Il discusso regista sudcoreano torna a provocare con una pellicola ambientata nel Giappone post Fukushima, con un chiaro intento di denuncia verso l'energia nucleare.
La vicenda coinvolge una giovane coppia, Miki e Sabu, esposta alle radiazioni e subito evacuata a Tokyo. Lei scopre di essere incinta e viene contattata da un portavoce del governo che la esorta ad abortire; il bambino potrebbe infatti nascere deforme.
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Il discusso regista sudcoreano torna a provocare con una pellicola ambientata nel Giappone post Fukushima, con un chiaro intento di denuncia verso l'energia nucleare.
La vicenda coinvolge una giovane coppia, Miki e Sabu, esposta alle radiazioni e subito evacuata a Tokyo. Lei scopre di essere incinta e viene contattata da un portavoce del governo che la esorta ad abortire; il bambino potrebbe infatti nascere deforme. I dubbi e le implicazioni etiche si moltiplicheranno, distruggendo così l'equilibrio della coppia.
Il film parte da un incipit lineare e coerente, ma andando avanti moltiplica le domande, dando pochissime risposte. Come spesso accade nelle sue opere, Kim Ki-duk racconta le dinamiche umane partendo da pochissimi personaggi. In questo caso la coppia, sempre più in conflitto, vorrebbe mostrarci le molteplici sfaccettature di un tema più che mai attuale, ovvero lo spreco dell'energia, che trova in Tokyo la location ideale, visto l'enorme utilizzo dell'illuminazione notturna. Oltre a questo troviamo il dilemma etico di un genitore nel prendersi la responsabilità di far nascere un figlio, pur sapendo che potrebbe avere dei problemi fisici. Questo tema è affrontato con estrema crudezza e diventa rappresentazione dell'incoscienza umana che prima provoca disastri e poi cerca la strada più semplice e cinica per risolverli.
Il film è perfettamente in linea con lo spirito pessimista di Kim Ki-duk, che negli ultimi anni sembra voler abbandonare gradualmente la poeticità crudele dei suoi primi lavori, per pellicole sempre più grezze e cupe. La fattura del film è ai limiti dell’amatoriale, come i precedenti Moebius e One on One, ma se nel primo la povertà di mezzi diventava un ulteriore colpo basso nei confronti dello spettatore, arricchendo in questo senso la pellicola, qui la ristrettezza del budget non trova reale giustificazione e fanno sorridere alcune soluzioni visive, come per esempio la scena del crollo del traliccio della corrente elettrica.
Il pezzo forte rimangono, come spesso nei film del regista, i personaggi, perennemente emarginati e soli a combattere una battaglia contro il mondo che li odia e gli sputa addosso. Molto importante, in questo senso, il personaggio del commerciante di carne contaminata. La sua filosofia autodistruttiva rispecchia, probabilmente, il punto di vista dell’autore, il quale però si concede un finale aperto e metaforico, che sembra avere al suo interno un barlume di speranza per le nuove generazioni.
Nel bene e nel male è un film che vale una visione perché come ha ammesso Kim Ki-duk: "Stop potrà piacere oppure no, ma è sincero come, ritengo, tutte le opere che fino ad ora ho realizzato”.
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