lucamariamilazzo
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domenica 28 febbraio 2016
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l’ apoteosi della mistificazione
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Il film di Rosi è uno dei peggiori documenti su Lampedusa degli ultimi anni. E questo a discapito della fotografia (stupenda), di attori molto bravi e di una regia – alla Rosi – affascinante nel suo genere. Il risultato è terribile, nonostante la critica lo stia incoronando, semplicemente perché il film non racconta Lampedusa. Il regista dice di essersi trattenuto un anno sull’isola, ed il massimo che riesce a produrre sono alcune immagini di salvataggi in mare e ordinaria quotidianità all’interno del centro di detenzione (niente di particolare rispetto alle centinaia che si trovano in rete), i giochi all’aperto di un ragazzino lampedusano, i racconti del medico dell’isola e una serie di scene di ordinario folklore siciliano, forzate fino a sembrare innaturali.
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Il film di Rosi è uno dei peggiori documenti su Lampedusa degli ultimi anni. E questo a discapito della fotografia (stupenda), di attori molto bravi e di una regia – alla Rosi – affascinante nel suo genere. Il risultato è terribile, nonostante la critica lo stia incoronando, semplicemente perché il film non racconta Lampedusa. Il regista dice di essersi trattenuto un anno sull’isola, ed il massimo che riesce a produrre sono alcune immagini di salvataggi in mare e ordinaria quotidianità all’interno del centro di detenzione (niente di particolare rispetto alle centinaia che si trovano in rete), i giochi all’aperto di un ragazzino lampedusano, i racconti del medico dell’isola e una serie di scene di ordinario folklore siciliano, forzate fino a sembrare innaturali. Troppo poco, per non dire nulla, rispetto a quello che un’isola devastata dalla gestione scellerata dei fenomeni migratori avrebbe bisogno per potersi rialzare e lottare contro il destino che le forze politiche le hanno assegnato. Non un accenno all’occupazione militare che l’isola è costretta a subire da decenni, alla situazione tragica dei pescatori che stanno scomparendo anche a causa delle centinaia di barconi che la marina affonda e che rompono le loro reti. Non un cenno alla mancanza di un ospedale e di scuole agibili a discapito di centinaia di milioni di euro spesi negli anni per rafforzare gli apparati militari. Niente sui livelli altissimi di elettromagnetismo (e quindi alle morti per tumore) che i moltissimi radar militari provocano. Nessun riferimento al fatto che i mezzi della marina che salva i pochi migranti scampati al deserto, ai trafficanti, alle polizie e alle carceri di mezza africa, sono gli stessi che destabilizzando governi facendo guerre sante per la democrazia (imminente quella in Libia) e che provocano milioni di profughi.
Un film su Lampedusa, oggi, che perde l’occasione di raccontare tutto questo, e che si accontenta di mostrare per interminabili minuti un bambino che gioca con la fionda, tradisce il sacro ruolo del documentarista, tradisce gli isolani, tradisce le persone che continuano a morire in mare e a soffrire in terra, e non ultimo lo spettatore.
“L'arte rinnova i popoli e ne rivela la vita. Vano delle scene il diletto, ove non miri a preparar l'avvenire” si legge sul frontone del teatro Massimo di Palermo. E non si può definire altro che vano ed offensivo il documentario di Rosi, che invece di rivelare al mondo Lampedusa e di contribuire alla sua riscossa si accontenta di un voyeurismo sterile e mistificatore, da dare in pasto ad una critica ignorante e poco informata.
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robert eroica
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domenica 28 febbraio 2016
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l'occhio pigro di rosi
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“Fuocoammare” è al contempo una canzone antica, un ricordo di guerra e da ultimo, un film di Gianfranco Rosi, premiato con l’Orso d’argento all’ultimo festival del cinema di Berlino. In realtà sono due film in uno, tutti ambientati nell’isola di Lampedusa, più vicina all’Africa che alla Sicilia: da una parte la storia del piccolo Samuele, un ragazzino che tira con la fionda, parla con gli uccelli e soffre il mal di mare. In più ha un occhio pigro e gira con un paio di occhialini dalla montatura un po’ ridicola, come lo Scurpiddu di Capuana, di cui sembra la versione aggiornata.
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“Fuocoammare” è al contempo una canzone antica, un ricordo di guerra e da ultimo, un film di Gianfranco Rosi, premiato con l’Orso d’argento all’ultimo festival del cinema di Berlino. In realtà sono due film in uno, tutti ambientati nell’isola di Lampedusa, più vicina all’Africa che alla Sicilia: da una parte la storia del piccolo Samuele, un ragazzino che tira con la fionda, parla con gli uccelli e soffre il mal di mare. In più ha un occhio pigro e gira con un paio di occhialini dalla montatura un po’ ridicola, come lo Scurpiddu di Capuana, di cui sembra la versione aggiornata. Dall’altra abbiamo il dramma dei migranti, che arrivano nel canale di Sicilia in condizioni disumane e vengono intercettati e spesso portati in salvo da una catena umana di soccorsi che lascia ammirati e a tratti costernati. Il primo film è esornativo, superficiale, un trattatello che cerca (e trova) una facile empatia con il pubblico, suscitando di tanto in tanto qualche risata (come quello spaghetto allo scoglio che Samuele risucchia come un piccolo Bombolo). Il secondo è un’opera dura che non fugge di fronte a nulla (nemmeno ai cadaveri rinvenuti su un barcone) e cerca (e trova, anche qui) immagini mai viste, quadri elettrici nel buio, cortocircuiti sonori, scene che paiono esplodere da un momento all’altro. Il primo non è cinema, il secondo lo è, anche troppo. L’impressione è che c’entrino poco l’uno con l’altro e si trovino (senza incontrarsi mai) per esigenze più produttive che realmente artistiche. VOTO: 5/6
Robert Eroica
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maurizio meres
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domenica 28 febbraio 2016
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da vedere e rivedere
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Chiamatelo come volete, film,documentario,ma una cosa è certa Rosi riesce ad entrare nella coscienza di tutti per tutti intendo dire L 'Europa,non si vince al festival di Berlino senza portare una tematica di attualità così profonda,senza commozioni perché significherebbe in questo caso pietà,ma dando una visuale di vita solo per chi crede nella vita riscoprendo quei valori umanitari perché un popolo si possa chiamare democratico e civile.
Tutte le riprese sono passaggi di vita quotidiana,non esiste egoismo tutto è naturale ciò che loro sono,nel grigiore invernale della stupenda Lampedusa Rosi coglie gli attimi attraverso sguardi di speranza,solitudine ma tanta voglia di vivere,i rumori di fondo del mare,di tutta la natura creano una colonna sonora naturale.
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Chiamatelo come volete, film,documentario,ma una cosa è certa Rosi riesce ad entrare nella coscienza di tutti per tutti intendo dire L 'Europa,non si vince al festival di Berlino senza portare una tematica di attualità così profonda,senza commozioni perché significherebbe in questo caso pietà,ma dando una visuale di vita solo per chi crede nella vita riscoprendo quei valori umanitari perché un popolo si possa chiamare democratico e civile.
Tutte le riprese sono passaggi di vita quotidiana,non esiste egoismo tutto è naturale ciò che loro sono,nel grigiore invernale della stupenda Lampedusa Rosi coglie gli attimi attraverso sguardi di speranza,solitudine ma tanta voglia di vivere,i rumori di fondo del mare,di tutta la natura creano una colonna sonora naturale.
La morte e la vita non si distinguono,fanno parte di quella routine che solo chi vive nell'isola può accettare.
Ritengo la testimonianza del dottore un raro esempio di umanità profonda e con una dose di spiritualità interiore in se stesso,non influenzato da fattori dettati da credenze,ma semplicemente un atto d'amore verso il prossimo,le parole che lui dice,semplici ma dette con amore sono un testamento universale per le generazioni future.
Il bambino che gioca,sembra di essi tornati indietro di cinquant'anni ,senza smartphone o un qualsiasi apparato elettronico,egli vive la vita e impara attraverso le sue scoperte ,fa domande a tutti,ogni cosa diventa una conquista ,e pensare che è una figura reale.
Sicuramente Rosi con questo documento resterà immortale per tutte le generazioni future,le quali potranno giudicare gli errori,le incomprensioni e soprattutto l'egoismo,così come facciamo noi adesso,ma con scarsi risultati.
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fabiofeli
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sabato 27 febbraio 2016
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un marinaio salva chi è in pericolo in mare
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Samuele ha 12 anni e vive a Lampedusa, isola di 20 km quadrati a 20 miglia dalle coste africane e a 120 miglia dalle coste italiane. Esperto fabbricatore di fionde colpisce le pale di fichidindia sagomate a rudimentali visi verdi. Non è semplice la sua vita: ha un occhio “pigro” che non vuole vedere e lo deve allenare bloccando l’altro; in barca soffre il mare e deve camminare sul pontile mobile per dominare lo stomaco che si ribella. La nonna, moglie di un pescatore, prepara per la famiglia gli spaghetti con il sugo e col polipo e rassetta la camera senza dimenticare i baci alle immagini sacre che la gremiscono. Un giovane da una radio “privata” manda in onda canzoni con dedica.
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Samuele ha 12 anni e vive a Lampedusa, isola di 20 km quadrati a 20 miglia dalle coste africane e a 120 miglia dalle coste italiane. Esperto fabbricatore di fionde colpisce le pale di fichidindia sagomate a rudimentali visi verdi. Non è semplice la sua vita: ha un occhio “pigro” che non vuole vedere e lo deve allenare bloccando l’altro; in barca soffre il mare e deve camminare sul pontile mobile per dominare lo stomaco che si ribella. La nonna, moglie di un pescatore, prepara per la famiglia gli spaghetti con il sugo e col polipo e rassetta la camera senza dimenticare i baci alle immagini sacre che la gremiscono. Un giovane da una radio “privata” manda in onda canzoni con dedica. Tutto questa “normalità” è contemporanea ai salvataggi di migranti sui barconi e le prime cure apprestate. Il dottore spiega alla giovane incinta che partorirà una bambina. Anche la vita dei migranti conosce momenti di normalità: la preghiera collettiva e perfino un torneo calcistico. Ma ascoltiamo dalla loro voce le drammatiche vicissitudini, che spiegano ampiamente i motivi della fuga dal luogo di origine. E spesso, troppo spesso, con il cuore gonfio i militari italiani recuperano nelle barche decine di cadaveri …
L’emergenza viene raccontata come fatto ordinario da Rosi, che utilizza lunghi piani-sequenza, anche con eleganza formale, alternando la vita quotidiana dell’isola e i salvataggi. Il film commuove e non può essere altrimenti quando si è di fronte a una tragedia epocale, ma i toni sono e restano sommessi. La pellicola di Rosi vince l’Orso d’argento al festival di Berlino; la popolazione di Lampedusa merita il Nobel per la Pace, come il fornaio dell’isola greca che ha sfornato pane per giorni per i profughi siriani appena sbarcati. E questo con buona pace dei capipopolo arruffapopoli nostrani o europei, che vagheggiano e costruiscono muri e sbarramenti con fili spinati: non capiscono il fenomeno della migrazione e si arroccano nella loro miserevole ignoranza e mancanza di misericordia. Un marinaio salva chi è in pericolo sul mare anche a costo della propria vita. Samuele, c’è da giurarlo, diventerà un buon marinaio e non ucciderà uccelli con la infallibile fionda.
Un film da non mancare.
Valutazione ****
FabioFeli
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[+] nobel per l'isola
(di andrea di franco)
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andrea alesci
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venerdì 26 febbraio 2016
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l'educazione dello sguardo mediterraneo
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Con frasi slacciate che si accostano al nostro occhio. Così scava nelle nostre pupille Fuocoammare di Gianfranco Rosi, affinché ci sforziamo di correggere la nostra vista e collegarle tutte in un solo discorso. Sono frasi terragne e nodose come gli alberi di ulivo attorno ai quali conosciamo il piccolo Samuele impegnato nel giocare con la fionda.
Sono sensazioni visive che ci fanno atterrare sul suolo di Lampedusa tra il pigolio degli uccelli e parole siciliane che si strascicano come reti da pesca sul fondo del mare: quelle con cui Samuele spiega (all’amico Matias) come costruire una buona fionda e come ben dirigere la pietra verso il bersaglio; quelle con cui il medico dell’isola Pietro Bartòlo spiega (a noi) come non ci si possa mai abituare all’atroce dolore di un cadavere; quelle della signora Maria che spiega (al marito) il suo amore tramite la voce surrogata della radio e i gesti silenti di un letto ben fatto; quelle del padre stanco che spiega (al figlio Samuele) l’agra vita del pescatore.
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Con frasi slacciate che si accostano al nostro occhio. Così scava nelle nostre pupille Fuocoammare di Gianfranco Rosi, affinché ci sforziamo di correggere la nostra vista e collegarle tutte in un solo discorso. Sono frasi terragne e nodose come gli alberi di ulivo attorno ai quali conosciamo il piccolo Samuele impegnato nel giocare con la fionda.
Sono sensazioni visive che ci fanno atterrare sul suolo di Lampedusa tra il pigolio degli uccelli e parole siciliane che si strascicano come reti da pesca sul fondo del mare: quelle con cui Samuele spiega (all’amico Matias) come costruire una buona fionda e come ben dirigere la pietra verso il bersaglio; quelle con cui il medico dell’isola Pietro Bartòlo spiega (a noi) come non ci si possa mai abituare all’atroce dolore di un cadavere; quelle della signora Maria che spiega (al marito) il suo amore tramite la voce surrogata della radio e i gesti silenti di un letto ben fatto; quelle del padre stanco che spiega (al figlio Samuele) l’agra vita del pescatore.
Sono poche parole che si rincorrono come in un girotondo, che si ripetono nel ritornello cantante del siciliano quasi a volersi confermare nelle piccole cose della vita di Lampedusa. È lì che ci porta Rosi, a vedere una Lampedusa diversa, lontana dai limpidi sogni turistici da cartolina, malinconica nella sua isolitudine. È una Lampedusa bagnata dalla pioggia, scossa da tuoni che agitano Samuele e lasciano invece imperturbabile sua nonna, seduta sulla seggiola, con ago e filo in mano, a cucire e saggiare il tempo.
Il tempo lento di un’isola, il tempo lento delle cose compìte, il tempo lento dei visi intagliati nei fichidindia. Il tempo lento del mar Mediterraneo che pian piano disvela nella lente documentaristica di Gianfranco Rosi la tragedia di quei migranti che cercano la speranza di un’altra libertà terrestre. Così si saldano all’identità di Lampedusa i visi scarni di uomini, donne e bambini giunti dall’altro lato del Mediterraneo e idealmente sorretti – perché tutti possiamo vederli – dal canto-preghiera di un gruppo di nigeriani messi in salvo: una specie di gospel dall’animo rap che racconta quasi in presa diretta il passato prossimo della propria disperazione.
Altisonanti come gli ululati dei fuochiammare che durante la guerra lasciavano attoniti sulla terraferma i pescatori-isolani. Ora sono altri fuochi che straziano la superficie marina. E Rosi lo dice mostrandoci le storie minute di Lampedusa, mettendo al centro Samuele e facendo del suo occhio pigro la più lampante e perfetta metafora del nostro sguardo che non sa (non vuole?) mettere a fuoco l’eco di una tragica migrazione che tocca tutti.
Lo fa lasciando spesso in ombra l’inquadratura, a rendere evidente la nostra fatica (pigrizia?) ad accostarci alle cose. Lo fa senza mai esibire la brutalità morbosa dell’investigazione, concedendo solo una breve e oscura discesa nel ventre di un peschereccio diventato necropoli. E alla fine tutti i segmenti di Fuocoammare sono come le onde del mare: solitudini che compongono un unico fluido paesaggio fatto di sopravvissuti, che abitano sotto la medesima luna ondeggiante sopra il capo ansioso del piccolo Samuele.
È l’ansia di chi ha paura del mare ma vuole capire. L’ansia di chi sta nel limbo tra infanzia e adolescenza ma si fa simbolo dei nostri timori adulti, delle nostre paure sprofondate sott’acqua. Lì, nel buio silenzio dove scende il sub ripreso da Rosi, dove le parole vengono meno, dove le distanze si annullano, dove impariamo a guardare.
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no_data
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giovedì 25 febbraio 2016
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fuocoammare, un ottimo film
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Non ho mai letto l'organo di stampa Mediaset. Quindi non conosco il critico che si occupa di cinema ne "Il Giornale". Ho letto invece la recensione di "Fuocoammare" di Massimo Bertarelli: è un esempio di avversione verso il linguaggio cinematografico. che Gianfranco Rosi conosce bene.
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goldy
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mercoledì 24 febbraio 2016
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tutti responsabili
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Le scene della quotidianità del ragazzino raggiungono un grado di verità rara. E la stessa verità viene raggiunta dalla descrizione della tragedia che si vuole rappresentare. Non un’intervista, non un’opinione, non un commento fuori campo, niente politici, niente di niente. A chi vuole capire basti il proprio sguardo. Nessuna ipotesi sulla possibile soluzione dell’esodo e non resta che rivolgersi al Dio del “ Del tuo stellato soglio” dal Mosè di Rossini per invocare quell’aiuto che nessun è oggi in grado di dare a una tragedia di cui siamo tutti responsabili.
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Le scene della quotidianità del ragazzino raggiungono un grado di verità rara. E la stessa verità viene raggiunta dalla descrizione della tragedia che si vuole rappresentare. Non un’intervista, non un’opinione, non un commento fuori campo, niente politici, niente di niente. A chi vuole capire basti il proprio sguardo. Nessuna ipotesi sulla possibile soluzione dell’esodo e non resta che rivolgersi al Dio del “ Del tuo stellato soglio” dal Mosè di Rossini per invocare quell’aiuto che nessun è oggi in grado di dare a una tragedia di cui siamo tutti responsabili. Orso d’oro a Berlino, questa volta ben dato
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no_data
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mercoledì 24 febbraio 2016
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documentario da vedere
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Il documentario di Rosi ha un forte impatto sulla coscienza dello spettatore perché riesce a trasmettere tutto il dolore dei migranti. Il regista non lascia indietro nessuna immagine di quello che ha girato in oltre un anno a Lampedusa e neanche le immagini di morte e dolore vengono tagliate dando così un effetto da documento storico. Leggendo un'intervista a Rosi questo riferisce che il comandante della barca di salvataggio migranti nel momento di indecisione del regista sul girare o meno le scene di morte dei migranti gli ha detto "E' necessario. Come trovarsi davanti a una camera a gas durante l'Olocausto e non filmarlo perché è troppo forte".
Questo film riesce a farci capire la reale dimensione del fenomeno a cui siamo assopiti, sentendolo raccontare soltanto numericamente dai telegiornali.
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melania
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martedì 23 febbraio 2016
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imperdibile !
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flyanto
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lunedì 22 febbraio 2016
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la quotidianità di lampedusa rappres da 2 ottiche
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Film-documentario di Gianfranco Rosi e vincitore del Leone d' Oro al contemporaneo Festival del Cinema di Berlino, "Fuocoammare" racconta la quotidianità dell'isola di Lampedusa vissuta sia dalla parte di un ragazzino dodicenne isolano sia da quella delle povere popolazioni africane che qui sperano di approdare e trovare una vita migliore. Dopo aver trascorso un anno sull' isola, il regista riprende ancora una volta, come in "Sacro GRA", la quotidianità della vita scandendo le immagini e gli episodi con l'andamento lento tipico della realtà. Il dodicenne che qui trascorre le proprie giornate andando a scuola, giocando con la fionda nei boschi insieme ad un amico, imparando a remare sulla barca con il papà pescatore, in quanto ancora piccolo, è estrapolato dalla dura e tremenda condizione in cui si trovano gli emigranti che qui sono riusciti ad approdare.
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Film-documentario di Gianfranco Rosi e vincitore del Leone d' Oro al contemporaneo Festival del Cinema di Berlino, "Fuocoammare" racconta la quotidianità dell'isola di Lampedusa vissuta sia dalla parte di un ragazzino dodicenne isolano sia da quella delle povere popolazioni africane che qui sperano di approdare e trovare una vita migliore. Dopo aver trascorso un anno sull' isola, il regista riprende ancora una volta, come in "Sacro GRA", la quotidianità della vita scandendo le immagini e gli episodi con l'andamento lento tipico della realtà. Il dodicenne che qui trascorre le proprie giornate andando a scuola, giocando con la fionda nei boschi insieme ad un amico, imparando a remare sulla barca con il papà pescatore, in quanto ancora piccolo, è estrapolato dalla dura e tremenda condizione in cui si trovano gli emigranti che qui sono riusciti ad approdare. Ne è partecipe, invece, direttamente il medico dell'isola che quotidianamente deve curare, quando addirittura non recuperare i corpi morti, gli individui malati e disidratati salvati dai barconi e dalle pessime e disumane condizioni in cui hanno viaggiato dalle coste africane. E nell'equilibrata alternanza tra la vita spensierata del ragazzino e quella degli immigrati e delle persone preposte al loro salvataggio, Lampedusa viene ritratta realisticamente e poeticamente da Rosi, circondata da un mare blu/azzurro, che a volte è minaccioso, a volte calmo, rivelandosi ora come un amico, ora come un nemico.
Interessante e per riflettere a fondo su una condizione purtroppo contemporanea e soprattutto difficile da affrontare e risolvere, con un encomio particolare alla figura del medico isolano e di tutti coloro delle unità di salvataggio preposti al recupero degli immigrati animati da un sincero spirito di fratellanza ed umanità.
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