barone di firenze
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domenica 26 febbraio 2017
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meraviglioso
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Sul film nulla da dire ottima la fotografia buona l'interpretazione degli attori non protagonisti, sulla Kidman era scontato ormai è nel pieno della maturità artistisca, buono anche il suo partner maschiile e la Rooney Mara. Anche Pavel ormai è una star e quindi ha dato un'interpretazione superba. Non conosco il regista Garth Davis ma più che la storia vera che come tutte le storie vere tocca, ho apprezzato la visione politica della storia il mondo capitalistico d'occidente (considero l'australia occidente in quanto sono tutti sudditi di sua Maestà) e il capitalismo emergente dell'India grande potenza industriale ma che ha Calcutta la capitale della degenerazione dell'uomo con i ragazzi di strada venduti ai ricchi adottanti alla degenerazione della pedofila fatta quasi legge.
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Sul film nulla da dire ottima la fotografia buona l'interpretazione degli attori non protagonisti, sulla Kidman era scontato ormai è nel pieno della maturità artistisca, buono anche il suo partner maschiile e la Rooney Mara. Anche Pavel ormai è una star e quindi ha dato un'interpretazione superba. Non conosco il regista Garth Davis ma più che la storia vera che come tutte le storie vere tocca, ho apprezzato la visione politica della storia il mondo capitalistico d'occidente (considero l'australia occidente in quanto sono tutti sudditi di sua Maestà) e il capitalismo emergente dell'India grande potenza industriale ma che ha Calcutta la capitale della degenerazione dell'uomo con i ragazzi di strada venduti ai ricchi adottanti alla degenerazione della pedofila fatta quasi legge. Una guardia del regime che rincorre due ragazzi per un chilo di carbone e la quintessenza di un capitalismo degenere e delinquente che fa si che l'infanzia che dovrebbe essere il periodo della spensieratezza diventi un inferno in terra. dieci più al giovane regista.
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ciotla
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giovedì 29 dicembre 2016
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la sicurezza del film tratto da una storia vera
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Veramente emozionante. Una separazione forzata che dura 25 anni o solo una notte a seconda di come la si vuol pensare.
Il legame con una mamma è sicuramente qualcosa di inspiegabilmente indissolubile ma in questo caso l'intesa del piccolo Saroo con il fratello maggiore è più forte di qualsiasi cosa.
Proprio il fratello permette a Saroo di "ritrovare" il bandolo della matassa, la stessa che lo avrebbe portato alla rovina di se stesso e della famiglia adottiva se non avesse ritrovato sua madre e i suoi fratelli che erano li ad attenderlo da oltre 2 decenni. Ritornato a Garth Davis non c'è più Guddu ad attenderlo ma bensì la propria anima che si ricongunge al corpo per riniziare la propria vita dopo 25 anni di attesa.
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Veramente emozionante. Una separazione forzata che dura 25 anni o solo una notte a seconda di come la si vuol pensare.
Il legame con una mamma è sicuramente qualcosa di inspiegabilmente indissolubile ma in questo caso l'intesa del piccolo Saroo con il fratello maggiore è più forte di qualsiasi cosa.
Proprio il fratello permette a Saroo di "ritrovare" il bandolo della matassa, la stessa che lo avrebbe portato alla rovina di se stesso e della famiglia adottiva se non avesse ritrovato sua madre e i suoi fratelli che erano li ad attenderlo da oltre 2 decenni. Ritornato a Garth Davis non c'è più Guddu ad attenderlo ma bensì la propria anima che si ricongunge al corpo per riniziare la propria vita dopo 25 anni di attesa.
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francesca50
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sabato 7 gennaio 2017
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non da scartare ma non perfetto
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Data la propaganda mi aspettavo di più! Anche se mi piace il fatto che è tratto da una storia vera, l'ho trovato per come si dipana molto inferiore a un'altra storia vera di genere completamente diverso andata in onda questi giorni: Florence dove si riconosce l'ottima sceneggiatura...oltre che bravura di tutti.
Qui invece c'è una ripetitività oltre che lentezza del racconto che è un grande difetto per un film che si propone da Oscar.
Non togliamo il merito ai bambini, tra cui il protagonista piccolo, che sono superlativi insieme ai paesaggi.
Ma il film non va oltre e non è emozionante come si dice.
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Data la propaganda mi aspettavo di più! Anche se mi piace il fatto che è tratto da una storia vera, l'ho trovato per come si dipana molto inferiore a un'altra storia vera di genere completamente diverso andata in onda questi giorni: Florence dove si riconosce l'ottima sceneggiatura...oltre che bravura di tutti.
Qui invece c'è una ripetitività oltre che lentezza del racconto che è un grande difetto per un film che si propone da Oscar.
Non togliamo il merito ai bambini, tra cui il protagonista piccolo, che sono superlativi insieme ai paesaggi.
Ma il film non va oltre e non è emozionante come si dice. Non so perché ma non ho versato una lacrima al contrario di quando vidi Millionaire!
Troppo melensi certi dialoghi e troppo privo di profonda introspezione psicologica.
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filippotognoli
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giovedì 29 dicembre 2016
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la vera storia di saroo
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Toccante, inteso, vero: questi sono i primi aggettivi che mi vengono in mente alla fine del film. E' quasi un docu-film, nel senso che la pellicola mira a raccontare la vera storia a lieto fino di uno dei tanti/troppi bambini indiani scomparsi nel nulla (alla fine si scoprira' che ogni anno, nella sola India circa 80000 bimbi finiscono dispersi.) Saroo da piccolo e' interpretato da uno strepitoso bimbo che non puo' non commuovere ed incantare al primo sguardo. Da adolescente poi un bravissimo Dev Patel da corpo e voce al protagonista. Da menzionare anche l'intensa interpretazione dei genitori adottivi, Kidman e Rigby, e della madre indiana di Saroo. Scontante, ma comunque non banali le immagini dei personaggi veri sui titoli di coda.
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antoniobianchi
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lunedì 14 agosto 2017
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colonialismo cinematografico
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L'India è un continente che esiste apposta per permettere alle persone di buona volontà, soprattutto quelle con la faccia finta di Nicole Kidman, di esercitare le proprie buone azioni. Un Paese di un miliardo di persone, all'epoca dell'infanzia del protagonista, su cui il fim si intrattiene un tempo infinito, dove non si trova una sola persona con un senso di umanità. Tutto il catalogo delle nefandezze viene aperto e mostrato, la bassezza umana a cui il piccolo scappa forte solo delle sue gambe.
E poi arriva la Kidman con il suo infinito Amore e accoglie prima Saroo e poi un altro piccolo, perchè il suo Amore è infinito, ma questo però con tanti problemi, povera mamma.
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L'India è un continente che esiste apposta per permettere alle persone di buona volontà, soprattutto quelle con la faccia finta di Nicole Kidman, di esercitare le proprie buone azioni. Un Paese di un miliardo di persone, all'epoca dell'infanzia del protagonista, su cui il fim si intrattiene un tempo infinito, dove non si trova una sola persona con un senso di umanità. Tutto il catalogo delle nefandezze viene aperto e mostrato, la bassezza umana a cui il piccolo scappa forte solo delle sue gambe.
E poi arriva la Kidman con il suo infinito Amore e accoglie prima Saroo e poi un altro piccolo, perchè il suo Amore è infinito, ma questo però con tanti problemi, povera mamma. La disabilità dipinta con volgarità e ignoranza, senza rispetto per la persona e per l'intelligenza degli spettatori.
Lei, Kidman, ha avuto una visione da piccola, che le ha detto cosa fare. Non aumentare la popolazione mondiale, ma fare tanto del bene a quei poveri disgraziati dalla pelle scura. E vive perseguendo la sua missione.
E poi anche le sequenze dei protagonisti "veri" al termine del film.
Allo spettatore non viene risparmaito nulla. Deve bere ogni goccia di quell'intruglio.
Anche il link per contribuire a risolvere il problema dei bambini indiani che spariscono.
Insomma, siamo occidentali, noi possiamo risolvere tutto. Magari mandando un sms.
Cerco nelle recensioni del pubblico e trovo uno spiraglio per respirare. Grazie Miss Brown.
Recensione che avrei semplicemente sottoscrivere. Descrive lo stato d'animo che ho provato nel corso degli interminabili 129 minuti della proiezione.
Qui ho aggiunto solo qualche altro elemento per dire che questo film, se potete evitarlo, vi fate un regalo.
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flyanto
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martedì 3 gennaio 2017
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la vera storia di un bimbo indiano adottato inaust
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Tratto da una storia realmente accaduta, "Lion" racconta l' "odissea" vissuta da un bambino indiano di circa 5 anni che, persosi alla stazione del suo villaggio, sale per sbaglio su di un treno che lo porterà sino a Calcutta dove, solo ed impaurito, dovrà affrontare una lunga serie di peripizie sino ad essere rinchiuso in un orfanotrofio dove, dopo circa un anno, verrà adottato da una coppia australiana. Condotto in Australia, qui il protagonista trascorrerà, molto amato dai suoi nuovi genitori, tutta la sua infanzia e giovinezza ma, una volta cresciuto, all'età di 25 anni, sentendosi sempre in una condizione di disagio interiore in quanto assai curioso e desideroso di ritrovare la sua vera famiglia, incomincia a compiere una lunga ed estenuante, ed agli inizi pure infruttuosa, ricerca sulle proprie origini finchè finalmente alla fine riuscirà nel suo intento di riabbracciare di persona i propri cari nella terra natia.
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Tratto da una storia realmente accaduta, "Lion" racconta l' "odissea" vissuta da un bambino indiano di circa 5 anni che, persosi alla stazione del suo villaggio, sale per sbaglio su di un treno che lo porterà sino a Calcutta dove, solo ed impaurito, dovrà affrontare una lunga serie di peripizie sino ad essere rinchiuso in un orfanotrofio dove, dopo circa un anno, verrà adottato da una coppia australiana. Condotto in Australia, qui il protagonista trascorrerà, molto amato dai suoi nuovi genitori, tutta la sua infanzia e giovinezza ma, una volta cresciuto, all'età di 25 anni, sentendosi sempre in una condizione di disagio interiore in quanto assai curioso e desideroso di ritrovare la sua vera famiglia, incomincia a compiere una lunga ed estenuante, ed agli inizi pure infruttuosa, ricerca sulle proprie origini finchè finalmente alla fine riuscirà nel suo intento di riabbracciare di persona i propri cari nella terra natia.
Un film sulla ricerca di se stessi e sul mistero, unito alla forte volontà di ritrovare le proprie origini, che avvolge una persona sul suo reale passato e che il regista Garth Davis rappresenta in maniera assai efficace e senza cadere eccessivamente in un aspetto troppo edulcorato. I vari stati d'animo del protagonista Lion ("leone" è il significato del nome indiano del bimbo, donde, appunto, il titolo del film) vengono descritti realisticamente mostrando allo spettatore nel corso della vicenda il loro netto passaggio ed evoluzione: dalla spensieratezza, vissuta sia pure in condizioni economiche molto disagiate al villaggio con la propria famiglia, alla condizione di spaurimento presso la stazione della città di Calcutta, alla tranquillità e maggior agiatezza con la nuova famiglia in Australia sino al forte desiderio, quasi un'ossessione, della ricerca delle proprie origini una volta divenuto adulto. Di volta in volta, nel corso dell' intera vicenda, lo spettatore segue e si immedesima con il protagonista stesso, dividendo con lui il giustificato e legittimo desiderio di scoprire il proprio passato e pertanto, al di là della trama in sè che si può accomunare a qualsiasi vicenda "avventurosa", l'elemento interessante di questa pellicola è costituito, appunto, proprio dall'iter psicologico e dall'evoluzione dei sentimenti di Lion (che, peraltro, si dimostra sempre riconoscente ed ossequioso nei confronti della famiglia australiana che lo ha adottato) e dall'immagine che viene proposta dell'India, quanto mai realistica e lontana da quella kitsch e sfavillante dei films di Bollywood.
Film perfetto, direi, per il periodo natalizio.
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miss brown
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venerdì 30 dicembre 2016
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e' una storia vera? allora preferisco quelle finte
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Ormai dovrei saperlo, se un film viene sbandierato fin dal trailer come "tratto da una storia vera" va evitato come la peste. E invece sono cascata un'altra volta su un film buono giusto per stirare mentre lo danno di pomeriggio in tv.
La storia inizia nel 1986 in un paesino del nord dell'India, in cui vivono il piccolo Saroo di 5 anni, il fratello Guddu di 14 e una sorellina neonata, figli di una poverissima donna analfabeta che tira avanti facendo la raccoglitrice di pietre in una cava. I figli la aiutano come possono, rubacchiando carbone dai treni o cibo dalle offerte dei templi. Finché un giorno Guddu trova un lavoro notturno; Saroo lo segue ma, anziché aspettarlo su una panchina della stazione, si rifugia su un treno merci.
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Ormai dovrei saperlo, se un film viene sbandierato fin dal trailer come "tratto da una storia vera" va evitato come la peste. E invece sono cascata un'altra volta su un film buono giusto per stirare mentre lo danno di pomeriggio in tv.
La storia inizia nel 1986 in un paesino del nord dell'India, in cui vivono il piccolo Saroo di 5 anni, il fratello Guddu di 14 e una sorellina neonata, figli di una poverissima donna analfabeta che tira avanti facendo la raccoglitrice di pietre in una cava. I figli la aiutano come possono, rubacchiando carbone dai treni o cibo dalle offerte dei templi. Finché un giorno Guddu trova un lavoro notturno; Saroo lo segue ma, anziché aspettarlo su una panchina della stazione, si rifugia su un treno merci. Si risveglia il giorno dopo, ma ci vorranno 2 giorni e 1600 chilometri prima di poter scendere dal vagone sigillato. A Calcutta è completamente perso, non parla nemmeno il bengali; vive di espedienti per un paio di mesi finché un'anima pia non lo porta alla Polizia, così finisce in un orfanotrofio che pare un carcere. Qui dopo un annetto rientra nel gruppo di fortunati che vengono adottati da coppie australiane.
E qui finisce la prima ora, tutta recitata in vari dialetti indiani sottotitolati.
Finalmente appare una garrula e cotonata Nicole Kidman nei panni dell'affettuosa mamma adottiva (in 4 scene di pochi minuti). Passano 20 anni e lo scricciolo Sunny Pawar (bravissimo) diventa quel bendiddio di Dev Patel. E' laureato, ha una bella fidanzata (Rooney Mara, sprecata), un buon lavoro, ama dio, la patria e la famiglia, ma ha un chiodo fisso: ritrovare la sua vera casa. Ci mette anni, è talmente ossessionato che finisce per licenziarsi e vivere come un eremita folle; passa tutto il suo tempo a cercare su Google Maps il suo paese, ricucendo quei lontani ricordi resi opachi dal tempo: lungo migliaia di chilometri di ferrovia cerca di riconoscere un ponte, una cisterna dell'acqua, il crinale di una collina. E ci riesce: nel 2012 (dopo 130 interminabili minuti di film) ritrova paese e mamma. E scopre che il suo nome significa Leone (da cui il titolo, c'è scritto nei titoli di coda).
Non ci viene risparmiato nulla: il piccolo Saroo sfida impavido la sorte e fugge correndo a perdifiato da poliziotti, squadroni della morte e viscidi pedofili (per fare poker mancano solo i ladri di organi). Non c'è un vero "cattivo", ma un fratellastro (anche lui indiano e secondo bambino adottato) con problemi psichici fin da piccolo, da adulto tossico e violento, si direbbe invidioso dei suoi successi. Su tutto volteggia soave la Kidman: e ho definitivamente deciso che questo film era un gigantesco bidone quando lei rivela al figlio di averlo adottato non perché sterile, ma perché a 12 anni, durante un temporale, ebbe una visione in cui un bambino dalla pelle scura le prendeva la mano e la chiamava mamma. (!!!) Non poteva mancare la carrambata finale, con la ripresa - fintissima - dell'incontro del 2013 tra i veri protagonisti della storia.
Il regista è riuscito a trasformare un paese come l'India, che si fotografa da solo, in un collage di inquadrature banali, e ad annacquare una storia tragica trasformandola in una sagra dello stereotipo e dei buoni sentimenti, destinata alle vecchie signore e alle animucce candide: al cinema si sono fatte sfuggire la lacrima, ma sono le stesse persone che all'uscita hanno strapazzato il venditore di rose pakistano, citando gli ormai proverbiali 35 euro al giorno (sentito con le mie orecchie).
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[+] bravaaaaaaa
(di pozzo)
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(di samuela)
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