figliounico
|
mercoledì 1 febbraio 2023
|
la ribellione alla dolce violenza
|
|
|
|
Esordio felice di Carlo Mirabella Davis nel suo primo lungometraggio, un drammatico girato in uno stile che ricorda quello della commedia americana degli anni ’60 e non soltanto per la fotografia, che ne richiama i tipici colori pastello, già adottati in altri recenti film vintage come Suburbicon, e nella scenografia, con le inquadrature ripetute della tipica cucina pulita e ordinata, simbolo di una vita familiare incentrata sul focolare domestico in cui domina, relegata al suo ruolo di reginetta della casa, la donna, ma soprattutto per la riproposizione in chiave moderna di una situazione tipica di quegli anni, evidentemente ancora presente sebbene in forme diverse nella società attuale, ovvero quella di un apparente benessere economico che nasconde impulsi conflittuali inespressi nella coppia, che sfociano nella quotidiana patologia di comportamenti deviati, spia di malesseri sotterranei, si pensi all’alcolismo diffuso tra le casalinghe dell’epoca.
[+]
Esordio felice di Carlo Mirabella Davis nel suo primo lungometraggio, un drammatico girato in uno stile che ricorda quello della commedia americana degli anni ’60 e non soltanto per la fotografia, che ne richiama i tipici colori pastello, già adottati in altri recenti film vintage come Suburbicon, e nella scenografia, con le inquadrature ripetute della tipica cucina pulita e ordinata, simbolo di una vita familiare incentrata sul focolare domestico in cui domina, relegata al suo ruolo di reginetta della casa, la donna, ma soprattutto per la riproposizione in chiave moderna di una situazione tipica di quegli anni, evidentemente ancora presente sebbene in forme diverse nella società attuale, ovvero quella di un apparente benessere economico che nasconde impulsi conflittuali inespressi nella coppia, che sfociano nella quotidiana patologia di comportamenti deviati, spia di malesseri sotterranei, si pensi all’alcolismo diffuso tra le casalinghe dell’epoca. In questo caso la malattia, il picacismo, sintomo di una sofferenza psichica implosa, diventa simbolo di una ribellione violenta sebbene autolesionista ad una dolce e persuasiva costrizione, del marito e della sua famiglia, in uno stato di passiva subalternità, una violenza senza violenza che metaforicamente richiama nell’inconscio della protagonista quella brutale e fisica dello stupro subito dalla madre. Ma gli anni ’60 sono lontani, i tempi sono cambiati, e la protagonista, efficacemente interpretata da Haley Bennett, non subirà al pari della madre la prevaricazione maschile decidendo da sé stessa il proprio destino. Nella scena finale i titoli di coda scorrono sopra le immagini di una toilette per donne, come in una dedica non convenzionale al mondo femminile e alle sue conquiste, ma allo stesso tempo, a contrasto, denotandone con ironia la separatezza e l’esclusione dal mondo governato dagli uomini, che si manifesta nell’esclusività del locale pubblico, in una sorta di apartheid metaforicamente rappresentato da un ambiente comune e privo di per sé di connotazione politica, come a dire che invece tutto è politica, anche paradossalmente un gabinetto pubblico.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a figliounico »
[ - ] lascia un commento a figliounico »
|
|
d'accordo? |
|
peer gynt
|
venerdì 4 dicembre 2020
|
solitudine disperata
|
|
|
|
Giovane moglie vive in bellissima casa ma con marito ricco che è sempre fuori per lavoro, e quando torna dimostra di trattarla più come un bel soprammobile o un simpatico criceto che come una persona vera. Lei allora comincia ad inghiottire oggetti, anche taglienti...
Lei, Hunter, è Haley Bennett (molto graziosa e brava), il racconto ci intrattiene con una storia angosciante, dolorosa e opprimente (nel finale si chiarisce il perché di questa patologia ossessivo-compulsiva autolesionistica), la resa fotografica è ottima e illustrata con alcune belle inquadrature di geometrica plasticità.
[+]
Giovane moglie vive in bellissima casa ma con marito ricco che è sempre fuori per lavoro, e quando torna dimostra di trattarla più come un bel soprammobile o un simpatico criceto che come una persona vera. Lei allora comincia ad inghiottire oggetti, anche taglienti...
Lei, Hunter, è Haley Bennett (molto graziosa e brava), il racconto ci intrattiene con una storia angosciante, dolorosa e opprimente (nel finale si chiarisce il perché di questa patologia ossessivo-compulsiva autolesionistica), la resa fotografica è ottima e illustrata con alcune belle inquadrature di geometrica plasticità. Non un capolavoro (ci sono difetti, ad esempio il marito e i suoceri di lei sono più funzioni narrative che personaggi, troppo schematici, e l'infermiere siriano sembra abbastanza fuori posto), ma comunque un film che coinvolge e inquieta, soprattutto per il personaggio della protagonista, Hunter, per il suo volto pacatamente disperato, per la sua immensa solitudine.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a peer gynt »
[ - ] lascia un commento a peer gynt »
|
|
d'accordo? |
|
|