solo costine e spedi di maiale: un’eresia. Se la psicanalisi, di per sé, è un metodo terapeutico, le radici della sua ideologia, ebraiche e borghesi, e la sua focalizzazione sulla sessualità ne fanno una summa del pensiero “occidentale”. Nemico numero uno degli integralisti. Questa però è la scommessa di Selma, parigina di formazione, ma tunisina per origine (un po’ come la giovane regista, Manele Labidi Labbé), che decide di avviare uno studio di psiocanalisi, rigorosamente dotato di divano, sulla terrazza della casa di famiglia. La interpreta la magnifica Goshifteh Farahani, affermata attrice iraniana, esule a Parigi e simbolo dell’opposizione all’integralismo islamico. La sua presenza è, al tempo stesso, punto di forza e di debolezza del film. Selma, coraggiosa e indefessa, si muove con modi flessibili negli scenari tunisini colti a dieci anni di distanza dalla primavera araba e densi di contraddizioni: se una ragazza come Selma può girare liberamente senza velo e vestita all’occidentale, restano però tracce marcate del passato, soprattutto nella tendenza dell’amministrazione statale alla corruzione e al sopruso. Benché osteggiata anche dai propri parenti, Selma intercetta un diffuso malessere, anche da parte di chi non ha problemi economici (in un Paese che ha il 15% di disoccupati), e anzi si vanta di essere “parvenu”. Il film però non ha intenzioni esplicite di tipo documentaristico o di denuncia. Anzi, fa scivolare sullo sfondo questo contesto per portare alla luce tante tipologie umane: una carrellata di personaggi caricaturali, descritti con rapide pennellate, e con effetti per lo più esilaranti: il panettiere che sogna di baciare dittatori arabi, la nipote ribelle che sotto il velo cela delle meches rosso fuoco), la parrucchiera tintinnante di gioielli che soffre però di nausee psicologiche, la funzionaria che, sul posto di lavoro, divora panini, sbuccia pistacchi, vende lingerie, il poliziotto che conosce perfettamente il senso di “atto mancato”. La storia, accompagnata, tra l’altro, da due canzoni di Mina (“Io sono quel che sono”, “Città vuota”), si risolve dunque in una simpatica e divertente commedia che, con una leggerezza un po’ amara, accetta la realtà per quel che è, anche se la protagonista non rinuncia mai a lottare per le sue ragioni. L’intensità con cui la bellissima Goshifteh Farahani la rappresenta seduce lo spettatore e stende un velo su alcune fragilità narrative e di approfondimento.
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giovanni_b_southern
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lunedì 12 ottobre 2020
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banale
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semplicemente banale. blasfemo il paragone con Allen (cosa "ci azzecca").i personaggi calcalti, sopra le righe. critica eccessivamente benevola per un filmettino davvero trascurabile.
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goldy
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sabato 10 ottobre 2020
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la bellezza della leggerezza
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. Senza evidenti intenti ambiziosi la regista si lascia prendere per mano e si lascia condurre nella realtà del suo paese . Arretratezza, indolenza propri di chi vive alla giornata senza progetti esaltanti ma con un'unica certezza quella di andarsene via, Lei invece, la psicoanalista, torna e porta con sè un bagaglio di attenzioni e esperienze che vuole trasmettere ai suoi concittadini Consapevole di dover fronteggiatre pregiudizi radicati riesce a farlo con la determinazione e la calma necessaria..
Un film che sa dire cose pesanti con mano leggera.
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. Senza evidenti intenti ambiziosi la regista si lascia prendere per mano e si lascia condurre nella realtà del suo paese . Arretratezza, indolenza propri di chi vive alla giornata senza progetti esaltanti ma con un'unica certezza quella di andarsene via, Lei invece, la psicoanalista, torna e porta con sè un bagaglio di attenzioni e esperienze che vuole trasmettere ai suoi concittadini Consapevole di dover fronteggiatre pregiudizi radicati riesce a farlo con la determinazione e la calma necessaria..
Un film che sa dire cose pesanti con mano leggera. Una delizia.
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eugenio
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lunedì 28 settembre 2020
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psicoanalisi tunisina
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Tutto il mondo è paese. Una frase fatta che trova la sua carica emozionale e veritiera nell’ultima pellicola di Manele Labidi, Un divano a Tunisi, nelle sale dall’otto ottobre, vincitore del premio del pubblico alla mostra del cinema di Venezia 2019.
Del resto nella realtà si vive su una placida isola d’ignoranza in mezzo a neri mari d’infinito, con personaggi eccentrici e una mentalità comune alle peggiori caratteristiche dell’uomo medio: qualunquismo, indifferenza, rabbia e astio di chi rema contro anziché far gruppo, inadeguatezza figlia dell’incapacità linguistica e confusione mentale determinata da un’organizzazione specifica priva di lavoro strutturato che è anche una lacuna mentale.
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Tutto il mondo è paese. Una frase fatta che trova la sua carica emozionale e veritiera nell’ultima pellicola di Manele Labidi, Un divano a Tunisi, nelle sale dall’otto ottobre, vincitore del premio del pubblico alla mostra del cinema di Venezia 2019.
Del resto nella realtà si vive su una placida isola d’ignoranza in mezzo a neri mari d’infinito, con personaggi eccentrici e una mentalità comune alle peggiori caratteristiche dell’uomo medio: qualunquismo, indifferenza, rabbia e astio di chi rema contro anziché far gruppo, inadeguatezza figlia dell’incapacità linguistica e confusione mentale determinata da un’organizzazione specifica priva di lavoro strutturato che è anche una lacuna mentale.
Un peccato, l’immaginario nazionale è quello di un deserto arido e senza vita. Con tutti coloro che potevano che sono emigrati altrove. Felici? Non so, ma almeno, liberi!
Questo forse avrà pensato la trentacinquenne Selma Derwish (Golshifteh Farahani), donna dal carattere forte e indipendente cresciuta insieme al padre in Francia, dove si è laureata in psicoanalisi.
Dalla Francia, con amour, la giovane eccola tornare, nelle prime inquadrature a Tunisi, sua città d’origine per aprire uno studio privato. Intento lodevole, peccato che la Tunisia, post-Primavera araba non sia proprio confrontabile alla Parigi da belle epoque prefigurata. La psiconalisi è inutile, abbiamo l’Islam, le chiosano anche i parenti, i vicini. Eppure Selma non si arrende, apre il suo studio, nella mansarda sulla terrazza della casa di famiglia (in maniera assai impulsiva, non propriamente autorizzata..), in un’ambiente che le arride assai poco, specie nei pregiudizi e nell’ignoranza dei suoi pazienti. Perché e qui sta l’abilità della cineasta, Un divano a Tunisi, sulla scia di una polveriera politica, sceglie di sfruttare apertamente la chiave della commedia per invitare lo spettatore a riflettere sul ruolo di donna, con un sostrato culturale cinefilo al nostro paese da Matrimonio all'italiana, Brutti, sporchi e cattivi, una vicinanza al nostro bel paese che non può che far piacere grazie alla scelta di una colonna sonora con due canzoni storiche di Mina : Le strade vuote e Io sono quel che sono.
Quel coacervo di imperscrutabile precarietà umana è rappresentata dalla lunghissima fila che si presenta dinanzi alla porta della mansarda della nostra protagonista, un’umanità variegata dalle molteplici paranoie, frutto spesso di ipocrisie sulla borghesia media sul sesso e la regione, ragione e sentimento che si scontrano in parodistiche sedute psichiatriche. Si va quindi dalla stressata proprietaria del salone di bellezza del quartiere, al panettiere (Hichem Yacoubi) che le svela i dubbi sulla sua sessualità (con tanto di sogni per lui incomprensibili come quello in cui immagina di baciare Putin); da un imam caduto in depressione a un uomo convinto di essere spiato. E alle visite di una burocrazia zelante rappresentato da un poliziotto, interessato più che all’attività mica tanto lecita della donna, al soggetto stesso della “seduta”. Selma si troverà quindi tra due fronti: da una parte la difficile e comune trafila burocratica (con tanto di uffici pubblici che sanno di italietta dantesca), dall’altro il confronto con una realtà di un paese che ha appena vissuto una rivoluzione e sta iniziando ad aprirsi con difficoltà all’occidente.
Manele Labidi, col volto della sua protagonista, riflette intimamente sulle radici storiche, sull’importanza del passato culturale, in un personale e sofferto (nonostante permeato da una ironia di fondo) ritorno alle origini.
Il confronto dialogico con una famiglia caratteristica ma emozionalmente vera sarà l’ancora di salvezza, per liberarsi, lei stessa che dovrebbe essere maieutica, dalla maschera rigida di un’esistenza non sua, in un personale percorso terapeutico. E Selma/Manele lo fa con l’arma del sorriso, senza la pesantezza di un dogma imposto, con riuscite inquadrature di un presente lacerato tra modernità e tradizione, in eterno divenire come quel mare su cui si chiude la pellicola, dinamico e impetuoso, calmo e placido come la vita stessa.
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