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Un microcosmo chiamato "Roma"

di GiorgioDevcich


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mercoledì 3 maggio 2017

Francesco, Carlo, Loco e Giordano sono quattro deficienti (nel senso etimologico della parola) alla conquista della Spagna, sono personaggi fortemente caratterizzati, raccolgono l'eredità dei vari Guido Tersilli e Vittorio Blasi di Alberto Sordi. Sono i Mr. Deed di Frank Capra (E' arrivata la felicità, 1936) che si portano dietro qualche stranezza, che cercano la felicità in maniera bislacca. Se i commedianti di Lubitsch (Vogliamo Vivere, 1942) erano in partenza istrionici e buffoneschi questi sono buffoneschi e basta. Per usare le stesse parole di Carlo: sono un bamboccione, un fallito, un codardo e "er peggio che so io". Accomunando Montevideo a Monterotondo e trasformando "il soy in soyo e il como te llamas in come te chiamis", ci regalano qua e là perle di saggezza del tipo: "è castillana quindi sarà una principessa". Sono irriverenti, sfacciati, politicamente scorretti, entrano nel pub delle asturie cantando "facete largo che passamo noi" esattamente come fossero ad Ariccia. Sono immaturi, hanno un rapporto asimmetrico, irregolare, anormale verso l'altro sesso; uno è vergine, uno si sposa ma (come direbbe Giacomo) "non è una cosa seria", uno le apprezza unicamente nel loro design "alla Renzo Piano" e l'ultimo non potrà comunque farsi famiglia per motivi terzi. L'esteta del gruppo dirà che sta con la moglie ma non sa perché e che se le donne le paghi prima risparmi. Sempre sua la chiosa finale: i sentimenti creano dipendenza quindi meglio l'alcol. La loro amicizia nasce da lontano, dalla passione del calcio, dalla Roma, dal "rito di gruppo" così come espresso nei libri di sociologia. Tengono le foto di Boniek o di Pruzzo sul muro, giocano a subbuteo, considerano Falcao e Pruzzo i più forti calciatori giallorossi dopo Totti. A suggellare questo guardarsi indietro la presenza del furgone VW, dell'autoradio e delle musicassette. Tutti e quattro sono romanisti ma sono romani dentro, sono panem et circensem, sono l'emblema che nella vita non ha senso il panem senza il circensem, in questo caso il bernabeum. E' un film che mantiene il doppio registro, il doppio linguaggio, rende evidente l'incontro dell'italiano con lo spagnolo anche se l'italiano è declinato in romanesco o romanaccio che dir si voglia. I tempi del dialogo sono relativamente serrati a meno che la frase non abbia un valore particolare, non rappresenti un crocevia, non si erga a simbolo di qualcosa nel qual caso il tempo rallenta, si espande, respira. Le inquadrature sono ricercate, si prediligono gli ambienti aperti, rurali o urbani ma comunque tipicamente spagnoli nel senso più artistico della parola. Bellissima la sosta davanti alla cattedrale e nella piazza grande coi porticati. Tra segovia, valladolid e madrid il quartetto funziona laddove interviene il Giordano Bruno della situazione e viceversa tutto si complica se la verità e la maturità la devono sviluppare da soli come nella bellissima scena delle terme. Tra i vapori dell'acqua calda Carlo fa esattamente quello che faceva Sordi ne "I vitelloni" quando, con la bottiglia in mano, ammette la bassezza e l'imperfezione propria e degli altri. Esattamente come "Fuga nella notte" (Mann, 1982) questo film si può leggere a più livelli ed è in realtà una riflessione sul passaggio all'età adulta, Francesco che parte con l'idea di un addio al celibato nel quale "fare l'amore con la Roma" (quasi fosse un'amante) deve invece scoprire il senso vero e passionale del sentimento, deve imparare a posporre il gol del capitano alle labbra della donzella. Giordano deve confrontarsi con le sue superstizioni, deve imparare a reagire agli eventi. Tutti, alla fine della fiera, diventano adulti capendo che l'amore è dietro la paura, è nascosto tra le imperfezioni, è all'interno delle malattie, è quello che ti rimane quando decidi di lasciare quello che non va. I personaggi sono meravigliosamente imperfetti laddove, all'inizio della vacanza erano semplicemente imperfetti e la meraviglia è dentro alla loro fragilità. Esattamente come nel cartone animato Galaxy Express 999 (anch'esso anni settanta) quando arrivano alla fine del viaggio non riescono ad entrare, non concludono quanto si prefissano e la sfida è proprio comprendere che la bellezza sta nel viaggio e non nell'arrivo, sta nel sentire le persone vicino, sta nel "chi" e non nel "dove". E' un film perfetto perché con tutta evidenza non si erge a film d'autore ma, nella sua semplicità (e in questo è un po' disneyano) non lascia nulla di intentato o di incompiuto. Si esce dal cinema con un sorriso mentre si cerca il fazzoletto in tasca.

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