vanessa zarastro
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domenica 2 settembre 2018
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la favela protagonista
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“Tudo Que Aprendemos Juntos” è il titolo originale del film. Protagonista indiscusso è il barrio di Heliopolis, un abnorme agglomerato di favelas a sud est di Sao Paolo, tra i più estesi di tutto il Brasile. Per la precisione, il nome favela (Cnidoscolus quercifolius) viene da una pianta che cresce nel semiarido sertão brasiliano, una regione che abbraccia molti stati del nordest del Brasile dove ebbero luogo le battaglie contro i ribelli di Antônio Conselheiro alla fine dell’Ottocento.
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“Tudo Que Aprendemos Juntos” è il titolo originale del film. Protagonista indiscusso è il barrio di Heliopolis, un abnorme agglomerato di favelas a sud est di Sao Paolo, tra i più estesi di tutto il Brasile. Per la precisione, il nome favela (Cnidoscolus quercifolius) viene da una pianta che cresce nel semiarido sertão brasiliano, una regione che abbraccia molti stati del nordest del Brasile dove ebbero luogo le battaglie contro i ribelli di Antônio Conselheiro alla fine dell’Ottocento. Sao Paolo è la megalopoli più grande di tutta l’America Latina e costituisce il cuore economico del Brasile. La sua area metropolitana conta circa 21 milioni di abitanti di cui molti vivono nelle favelas.
Il film si svolge tutto dentro la favela, solo ogni tanto, in qualche rara immagine, è mostrato dall’alto il panorama urbano di Sao Paolo con lo skyline della città spesso in background.
Laerte (il bravissimo Làzaro Ramos) è un violinista di talento che, al momento di un’audizione per diventare primo violino all’OSESP, l’orchestra sinfonica più prestigiosa del paese, si blocca e non riesce a suonare. Rimasto senza soldi accetta di insegnare violino in una scuola a Heliopolis. Scopre pertanto una realtà sociale, di cui lui stesso non conosceva l’esistenza, e tocca con mano le difficoltà che incontrano i ragazzi perfino a seguire gli studi in una scuola gratuita. Si trova ad avere a che fare con piccoli delinquenti – alcuni di loro hanno precedenti penali - ragazzi abbandonati, figli di genitori possessivi, violenti o malati. Anche il capo mafia di zona vorrà da lui qualcosa: una volta che Laerte avrà formato un’orchestra ricominciando l’insegnamento da zero, gli chiederà (imporrà?) di suonare un walzer alla festa della figlia. Così il regista Sérgio Machado ci fa rendere conto dei compromessi necessari per raggiungere un obiettivo che, di fatto e al di fuori del film, si è concretizzato con la formazione di una vera e propria orchestra.
Ma cosa distingue una favela da un quartiere povero e disagiato? Qual è la linea di demarcazione tra una favela e quello che gli sta attorno (e che magari è altrettanto povero e marginale)? Le favelas sono vere e proprie città, sono insiemi costituiti da almeno cinquanta unità abitative (baracche, case, ecc.) per lo più carenti di servizi pubblici essenziali, che occupano, o hanno occupato, terreni di proprietà altrui (pubblica o privata) e collocate, in generale, in modo denso e disordinato. Alcune zone sono composte solo da baracche, in altre ci sono case di mattoni. Non essendo riconosciute dallo Stato, le infrastrutture primarie come energia elettrica, acqua e fognature non sono garantite, e i servizi assenti. La favela costituisce una “città spontanea” e autocostruita in totale assenza di urbanistica, e al di fuori della legalità in cui è quasi impossibile lavorare come operatore del pubblico e far comprendere cosa sia legale e cosa illegale. Nella favela si deve imparare subito l’arte del sopravvivere, mentre quella del vivere forse non la si potrà apprendere mai.
Heliópolis - il cui nome significa letteralmente “Città del Sole” - ha una popolazione di circa 100.000 abitanti e negli ultimi anni ha subito un lento processo di urbanizzazione. Nonostante ciò, per la parte più povera della popolazione, la vita resta segnata dalla miseria e dall’emarginazione. Nelle favelas esistono in ogni caso delle “regole”: da un lato ci sono i narcotrafficanti che si contendono il controllo della zona e cercano di imporre le proprie regole alla popolazione; dall’altro c’è la polizia che per far rispettare l’ordine non risparmia pestaggi e arresti sommari. Nel film è mostrata la rivolta rabbiosa della popolazione quando un ragazzo giovane e innocente viene ucciso dai poliziotti. E questo ragazzo era proprio Samuel (il bellissimo Kaique de Jesus Santos), il violinista talentuoso prediletto da Laerte che, in un film sul sogno americano, avrebbe potuto riscattarsi con la musica. Ma in questo film la musica non ha poteri taumaturgici ma solo consolatori. «Sto bene solo quando suono» dice VR a Laerte sentendosi in colpa per la morte di Samuel.
Suggestivi sono i primi piani sui volti e sugli strumenti, mentre all’inizio la storia non è particolarmente originale. Un paio di anni dopo “Tudo Que Aprendemos Juntos” il regista Rachid Hami ambienterà la storia analoga di "La Mélodie” nelle banlieu parigine, anche se poi le trame si divaricheranno. In particolare il film brasiliano si ispira alla vicenda dell’Istituto Baccarelli che convogliò centinaia di giovani all’educazione musicale, proprio nella stessa favela. La coprotagonista del film è, ovviamente, la musica e il regista ne fa un uso magistrale. I ragazzi studiano musica classica, ma nella loro vita privata o nelle scene d’azione ascoltano il rap brasiliano. “La passione secondo Matteo” di Bach è il brano scelto per il saggio di fine anno mentre nella toccante scena degli scontri violenti con la polizia le urla si trasformano lentamente in musica nelle note della “Consolazione“ n. 3 in re bemolle di Franz List.
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flyanto
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mercoledì 5 settembre 2018
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un compito difficile ma non inutile
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“Il Maestro di Violino” del regista brasiliano Sérgio Machado, come si evince dal titolo stesso, parla di un uomo che, ex-bambino prodigio del violino e nell’attesa di riuscire a passare il concorso per entrare a far parte dell’Orchestra del Teatro della città di San Paolo, accetta l’oneroso compito di insegnare a suonare il suddetto strumento musicale in una scuola in una favela. Oneroso, il lavoro, perché il protagonista deve avere a che fare con dei ragazzi disagiati sia economicamente che socialmente, con scarsa voglia di apprendere e che considerano il violino più come un passatempo che come una vera e propria seria passione.
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“Il Maestro di Violino” del regista brasiliano Sérgio Machado, come si evince dal titolo stesso, parla di un uomo che, ex-bambino prodigio del violino e nell’attesa di riuscire a passare il concorso per entrare a far parte dell’Orchestra del Teatro della città di San Paolo, accetta l’oneroso compito di insegnare a suonare il suddetto strumento musicale in una scuola in una favela. Oneroso, il lavoro, perché il protagonista deve avere a che fare con dei ragazzi disagiati sia economicamente che socialmente, con scarsa voglia di apprendere e che considerano il violino più come un passatempo che come una vera e propria seria passione. Ma l’insegnante riuscirà nel corso dell’anno scolastico a farsi apprezzare dai ragazzi e soprattutto a coinvolgerli attivamente nelle proprie lezioni di musica, migliorandone anche notevolmente il loro rendimento. Tra loro, inoltre, egli scopre un ragazzo talentuoso e sinceramente motivato a suonare il violino nonostante la forte opposizione da parte della famiglia che lo vorrebbe invece togliere dalla scuola e mandarlo a lavorare. Nel contempo il protagonista impara anche a conoscere più direttamente le reali condizioni di difficoltà, di disagio e di violenza in cui i suoi alunni vivono e con cui egli si trova in prima persona a dover combattere ma, nonostante ciò, egli riuscirà ugualmente ad ‘elevare’ lo spirito e l’interesse dei suoi ragazzi, facendo loro capire l’importanza di un’istruzione e di una profonda passione.
Il film, in generale, è quanto mai interessante e toccante e riflette più o meno adeguatamente alla realtà il degrado e l’ambiente criminale in cui vivono le persone delle favelas brasiliane. Machado dà valore ed importanza all’insegnamento nelle scuole, sostenendo che l’istruzione e la passione per qualsiasi arte o mestiere siano gli unici strumenti che permettono agli individui a cambiare in meglio la propria esistenza. Una visione positiva e veritiera senza alcun dubbio seppure a volte purtroppo, non sempre attuabile. Ma films del genere e con tale insegnamento morale ne sono stati girati moltissimi in precedenza (sebbene siano sempre di una certa utilità) e, pertanto, anche quest’opera di Machado confluisce nel suddetto filone senza presentare alcunché di originale. Anzi, la pellicola richiama direttamente quella francese, “La Mélodie” del regista Rachid Hami, uscita nelle sale cinematografiche italiane più o meno nello stesso periodo , in cui vengono rappresentati lo stesso contesto e concetto e, per quanto essa risulti apprezzabile (soprattutto per ciò che riguarda la colonna sonora intrisa di brani classici di Bach, Vivaldi, ecc…), non si distingue, appunto, in maniera preponderante.
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yarince
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giovedì 22 novembre 2018
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la vita che salvi può essere la tua
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Il film è ispirato alla storia del progetto di inclusione sociale dell'Istituto Baccarelli, nella favela Heliopolis di San Paolo. Heliopolis è una delle favelas più complicate e più estese dell’America Latina, difficile anche da censire (e quindi da gestire). Dopo l’incendio che distrusse gran parte della favela, il maestro Silvio Baccarelli iniziò a insegnare musica classica ai teenager della comunità e oggi l'Istituto ha più di 4000 studenti ogni anno. Helipolis, del sole e dell’opera utopica di Tommaso Campanella porta solo il nome, in realtà è un sobborgo di oscurità, nascondigli, emarginazione e povertà, governata dai narcotrafficanti, ha leggi proprie ed è fuori dal controllo delle istituzioni.
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Il film è ispirato alla storia del progetto di inclusione sociale dell'Istituto Baccarelli, nella favela Heliopolis di San Paolo. Heliopolis è una delle favelas più complicate e più estese dell’America Latina, difficile anche da censire (e quindi da gestire). Dopo l’incendio che distrusse gran parte della favela, il maestro Silvio Baccarelli iniziò a insegnare musica classica ai teenager della comunità e oggi l'Istituto ha più di 4000 studenti ogni anno. Helipolis, del sole e dell’opera utopica di Tommaso Campanella porta solo il nome, in realtà è un sobborgo di oscurità, nascondigli, emarginazione e povertà, governata dai narcotrafficanti, ha leggi proprie ed è fuori dal controllo delle istituzioni. Nel film in una delle scene più drammaticamente verosimili, si assiste allo scontro tra la polizia, che non risparmia da pestaggi e uccisioni, e gli abitanti, che la percepiscono come nemico da tenere fuori dai confini della baraccopoli. Il film è la storia di formazione di un gruppo di giovani antieroi che, calvinamente invisibili, attraverso il violino, trovano una possibilità di riscatto, di salvezza, il guado percorribile per “passare dall’altra parte”. La musica è per loro “ciò che nell’inferno non è inferno…” . Parliamo chiaramente di acrobati che camminano su un filo sottile che separa la dannazione e la salvezza, proprio come i protagonisti del racconto di Flannery O’Connor, "la vita che salvi può essere la tua”. Per pura casualità, ieri ho ascoltato alcune canzoni di Maria Gauthier, la cantautrice folk americana che, aderendo all’iniziativa di un’associazine americana -songwriting with soldiers - ha inciso un album rifles & rosary beads, che narra le storie dei veterani della guerra del Vietnam. Nelle canzoni di Maria, la musica diventa terapia e medicina per lo shock e il trauma subito durante l’esperienza disumana della guerra, mezzo riabilitativo, di re-inclusine sociale e di ri-umanizzazione. La stessa musica che ha riscattato la vita della cantautrice; abbandonata in fasce dalla madre naturale, si perde in alcool e droghe ma riesce a salvarsi grazie alla sua passione per la musica. La musica e la letteratura hanno un grande potere, sono generatori di empatia, di cambiamenti, di espansione del cuore e della mente. Come scrive Flannery, non sempre si hanno premesse comode, il contesto socio - economico di appartenenza ci può predestinare e non sempre la vita segue il percorso da noi scelto, però l’uomo può manifestare la sua grandezza nonostante la sofferenza, ma a causa sua.
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