La Gomera - L'isola dei fischi

Il poliziotto che impara a fischiettar

Chi ha visto A est di Bucarest, satira amara ma anche spassosa del Paese post Ceausescu, il documentario Futbol Infinit su un pazzo che vorrebbe trasformare il campo di calcio in un ottagono, e Il tesoro su due tizi che scavano nel giardino di una villa alla ricerca di un malloppo sotterrato ai tempi del comunismo, sa che Corneliu Porumboiu è, tra i registi della vitalissima nouvelle vague romena ( Mungiu, Puiu, Sitaru per citarne alcuni), il più strambo, ironico e difficilmente etichettabile. Lo dimostra il suo nuovo film La Gomera. L' isola dei fischi, presentato in concorso a Cannes 2019 e al festival di Torino (uscita spostata al 27 febbraio): un lavoro anomalo che parte come una commedia e poi si addentra nei territori del thriller- noir con una struttura narrativa complessa, una trama a tratti difficile da decifrare, ma allo stesso tempo che è capace di ribaltare il genere e di coniugare suspence, divertimento e riflessione teorica sul linguaggio cinematografico. Pubblico e critica si sono divisi tra detrattori ed estimatori: chi lo ha liquidato come un giochino citazionista fine a se stesso, chi lo ha apprezzato per la lucidità con cui alterna luoghi (Bucarest e la Gomera, selvaggio isolotto delle Canarie) e tempi, in una costruzione divisa in episodi, ciascuno dedicato a un personaggio, che però alla fine risulta perfettamente coerente. La storia è quella di un uomo qualunque, il poliziotto Cristi (Vlad Ivanov), senza famiglia a parte una madre un po' inquietante, tentato dall'idea di arricchirsi. Si trova così a collaborare con una banda di trafficanti di droga per una posta in gioco di 30 milioni di euro: forse è un infiltrato, forse è corrotto, forse è solo la pedina di un ingranaggio infernale. Gli elementi del noir ci sono tutti: una donna bellissima e misteriosa di nome Gilda (riferimento esplicito alla femme fatale di Rita Hayworth, interprete Catrinel Marlon), il suo amante Szolt da far uscire dal carcere, la figura sinistra di un albergatore, la capa della polizia Magda decisa a sventare il piano criminale utilizzando anche metodi poco ortodossi, le sparatorie, i soldi nascosti nel materasso e pure il sentimento, che scombina i piani. Diverte ed è elemento di rottura rispetto alla serietà dei film di truffa e alla denuncia della corruzione, tema ricorrente nella cinematografia romena, la trovata di inviare Christi sull'isola ad imparare il Siblo, l'antica lingua dei fischi usata dai pastori locali per comunicare a grande distanza e capirsi solo tra loro, come se fossero uccelli. E a lui sarà utile per mandare messaggi ai suoi complici senza essere intercettato. Non bisogna aspettarsi però uno svolgimento lineare della vicenda, perché le doppie verità, i colpi di scena, le ambiguità, si moltiplicano tenendo viva la tensione e lasciando lo spettatore nel dubbio. Ma La Gomera è anche un film sul cinema, con le sue citazioni ben riconoscibili: dalla scena della doccia (vuota) di Psycho di Hitchcok, alla sequenza originale di Sentieri Selvaggi di John Ford con John Wayne che Cristi e Magda guardano in una cineteca di Bucarest ( e lì a fischiare sono i nativi americani), sino al finale che rimanda a La donna che visse due volte. Senza dimenticare che Porumboiu ricorre anche a una colonna sonora in contrappunto con le situazioni, spaziando dal rock di Iggy Pop dell'inizio (The passenger) a brani d'opera come Casta diva dalla Norma, questa volta non nella sfruttatissima versione della divina Callas, ma cantata da Anna Netrebko, a dimostrazione che anche i miti della lirica si rinnovano.
Da La Repubblica, 3 febbraio 2020


di Paola Zonca, 3 febbraio 2020