lbavassano
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domenica 21 febbraio 2016
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distacco documentaristico e umanissima pietas
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Giustamente Gianfranco Rosi ha deciso di dedicare ampio spazio alla narrazione della comunità di Lampedusa, ma lo ha fatto senza traccia alcuna di retorica, bensì con un raro equilibrio fra distacco documentaristico e umana partecipazione, privilegiando il punto di vista di un bambino, seguendone la vita quotidiana di giochi e di scuola, di piccole ansie e apprendistato alla vita; un bambino tanto lontano da quelli della generazione troppo precocemente ipertecnologica attuale quanto vicino ai modi di vita di chi bambino lo è stato mezzo secolo fa, sul continente.
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Giustamente Gianfranco Rosi ha deciso di dedicare ampio spazio alla narrazione della comunità di Lampedusa, ma lo ha fatto senza traccia alcuna di retorica, bensì con un raro equilibrio fra distacco documentaristico e umana partecipazione, privilegiando il punto di vista di un bambino, seguendone la vita quotidiana di giochi e di scuola, di piccole ansie e apprendistato alla vita; un bambino tanto lontano da quelli della generazione troppo precocemente ipertecnologica attuale quanto vicino ai modi di vita di chi bambino lo è stato mezzo secolo fa, sul continente.
Così la Lampedusa raccontata da Rosi non è quella turistica e cartolinesca di spiagge bianchissime e acque cristalline, è una Lampedusa di interni antiquati, di ritmi lenti che dettano il ritmo a una narrazione che a tale realtà si adegua senza stravolgerla, una Lampedusa invernale, di campagna più che di mare, ignota ai turisti, restituita però con immagini di straordinaria bellezza.
Il mare c'é, non può non esserci, ma è un mare di lavoro e fatica, quello dei pescatori e quello, durissimo, dei marinai imbarcati sulle unità destinate al salvataggio dei migranti. Ma anche qui non c'é retorica, ma strazio, lo strazio di cui sono cariche la parole del medico di Lampedusa, umanissimo esempio di autentica pietas. Parole che restano incise, parole che sono pietre.
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alberto58
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domenica 21 febbraio 2016
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dove i malavoglia incontrano l'africa
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Prima di andare a vedere questo film pensavo che non valesse la pena di rovinarmi una domenica pomeriggio rinnovando le immagini drammatiche di barconi e morti tante volte viste mei TG e che quel film aveva vinto l'orso d'oro a Berlino per lavare la coscienza dei tedeschi che ci hanno lasciato da soli davanti a questa tragedia.
A film visto lo penso ancora ma mi rimangono sopratutto nella mente le immagini della famiglia di pescatori lampedusani protagonista del film, i loro scarni dialoghi intervallati da lunghi silenzi mentre attendono alle occupazioni quotidiane come sbrogliare le reti, fare i compiti scolastici, rammendare, riordinare la casa, cucinare.
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Prima di andare a vedere questo film pensavo che non valesse la pena di rovinarmi una domenica pomeriggio rinnovando le immagini drammatiche di barconi e morti tante volte viste mei TG e che quel film aveva vinto l'orso d'oro a Berlino per lavare la coscienza dei tedeschi che ci hanno lasciato da soli davanti a questa tragedia.
A film visto lo penso ancora ma mi rimangono sopratutto nella mente le immagini della famiglia di pescatori lampedusani protagonista del film, i loro scarni dialoghi intervallati da lunghi silenzi mentre attendono alle occupazioni quotidiane come sbrogliare le reti, fare i compiti scolastici, rammendare, riordinare la casa, cucinare. Che differenza con la sovrabbondante verbosità di noi cittadini metropolitani. Mi sono venuti in mente i pescatori di Acireale protagonisti della novella di Giovanni Verga. Questi però, in più, hanno in casa la fuga dall'Africa, i cui profughi si esprimono lo stesso con poche parole, molto essenziali. Forse e' proprio in questo incontro tra due semplicità che sta la grandezza di un film in cui non c'è neanche una voce fuori campo ma, oltre alle poche parole dei protagonisti, ci sono solo i suoni della natura di questo pezzo d'Africa che appartiene alla nazione italiana.
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no_data
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domenica 21 febbraio 2016
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fuocoammare
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PENSATE CHE IO L'HO VISTO PROPRIO IERI AL CINEMA NEL PRIMO POMERIGGIO E POI LA SERA HO SCOPERTO CHE HA VINTO L'ORSO D'ORO A BERLINO DUNQUE INCOMINCIAMO CON LA MIA RECENSIONE: UN FILM CHE SI LASCIA VEDERE MA NON E' PROPRIO UN CAPOLAVORO MI SAREI ASPETTATO MOLTISSIMO DA QUESTO FILM. LA SCELTA ERA O RIVEDERE THE DANISH GIRL O PURE GUAQRDARE QUESTO FILM ED IO INIZLMENTE PIU' PROPENZIO A VEDERE THE DANISH GIRL MA ALLA FINE HO SCELTO QUESTO PEFRCHE' PENSAVO SICCOME DURAVA 108 MINUTI MI SAREI ANNOIATO MA POI NON MI SONO DEL TUTTO ANNOIATO MI SONO PIACUTE MOTLTO LE IMMAGINI CHE TI TRASPORTANO IN UN ALTRO MONDO UNA LAMPEDUSA BELLISSIMA OTTIMO LAVORO MA< NON PROPRIO IL CAPOLAVORO CHE MI ASPETTAVO
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terencemallick
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sabato 20 febbraio 2016
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orso d'oro
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Gianfranco Rosi vince ancora .
Dopo il leone d’oro a Venezia con Sacro Gra si ripete a Berlino con l’orso d’oro .
Film documentario che scuote ; qual argomento se non quello dell’immigrazione in questo tempo per valicare il muro tedesco e portare alla luce immagini e reportage di ciò che accade di continuo ai fianchi europei .
Scorrono immagini dure (corpi morti ammucchiati come spazzatura nella stiva della barca) affiancate da quelle di vita quotidiana degli abitanti dell’isola .
Un medico che cura gli arrivati in fin di vita , un pescatore sub acqueo che esce di casa giorno e notte per non far mancare il pasto sulla tavola , un conduttore della radio locale che manda in onda solo musica e messaggi degli ascoltatori forse a voler significare un silenzio mediatico.
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Gianfranco Rosi vince ancora .
Dopo il leone d’oro a Venezia con Sacro Gra si ripete a Berlino con l’orso d’oro .
Film documentario che scuote ; qual argomento se non quello dell’immigrazione in questo tempo per valicare il muro tedesco e portare alla luce immagini e reportage di ciò che accade di continuo ai fianchi europei .
Scorrono immagini dure (corpi morti ammucchiati come spazzatura nella stiva della barca) affiancate da quelle di vita quotidiana degli abitanti dell’isola .
Un medico che cura gli arrivati in fin di vita , un pescatore sub acqueo che esce di casa giorno e notte per non far mancare il pasto sulla tavola , un conduttore della radio locale che manda in onda solo musica e messaggi degli ascoltatori forse a voler significare un silenzio mediatico.
Altra metafora importante è quella di Samuele , bambino protagonista del film .
La sua parziale cecità per un occhio e la sua spinta alle armi simboleggiano la chiusura degli occhi e la violenza silenziosa attuata dalla politica europea che fino ad ora non ha mai preso una vera e concreta decisione per evitare i continui e perpetui naufragi nel Mediterraneo .
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[+] un atto doveroso e un'opera urgente
(di tom87)
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lollo-brigida
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giovedì 18 febbraio 2016
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la morte la porta la libertà
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Samuele sulla barca del padre, vomita. Il padre gli consiglia di frequentare più spesso la passerella dove sono attraccate le barche, per “farsi lo stomaco”, per abituarsi alle onde. Il mare è severo con le sue leggi. E se le leggi non vengono rispettate, produce vittime. I profughi che arrivano sui barconi, dopo molti giorni di viaggio, spesso muoiono a causa del caldo e della disidratazione. Spesso sono stivati “in seconda o terza classe” ovvero nel magazzino di questi barconi, dove il caldo è opprimente. Un medico ci svela un’altra causa di morte, sconosciuta ai più, che è quella dovuta alle ustioni procurate dal contatto con la nafta.
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Samuele sulla barca del padre, vomita. Il padre gli consiglia di frequentare più spesso la passerella dove sono attraccate le barche, per “farsi lo stomaco”, per abituarsi alle onde. Il mare è severo con le sue leggi. E se le leggi non vengono rispettate, produce vittime. I profughi che arrivano sui barconi, dopo molti giorni di viaggio, spesso muoiono a causa del caldo e della disidratazione. Spesso sono stivati “in seconda o terza classe” ovvero nel magazzino di questi barconi, dove il caldo è opprimente. Un medico ci svela un’altra causa di morte, sconosciuta ai più, che è quella dovuta alle ustioni procurate dal contatto con la nafta. I rifornimenti fatti in corsa, procurano la fuoriuscita della nafta, che poi va a finire nei vestiti dei profughi, generando ustioni sulla pelle.
Ma tutto questo Samuele non lo vede, pur abitando a Lampedusa. E non a causa del suo occhio pigro, leggera imperfezione visiva, quanto per la sua lontananza dal mare, difatti preferisce la terra ferma, preferisce la caccia, piuttosto che la pesca, forse perché è un po’ ansioso e girare per le campagne circostanti lo rilassa.
Rosi costruisce un film, mixando scene vere (quelle degli sbarchi) a scene di lieve finzione, vale a dire dando una semplice traccia ai protagonisti e facendoli poi improvvisare il loro quotidiano. Durante il pranzo, per un attimo, si vede il padre di Samuele guardare il regista, in attesa del cenno per partire con la battuta.
Il percorso concentrico (come ne Il sacro GRA) sfocia appunto sul litorale scoglioso dove un sub va a pesca. Si immerge di notte, senza paura, tra le forti onde che si infrangono sugli scogli.
Ma poco lontano arriva un altro barcone, questa volta con circa 50 cadaveri nella stiva. Li vediamo davvero i cadaveri, seppur avvolti in teli neri. Vengono issati a bordo, come fossero sacchi di cozze.
La morte la porta la libertà, scrivevano i Litfiba nel loro brano “Il vento”. La ricerca della libertà, ha portato morte. Nessuno di loro, nemmeno i superstiti, hanno potuto gridare il liet motiv che cantava Piero Pelù: sono libero, come il vento. Samuele sulla barca del padre, vomita. Il padre gli consiglia di frequentare più spesso la passerella dove sono attraccate le barche, per “farsi lo stomaco”, per abituarsi alle onde. Il mare è severo con le sue leggi. E se le leggi non vengono rispettate, produce vittime. I profughi che arrivano sui barconi, dopo molti giorni di viaggio, spesso muoiono a causa del caldo e della disidratazione. Spesso sono stivati “in seconda o terza classe” ovvero nel magazzino di questi barconi, dove il caldo è opprimente. Un medico ci svela un’altra causa di morte, sconosciuta ai più, che è quella dovuta alle ustioni procurate dal contatto con la nafta. I rifornimenti fatti in corsa, procurano la fuoriuscita della nafta, che poi va a finire nei vestiti dei profughi, generando ustioni sulla pelle.
Ma tutto questo Samuele non lo vede, pur abitando a Lampedusa. E non a causa del suo occhio pigro, leggera imperfezione visiva, quanto per la sua lontananza dal mare, difatti preferisce la terra ferma, preferisce la caccia, piuttosto che la pesca, forse perché è un po’ ansioso e girare per le campagne circostanti lo rilassa.
Rosi costruisce un film, mixando scene vere (quelle degli sbarchi) a scene di lieve finzione, vale a dire dando una semplice traccia ai protagonisti e facendoli poi improvvisare il loro quotidiano. Durante il pranzo, per un attimo, si vede il padre di Samuele guardare il regista, in attesa del cenno per partire con la battuta.
Il percorso concentrico (come ne Il sacro GRA) sfocia appunto sul litorale scoglioso dove un sub va a pesca. Si immerge di notte, senza paura, tra le forti onde che si infrangono sugli scogli.
Ma poco lontano arriva un altro barcone, questa volta con circa 50 cadaveri nella stiva. Li vediamo davvero i cadaveri, seppur avvolti in teli neri. Vengono issati a bordo, come fossero sacchi di cozze.
La morte la porta la libertà, scrivevano i Litfiba nel loro brano “Il vento”. La ricerca della libertà, ha portato morte. Nessuno di loro, nemmeno i superstiti, hanno potuto gridare il liet motiv che cantava Piero Pelù: sono libero, come il vento.
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