jonnylogan
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domenica 31 maggio 2020
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il ragazzo meraviglia
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Otis Lort, stella dodicenne di una sitcom per ragazzi, vive assieme a suo padre James in un motel alla periferia di Los Angeles. James è un ex veterano del Vietnam, disintossicatosi da poco e che impartisce al figlio lezioni di vita basate sul sopruso. Una volta cresciuto Otis diventa una persona problematica al centro di numerose risse e vittima di un incidente stradale causato dall’alcool, per questo verrà mandato in terapia dove per motivi medici gli viene ordinato di scrivere e descrivere il legame che lo univa al padre.
Shia LeBeouf, promessa ormai ultra trentenne del cinema d’oltreoceano, adatta i propri ricordi d’infanzia da bambino prodigio del canale Disney Chanel, cercando di spiegarci le ragioni delle sue ripetute ricadute adulte nel mondo della violenza e nell’abuso di sostanze alcooliche, donando un soggetto intimo e frutto di mesi di terapia riabilitativa alla regista Israelo-americana Alma Har'el alla quale pone come unica condizione, per poter narrare la storia di Otis e James, che fosse lui a impersonare il ruolo di James, alter ego di suo padre, clown da rodeo, veterano del Vietnam, dedito a stupefacenti e a suo modo innamorato del figlio Otis, stella dodicenne per la tv dei ragazzi e ormai in rampa di lancio per una fulgida carriera.
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Otis Lort, stella dodicenne di una sitcom per ragazzi, vive assieme a suo padre James in un motel alla periferia di Los Angeles. James è un ex veterano del Vietnam, disintossicatosi da poco e che impartisce al figlio lezioni di vita basate sul sopruso. Una volta cresciuto Otis diventa una persona problematica al centro di numerose risse e vittima di un incidente stradale causato dall’alcool, per questo verrà mandato in terapia dove per motivi medici gli viene ordinato di scrivere e descrivere il legame che lo univa al padre.
Shia LeBeouf, promessa ormai ultra trentenne del cinema d’oltreoceano, adatta i propri ricordi d’infanzia da bambino prodigio del canale Disney Chanel, cercando di spiegarci le ragioni delle sue ripetute ricadute adulte nel mondo della violenza e nell’abuso di sostanze alcooliche, donando un soggetto intimo e frutto di mesi di terapia riabilitativa alla regista Israelo-americana Alma Har'el alla quale pone come unica condizione, per poter narrare la storia di Otis e James, che fosse lui a impersonare il ruolo di James, alter ego di suo padre, clown da rodeo, veterano del Vietnam, dedito a stupefacenti e a suo modo innamorato del figlio Otis, stella dodicenne per la tv dei ragazzi e ormai in rampa di lancio per una fulgida carriera. Nel viso di James, un LeBoeuf alla sua miglior prova intimista, c’è sempre un misto di falsità mista a odio e amore, nei confronti di un figlio che ha avuto più successo di lui e che per questo si può permettere di pagarlo per accompagnarlo sul set. Un figlio al quale, con freddo cinismo, sottopone schiaffi, offese e intimidazioni psicologiche come senso di rivalsa. Dall’altro lato Noah Jupe riesce a non farsi schiacciare da una prestazione tanto efficace riuscendo a cancellare quasi del tutto la pur ottima prova di Lucas Hedges (altra ottima prova per il protagonista di Manchester By The Sea)nel ruolo diOtis ma cresciuto e ormai ventenne. Jupe sfruttando i dialoghi fra padre e figlio dona altrettanto pathos a un adolescente cresciuto troppo in fretta. Stella in ascesa pronta a esplodere precocemente, per colpa di un’infanzia trascorsa con un cattivo modello genitoriale, una madre assente e una scuola frequentata quando capita. Un viaggio quindi nei ricordi catartici di uno dei migliori attori della propria generazione, una pellicola ai margini della città degli angeli, perfetta anche per capire come, e per quale motivo, spesso le giovani promesse siano incapaci di rialzarsi in età adulta.
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francescofacchinetti
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lunedì 1 giugno 2020
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cinema come terapia, anzi meglio.
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Dopo Greta Gerwig ed il suo ‘Little Women’, un’altra voce femminile si aggiunge alla collezione delle perle di questa stagione cinematografica. Si tratta della regista israeliana Alma Har’el che sceglie di sbatterci in faccia, con forza e sensibilità, la storia di un giovanissimo Shia LaBeouf, i suoi primi passi nel mondo dello spettacolo e (soprattutto) il difficile rapporto col padre, che tanto lo ha influenzato nel suo percorso di attore e di uomo. ‘Honey Boy’ è un autoritratto sceneggiato dallo stesso LaBeouf con la sincera e catartica funzione di auto-psicanalizzarsi, di ripercorrere parte di quei traumi e di quelle esperienze che lo hanno fatto crescere così presto, che lo hanno portato già a 12 anni a mantenere economicamente un padre che non ce l’ha mai fatta, né come padre né come showman.
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Dopo Greta Gerwig ed il suo ‘Little Women’, un’altra voce femminile si aggiunge alla collezione delle perle di questa stagione cinematografica. Si tratta della regista israeliana Alma Har’el che sceglie di sbatterci in faccia, con forza e sensibilità, la storia di un giovanissimo Shia LaBeouf, i suoi primi passi nel mondo dello spettacolo e (soprattutto) il difficile rapporto col padre, che tanto lo ha influenzato nel suo percorso di attore e di uomo. ‘Honey Boy’ è un autoritratto sceneggiato dallo stesso LaBeouf con la sincera e catartica funzione di auto-psicanalizzarsi, di ripercorrere parte di quei traumi e di quelle esperienze che lo hanno fatto crescere così presto, che lo hanno portato già a 12 anni a mantenere economicamente un padre che non ce l’ha mai fatta, né come padre né come showman. Come in ogni storia viscerale non ci sono vincitori o sconfitti, il dolore segna e i segni restano, e la vera vittoria è rinunciare a nasconderli, lo stesso cinema che lo ha lanciato e che stava per ucciderlo, qui diventa per Shia un’occasione per ricongiungersi con l’uomo che è sempre stato, anche quando avrebbe dovuto essere solo un ragazzino. Il giovanissimo Noah Jupe fa un’interpretazione toccante e Lucas Hedges si riconferma il grande talento che è, entrambi nei panni di un LaBeouf targato (rispettivamente) 1995 e 2005 con Shia che interpreta (magistralmente) suo padre.
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felicity
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lunedì 17 gennaio 2022
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un film difficile da dimenticare
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A leggere la trama di Honey Boy il rischio di trovarci di fronte ad un melò capace di far leva in maniera grossolana sui sentimenti del pubblico poteva essere concreto ma per fortuna Alma Har’el dirige una pellicola di grande spessore. La regista, che proviene dal mondo del documentario e dei videoclip, dimostra di essere a suo agio anche con il cinema di finzione: già dall’inquadratura iniziale infatti si capisce come la Har’el gestisca ottimamente sia le sequenze più costruite che le scene in cui la camera a mano è preponderante. Inoltre la durata della pellicola (appena 94 minuti) permette alla cineasta di eliminare i tempi morti, mantenendo in questo modo l’attenzione dello spettatore sempre alta.
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A leggere la trama di Honey Boy il rischio di trovarci di fronte ad un melò capace di far leva in maniera grossolana sui sentimenti del pubblico poteva essere concreto ma per fortuna Alma Har’el dirige una pellicola di grande spessore. La regista, che proviene dal mondo del documentario e dei videoclip, dimostra di essere a suo agio anche con il cinema di finzione: già dall’inquadratura iniziale infatti si capisce come la Har’el gestisca ottimamente sia le sequenze più costruite che le scene in cui la camera a mano è preponderante. Inoltre la durata della pellicola (appena 94 minuti) permette alla cineasta di eliminare i tempi morti, mantenendo in questo modo l’attenzione dello spettatore sempre alta.
Ciò che colpisce di Honey Boy è, nella sua drammaticità, la capacità di trasmettere un’atmosfera sognante, quasi favolistica, che lascia spazio alla speranza, offrendo al protagonista quel percorso verso la redenzione a cui si aggrappa con tutto se stesso. Grazie anche ad un casting perfetto, in cui spiccano il bravissimo Lucas Hedges (che abbiamo imparato a conoscerlo grazie allo splendido Manchester By The Sea) ma soprattutto lo straordinario Noah Jupe (ragazzino che a soli 15 anni vanta già una carriera cinematografica di tutto rispetto), è impossibile non provare empatia nei confronti di Otis.
Tuttavia, ciò che rende speciale la pellicola, è il contributo di Shia LaBeouf: l’attore diventato famoso con la saga di Transformers ha finalmente raggiunto la sua maturità artistica in questo progetto così personale. LaBeouf, nel periodo in cui si trovava in riabilitazione, scrisse la sceneggiatura del film come parte del suo programma di recupero e, a vedere il risultato finale, si capisce quanto la forza catartica di Honey Boy (il titolo si ispira al soprannome della star da bambino) sia dirompente. La scelta di interpretare il ruolo del padre di Otis era l’unica possibile per rendere il lungometraggio cinematograficamente potente; già in Nymphomaniac e Lawless abbiamo visto un interprete in grado di offrire prove di qualità però, questa volta, l’intensità e la passione che ci mette nel dar vita al personaggio di James sono tali da regalarci la performance più convincente della sua carriera. Mettere in scena così efficacemente il difficile rapporto padre/figlio ispirato all’infanzia di LaBeouf (grazie anche alla chimica tra l’attore classe 1986 e Noah Jupe) ci aiuta a comprendere non solo la sua tormentata vita privata ma il motivo per cui tanti enfants prodiges del cinema americano (come Macaulay Culkin, per fare un nome) siano entrati nello stesso tunnel, senza esserne mai usciti del tutto.
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