Si torna finalmente a vedere dei film italiani di qualità. Easy può sicuramente annoverato tra i film dell’assurdo ma con un taglio fotografico di altri tempi e con piglio “neorealista” che irride proprio quel mondo sovietico che ha prodotto il realismo nel cinema. Una bella idea quella del viaggio di due emarginati, uno vivo ma morto dentro e l’altro morto in una bara da riportare a casa ma ben vivo nei ricordi di chi lo riceverà.
È una storia semplice ma intensa, molto ricca di simbolismi e di ironia verso il mondo che ha prodotto Easy ma anche verso quel mondo ex socialista che ha cresciuto il povero Taras (muratore emigrato dall’Unione Sovietica e morto misteriosamente in un cantiere italiano). Easy viene incaricato di riportare il defunto Taras a casa (ieri Unione sovietica oggi Ucraina). Il nostro sguardo di spettatori è impattato ed attraversato da paesaggi immensi, “muti”, monocromatici da esplorare e da contornare come dovrebbe fare ognuno di noi con la propria coscienza. Il film non racconta il viaggio di un feretro verso casa, racconta molto di più, ci mostra un percorso a ritroso di due persone apparentemente molto diverse (Easy e il defunto Taras) ma che in realtà hanno entrambe il bisogno di riscoprire la sostanza delle cose, il senso vero della vita, la solidarietà e la comunione umana del vivere sociale. Easy che parte con il conforto di tutti gli ausili tecnologici della società materiale occidentale (dal mezzo di locomozione, al navigatore satellitare e traduttore, al cibo) si ritrova in questo percorso immaginario a perdere tutto ciò per affidarsi alla propria capacità fisica e mentale e ad una ritrovata volontà per giungere al traguardo e compiere l’opera. Il defunto Taras percorre contemporaneamente una strada che lo riporta idealmente alle origini del proprio Paese, alla sua vera identità. Le tappe raggiunte dai viaggiatori nel loro recupero psico-morale e culturale sono scandite dal progressivo impoverimento dei mezzi di trasporto e dal contestuale miglioramento delle risorse umane, tutte le persone incontrate aiutano il povero Easy. Easy comincia ad aver fiducia in se stesso, migliora anche il cibo che ingurgita (dalle schifezze dell’autogrill in partenza al miele naturale di campagna giunto all’arrivo). Il film non annoia mai si ride di ciò che capita ad Easy ma il regista irride anche i segni del vecchio regime socialista che vengono richiamati (da deserte e squallide strutture per la ristorazione fino a flash su simboli del potere comunista quali battelli in cantiere dal vago sapore di monumentali Corazzate Potemkin). Con simbolismo tipico dei migliori film dell’Est si vede cogliere una mela rossa dall’albero, da quel momento l’uomo riacquista l’amore per se stesso e la volontà di Easy si riaccende. Si sta raggiungendo l’essenza del recupero anche il defunto Taras sembra giungere finalmente a destino, arriva nel cimitero di soldati della I° guerra mondiale (vedi scritta 1915-1918), ma in realtà quello è solo un passaggio, è un modo raffinato per informarci che stiamo uscendo dal tunnel dell’ inumano mondo socialista per entrare in una sorta di periodo prerivoluzionario in cui la Russia era tradizione, solidarietà, religione e cultura della terra. Alla fine del viaggio di recupero umano, spirituale e culturale Easy si trova “nudo nato” (come appena partorito), Taras ritrova la sua terra, i suoi valori i suoi cari. Il primo da morto dentro si ritrova “vivo” mentre il secondo da morto ritrova la “vita”, gli affetti e l’identità della propria gente. I 2 compagni di viaggio raggiungono la meta e ritrovano il significato di essere “uomo”.
Il volto di un bambino neonato è la nostra speranza ma anche un libro bianco in cui un Easy tutto nuovo e vero si spechia dicendo …”ed ora che faccio?”
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