onufrio
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venerdě 22 maggio 2020
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saul
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Ebreo deportato ad Auschwitz, Saul fa parte della Sonderkommando, squadra di reclusi addetta ad accompagnare le persone nelle camere a gas, per poi pulirle e cremare i corpi. Il volto ormai rassegnato di Saul trova un barlume di speranza nel corpo defunto di un ragazzino nel quale egli vede il proprio figlio, facendone così una missione nel cercare di dare degna sepoltura al ragazzo. Tutto è concentrato negli occhi del protagonista, in un film in grado di ottenere anche il premio Oscar come miglior film straniero ma che rimane troppo vago e personale, realizzare una sorta di film d'autore sulla Shoah comporta qualche perdita a livello di narrazione e soprattutto di comprensione a 360°.
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Ebreo deportato ad Auschwitz, Saul fa parte della Sonderkommando, squadra di reclusi addetta ad accompagnare le persone nelle camere a gas, per poi pulirle e cremare i corpi. Il volto ormai rassegnato di Saul trova un barlume di speranza nel corpo defunto di un ragazzino nel quale egli vede il proprio figlio, facendone così una missione nel cercare di dare degna sepoltura al ragazzo. Tutto è concentrato negli occhi del protagonista, in un film in grado di ottenere anche il premio Oscar come miglior film straniero ma che rimane troppo vago e personale, realizzare una sorta di film d'autore sulla Shoah comporta qualche perdita a livello di narrazione e soprattutto di comprensione a 360°.
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matteo
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mercoledě 5 febbraio 2020
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nel cuore dell'inferno
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l film è incentrato su Saul membro (temporaneo) del sonderkommando di Auschwitz. Senso di precarietà claustrofobico dove il ritmo del lavoro e della vita è sempre sospeso tra la vita e la morte in un universo di violenza privo di umanità, dove il solo obiettivo è sopravvivere. Un film praticamente senza colonna sonora che rende in modo efficace la realtà precaria all'interno del campo. Azzeccato l'uso della telecamera a spalla e dello sfocamento come strategia di estraniazione dall'orrore. Non capisco le critiche sul realismo a questo film. Evidntemente mancano informazioni adeguate su come funzionava il sonderkommando e su quello che è stato Auschwitz-Birkenau.
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l film è incentrato su Saul membro (temporaneo) del sonderkommando di Auschwitz. Senso di precarietà claustrofobico dove il ritmo del lavoro e della vita è sempre sospeso tra la vita e la morte in un universo di violenza privo di umanità, dove il solo obiettivo è sopravvivere. Un film praticamente senza colonna sonora che rende in modo efficace la realtà precaria all'interno del campo. Azzeccato l'uso della telecamera a spalla e dello sfocamento come strategia di estraniazione dall'orrore. Non capisco le critiche sul realismo a questo film. Evidntemente mancano informazioni adeguate su come funzionava il sonderkommando e su quello che è stato Auschwitz-Birkenau. Ma allora perchè scrivere certe scempiaggini?
Da non perdere per chi vuole sapere.
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pietro viola
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lunedě 24 giugno 2019
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la speranza
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Che cosa rende un uomo un uomo? Il linguaggio, la ragione, l'immaginazione.. ma prima di tutto la necessità di cercare e trovare un senso alle cose, una prospettiva, all'interno di relazioni. Su questo, i campi di sterminio sono stati forse la massima espressione di disumanizzazione della Storia, arrivando al punto di creare "unità speciali" costituite dalle stesse vittime trasformate a rotazione in carnefici, offrendo in cambio la mera (e transitoria) sopravvivenza fisica: uomini forzati a diventare involucri di carne per eliminarne altri già trasformati in "pezzi".
Di questo orrore si sono occupati già altri film, ma nessuno ha la potenza di questo.
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Che cosa rende un uomo un uomo? Il linguaggio, la ragione, l'immaginazione.. ma prima di tutto la necessità di cercare e trovare un senso alle cose, una prospettiva, all'interno di relazioni. Su questo, i campi di sterminio sono stati forse la massima espressione di disumanizzazione della Storia, arrivando al punto di creare "unità speciali" costituite dalle stesse vittime trasformate a rotazione in carnefici, offrendo in cambio la mera (e transitoria) sopravvivenza fisica: uomini forzati a diventare involucri di carne per eliminarne altri già trasformati in "pezzi".
Di questo orrore si sono occupati già altri film, ma nessuno ha la potenza di questo. Per buona parte del tempo la macchina da presa è a fuoco solo sul protagonista, Saul, appartenente a quelle "unità speciali", e sulla ritualità di morte che accompagna le sue giornate ad Auschwitz: preparare i "pezzi", farli spogliare, spingerli nelle camere a gas, rimuovere e pulire, portare ai forni crematori, raccogliere le ceneri e disperderle nel fiume vicino. Sullo sfondo, le urla, i canti, le preghiere, la nudità inerme, il sangue, le cataste di corpi, il silenzio. In primo piano, lo sguardo vitreo, la testa girata, le orecchie sorde, per paura e impossibilità di tollerare di continuare a vedere, sentire. Solo ripetizione meccanica di gesti.
Poi, uno dei "pezzi" della catasta acquista forma, viene visto. Un ragazzo. Il figlio. O forse non è realmente il figlio, ma ha poca importanza. Adesso Saul ha deciso di ricominciare a vedere, non importa se fantasmi, e a fare: vuole dare sepoltura a quel corpo, una funzione religiosa, un ministro di culto. Vuole dare un senso a quella morte, uno tra i tanti possibili, ma un senso che è innanzitutto il riappropriarsi del bisogno di riconoscere l'umanità di quel corpo, e l'umanità della propria pietà. Perchè è questo che rende un uomo un uomo.
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cavallinodorato
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lunedě 28 gennaio 2019
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peggior film mai fatto sulla shoah
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Film a dir poco mediocre ed IRREALISTICO in molte scene.
Due ore perse a guardare un protagonista a mio parere insignificante, passivo e privo di emozioni persino quando gli uccidono il figlio davanti agli occhi... Poco credibile... Per di più i suoi "compagni" ed i nazisti stessi avrebbero dovuto ammazzarlo in tutte quelle occasioni dove è stato un perfetto buono a nulla e ha mancato il suo obbiettivo. Non si tolleravano di certo questi buoni a nulla né dalla resistenza né dai nazisti!!! Che strana indulgenza che hanno avuto invece nel film! Totalmente irrealistico e fantasioso. Forse andrebbe bene nella categoria fantascienza. Ci sono film migliori che sono stato poco premiati in confronto a questa schifezza che meriterebbe di essere solo cestinata e non di certo diffusa.
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Film a dir poco mediocre ed IRREALISTICO in molte scene.
Due ore perse a guardare un protagonista a mio parere insignificante, passivo e privo di emozioni persino quando gli uccidono il figlio davanti agli occhi... Poco credibile... Per di più i suoi "compagni" ed i nazisti stessi avrebbero dovuto ammazzarlo in tutte quelle occasioni dove è stato un perfetto buono a nulla e ha mancato il suo obbiettivo. Non si tolleravano di certo questi buoni a nulla né dalla resistenza né dai nazisti!!! Che strana indulgenza che hanno avuto invece nel film! Totalmente irrealistico e fantasioso. Forse andrebbe bene nella categoria fantascienza. Ci sono film migliori che sono stato poco premiati in confronto a questa schifezza che meriterebbe di essere solo cestinata e non di certo diffusa.
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carmine65
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sabato 26 gennaio 2019
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fughiamo i dubbi...
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Commento a Zulu51 - Io trovo il film molto aderente a quello che gli storici e i testimoni riferiscono. Ora cercherò di dare una risposta ai tuoi dubbi: 1) i prigionieri non sembrano denutriti perché non arrivano da altri campi, ma dal loro paese; sicuramente il viaggio sarà stato orribile e le condizioni di vita difficili, ma diventavano scheletri nei campi; lo stesso vale per il ragazzo; certo probabilmente il corpo avrebbe potuto essere sfigurato dalla sofferenza, ma penso che mantenerlo integro fosse funzionale alla narrazione (a farlo emergere dalla massa indistinta; 2) i prigionieri destinati alle camere a gas non venivano registrati ed è perfettamente logico che i pochi valori che erano riusciti a non farsi sottrarre fossero nascosti nel loro abbigliamento; 3) il medico SS ordina al medico deportato (ve ne erano diversi che lavoravano nei crematori) di eseguire l'autopsia al ragazzo probabilmente perché rappresenta un caso rarissimo (è sopravvissuto alla gassazione, anche se poi viene ucciso dalla SS) e per tale motivo, secondo loro, da studiare con cura; l'autopsia ovviamente veniva eseguita solo su alcuni corpi e in genere proprio su persone uccise con metodi alternativi o durante esperimenti; il medico deve registrare solo i cadaveri che dovrà sottoporre ad autopsia (non tutti) e come detto si trattava di persone uccise sul posto, quindi non passate dalla camera a gas e pertanto ancora in possesso di qualche documento; registrare in questo caso significa prenedere nota delle caratteristiche indicative del ragazzo (tant'è che nel prosieguo del film chiede a Saul di portargli un corpo con caratteristiche simili); 4) i membri del Sonderkommando avevano una certa libertà di movimento all'interno del perimetro del crematorio (anche esterno) e inoltre erano facilmente identificabili dalle guardie; 5) il tedesco che sorprende Saul non è un soldato, ma un ufficiale SS (tenente o sottotenente) e gli altri sono tutti ufficiali medici senza grandi differenze di grado; la canzonatura rappresentata era una forma di dileggio per umiliare il prigioniero (se hai visto il Pianista vedrai che spesso gli ebrei venivano sbeffeggiati); 6) la facilità con cui Emma consegna il pacchetto la chiamerei coraggio; /) mandano lui perchè si offre volontario (era molto rischioso); 8) quando scavano la fossa si trovano nell'area del crematorio ove poteva essere usuale che il Sonderkommando facesse lavori; i vestit per vestire sè e il presunto rabbino sono quelli degli ebrei che venivano fucilati nei pressi (prima venivano fatti spogliare); 9) il fatto che Saul pensi a un morto piuttosto che pensare a salvarsi è il cuore del film; 10) la rivolta del Sonderkommando riprende un fatto realmente accaduto a Birkenau (le armi in qualche modo le hanno trovate) finito tragicamente.
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Commento a Zulu51 - Io trovo il film molto aderente a quello che gli storici e i testimoni riferiscono. Ora cercherò di dare una risposta ai tuoi dubbi: 1) i prigionieri non sembrano denutriti perché non arrivano da altri campi, ma dal loro paese; sicuramente il viaggio sarà stato orribile e le condizioni di vita difficili, ma diventavano scheletri nei campi; lo stesso vale per il ragazzo; certo probabilmente il corpo avrebbe potuto essere sfigurato dalla sofferenza, ma penso che mantenerlo integro fosse funzionale alla narrazione (a farlo emergere dalla massa indistinta; 2) i prigionieri destinati alle camere a gas non venivano registrati ed è perfettamente logico che i pochi valori che erano riusciti a non farsi sottrarre fossero nascosti nel loro abbigliamento; 3) il medico SS ordina al medico deportato (ve ne erano diversi che lavoravano nei crematori) di eseguire l'autopsia al ragazzo probabilmente perché rappresenta un caso rarissimo (è sopravvissuto alla gassazione, anche se poi viene ucciso dalla SS) e per tale motivo, secondo loro, da studiare con cura; l'autopsia ovviamente veniva eseguita solo su alcuni corpi e in genere proprio su persone uccise con metodi alternativi o durante esperimenti; il medico deve registrare solo i cadaveri che dovrà sottoporre ad autopsia (non tutti) e come detto si trattava di persone uccise sul posto, quindi non passate dalla camera a gas e pertanto ancora in possesso di qualche documento; registrare in questo caso significa prenedere nota delle caratteristiche indicative del ragazzo (tant'è che nel prosieguo del film chiede a Saul di portargli un corpo con caratteristiche simili); 4) i membri del Sonderkommando avevano una certa libertà di movimento all'interno del perimetro del crematorio (anche esterno) e inoltre erano facilmente identificabili dalle guardie; 5) il tedesco che sorprende Saul non è un soldato, ma un ufficiale SS (tenente o sottotenente) e gli altri sono tutti ufficiali medici senza grandi differenze di grado; la canzonatura rappresentata era una forma di dileggio per umiliare il prigioniero (se hai visto il Pianista vedrai che spesso gli ebrei venivano sbeffeggiati); 6) la facilità con cui Emma consegna il pacchetto la chiamerei coraggio; /) mandano lui perchè si offre volontario (era molto rischioso); 8) quando scavano la fossa si trovano nell'area del crematorio ove poteva essere usuale che il Sonderkommando facesse lavori; i vestit per vestire sè e il presunto rabbino sono quelli degli ebrei che venivano fucilati nei pressi (prima venivano fatti spogliare); 9) il fatto che Saul pensi a un morto piuttosto che pensare a salvarsi è il cuore del film; 10) la rivolta del Sonderkommando riprende un fatto realmente accaduto a Birkenau (le armi in qualche modo le hanno trovate) finito tragicamente. Per concludere posso solo dire che questo film fornisce in assoluto la rappresentazione più storicamente realistica del processo di sterminio e non è certo Laszlo Nemes che deve approfondire la conoscenza storica.
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francesco2
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domenica 17 giugno 2018
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un "altro" film sull'olocausto
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E scontato, molto piů che scontato sottolineare come OGNI film sullOlocausto ci metta di fronte a determinati interrogativi. Se si POSSANO rappresentare quegli anni, in termini di diritti etici ma anche di fattibilitŕ, e quale eventuale chiave di (ri?)lettura bisogna scegliere? Limitarsi (Sic?)° ai risvolti documentaristici, o scegliere una chiave lettura piů ampia? O, ancora, battere il percorso farsesco-drammaticaovista nella Vita č bella o in Train de vie? In una primissima fase, nel film qui analizzato, concentrarsi sul protagonista non č scelta orientata ad isolare unindividualitŕ rispetto al contesto: egli, anzi, č portatore di vita alla fine, anche nel senso letterale-, che xompie sforzi disumani per portare a termine quello in cui crede, proprio come disumana fu Auschwitz, evitando laccostamento banalissimo tra le sue vicissitudini personali e quelle collettive, ovverosia il figlio che avrebbe perso.
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E scontato, molto piů che scontato sottolineare come OGNI film sullOlocausto ci metta di fronte a determinati interrogativi. Se si POSSANO rappresentare quegli anni, in termini di diritti etici ma anche di fattibilitŕ, e quale eventuale chiave di (ri?)lettura bisogna scegliere? Limitarsi (Sic?)° ai risvolti documentaristici, o scegliere una chiave lettura piů ampia? O, ancora, battere il percorso farsesco-drammaticaovista nella Vita č bella o in Train de vie? In una primissima fase, nel film qui analizzato, concentrarsi sul protagonista non č scelta orientata ad isolare unindividualitŕ rispetto al contesto: egli, anzi, č portatore di vita alla fine, anche nel senso letterale-, che xompie sforzi disumani per portare a termine quello in cui crede, proprio come disumana fu Auschwitz, evitando laccostamento banalissimo tra le sue vicissitudini personali e quelle collettive, ovverosia il figlio che avrebbe perso. Il regista, sfidando le vere o supposte- leggi del cinema, usa (ed abusa?) alcuni insistitissimi primi piani, in un luogo senza tempo oberato di azione, parafrasando le leggi di Aristotele. E una scelta, al contempo, né cinematografica né documentaristica, che (ci)isola nel narrare un avvenimento si spera- irripetibile , da tutto avulso sul piano morale e, probabilmente, su quello banalmente geografico. In una fase successiva, tuttavia, il film čnulla piů che un dignitosissimo racconto su un (anti)eroe, forse non borghese ma dimesso, che sposa la causa della speranza in un contesto giŕ visto tante volte, fatto di (tanti) aguzzini e di poche brave persone, pronte come lui ad infondere speranza nellorrore. Questultimo č distante dalla realtŕ giŕ morta del Toto di Cipri e Maresco e forse, chissŕ, persino dalla succitata ironia tragica della coppia Benigni-Cerami. Dal punto di vista personale, ho ricominciato a provare delle emozioni piů profonde solo negli ultimi momenti, chee semplificano una fuga da quella dimensione aberrante come anche dalle leggi dal cinema, che il film ha osservato bene ma sin troppo diligentemente. Allora, non ricommettendo lerrore del 1994, quando Schindlers List laveva spuntata su Lezioni di piano, la Giuria di Cannes 2015 ha insignito della Palma dOro il sopravvalutato Dheepan, e secondo me ha agito correttamente.
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laurence316
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sabato 31 marzo 2018
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imperdibile, tragico e originale film sulla shoah
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Esordio potentissimo, stilisticamente originale, pesante come un macigno, dell’ungherese Nemes (allievo di Bela Tarr), Il figlio di Saul è un’opera assolutamente imperdibile e memorabile.
Girata in formato 4:3, camera a spalla, per mezzo di ininterrotti primi e primissimi piani del protagonista e sfondi sempre sfocati, colori desaturati e totale, completa, assoluta assenza di musica, risulta essere un’opera per questo straniante, allucinante e a primo acchito spiazzante, eppure tremendamente efficace, incisiva e indimenticabile.
Non è una visione facile, ma del resto non si propone di esserlo. Nonostante, sostanzialmente, non mostri quasi nulla, risulta comunque paradossalmente più inquietante, opprimente e terrificante di tante altre opere sullo stesso tema.
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Esordio potentissimo, stilisticamente originale, pesante come un macigno, dell’ungherese Nemes (allievo di Bela Tarr), Il figlio di Saul è un’opera assolutamente imperdibile e memorabile.
Girata in formato 4:3, camera a spalla, per mezzo di ininterrotti primi e primissimi piani del protagonista e sfondi sempre sfocati, colori desaturati e totale, completa, assoluta assenza di musica, risulta essere un’opera per questo straniante, allucinante e a primo acchito spiazzante, eppure tremendamente efficace, incisiva e indimenticabile.
Non è una visione facile, ma del resto non si propone di esserlo. Nonostante, sostanzialmente, non mostri quasi nulla, risulta comunque paradossalmente più inquietante, opprimente e terrificante di tante altre opere sullo stesso tema. Il non visto, l’ossessivo sottofondo costituito dagli ordini e dalle imprecazioni delle SS, la trama semplice e lineare ma fortemente simbolica, bastano da soli a rendere tutto l’orrore e la crudeltà del campo di concentramento e sterminio nazista, nel quale risulta impossibile anche solo cercare di compiere un’operazione semplice e umana come quella di dare degna sepoltura ai morti.
Queste scelte stilistiche adottate dal regista bastano da sole a restituire tutta la tragicità e la disumanità della situazione, tra l’insensibilità degli aguzzini e l’ossessivo, disperato tentativo di sopravvivere delle vittime.
Il figlio di Saul è un film duro, quasi insostenibile, ma non truculento, capace di immergere lo spettatore nell’orrore senza scadere nel sensazionalismo. Un film in qualche misura persino poetico: “poesia che scaturisce dall’antitesi tra la violenza e l’odio, che accomunano SS e Sonderkommando, e l’amore e la pietà di Saul, simbolo della vita che risorge proprio nel regno della morte” (Morandini).
Un film imprescindibile, adatto ad ogni rassegna scolastica, che, con pochi altri, rappresenta una delle vette più alte mai toccate dalla lunga filmografia sulla Shoah. Meritatissimi il Gran Premio della Giuria a Cannes, il Golden Globe al miglior film e l’Oscar al miglior film straniero (secondo film ungherese della storia del cinema a vincere il premio [dopo Mephisto di István Szabó, risalente al 1981]).
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ennio
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mercoledě 3 gennaio 2018
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l'alienazione narrata in modo originale e feroce
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Non sono molti i film sull'olocausto che brillano per originalità. "il figlio di Saul" è tra questi. La scelta di concentrare le riprese sul protagonista e mantenere il resto sullo sfondo, spesso sfocato, è una trovata che ti fa vivere molto più da vicino l'assurdità e l'oppressione della prigionia e del clima militare. Anche la scelta di lasciare la lingua tedesca non tradotta all'inizio disturba, sembra di non riuscire a seguire bene la trama, ma alla fine si rivela il fattore che più di tutti ti fa vivere la drammaticità, l'alienazione nella vita dei protagonisti, che per loro è ormai diventata normalità.
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Non sono molti i film sull'olocausto che brillano per originalità. "il figlio di Saul" è tra questi. La scelta di concentrare le riprese sul protagonista e mantenere il resto sullo sfondo, spesso sfocato, è una trovata che ti fa vivere molto più da vicino l'assurdità e l'oppressione della prigionia e del clima militare. Anche la scelta di lasciare la lingua tedesca non tradotta all'inizio disturba, sembra di non riuscire a seguire bene la trama, ma alla fine si rivela il fattore che più di tutti ti fa vivere la drammaticità, l'alienazione nella vita dei protagonisti, che per loro è ormai diventata normalità.
Ottimo film, al riparo dai sentimentalismi e dai formali moralismi che quasi sempre appaiono, ahimè, nei film sulla Shoah.
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valterchiappa
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mercoledě 8 novembre 2017
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endlösung
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Si poteva dire ancora qualcosa sulla Shoah? Sì, se tralasciata ogni consequenzialità propria di un racconto storico, la si rende l’archetipo di ogni idea di Male, un immenso Mare Nero dove far galleggiare il flebile e purtroppo effimero lume di una Speranza. Sì, se la dipinge come Caos sommo, negazione di ogni Ordine che è alla base del concetto di umanità. “Il figlio di Saul” è questo ed oltre.
Un racconto surreale. Saul Ausländer (Géza Röhrig), prigioniero ungherese nel campo di sterminio di Auschwitz, è arruolato nei Sonderkommand. Il più infame dei compiti: al servizio del proprio carnefice accompagnare i confratelli verso le camere a gas, raccoglierne i corpi, stiparli nei forni crematori.
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Si poteva dire ancora qualcosa sulla Shoah? Sì, se tralasciata ogni consequenzialità propria di un racconto storico, la si rende l’archetipo di ogni idea di Male, un immenso Mare Nero dove far galleggiare il flebile e purtroppo effimero lume di una Speranza. Sì, se la dipinge come Caos sommo, negazione di ogni Ordine che è alla base del concetto di umanità. “Il figlio di Saul” è questo ed oltre.
Un racconto surreale. Saul Ausländer (Géza Röhrig), prigioniero ungherese nel campo di sterminio di Auschwitz, è arruolato nei Sonderkommand. Il più infame dei compiti: al servizio del proprio carnefice accompagnare i confratelli verso le camere a gas, raccoglierne i corpi, stiparli nei forni crematori. Premio: quattro mesi di vita in più, prima del cambio della guardia. Saul adempie con sguardo assente, senza dire parola, mentre attorno a lui è il caos. Finché un giorno, nel viso di un bambino moribondo, riconosce, o meglio crede di riconoscere, suo figlio. Non può salvargli la vita, ma almeno cercare di dargli degna sepoltura secondo il rito ebraico, evitandogli la dissoluzione dell’incenerimento. Sempre silenzioso si affanna per occultarne il cadavere e trovare fra i prigionieri un rabbino. La ricerca, purtroppo folle, purtroppo vana, di una speranza, di un qualcosa in cui credere, diventa l’unica possibile ragione per vivere.
Come narrare tutto questo? Come tessere un filo continuo dove tutto è frammentazione, come inseguire un senso dove è la Ragione ad esser negata? László Nemes, regista ungherese esordiente, ci riesce con una tecnica registica spericolata ed innovativa. Con il movimento continuo della camera a mano, sussultante, traballante, spara immagini quasi psichedeliche che disorientano, scuotono, rivoltano il senso dell’equilibrio. Le scene si susseguono freneticamente, i movimenti sono convulsi, le voci sono urla, le nenie ebraiche, flebile ma inarrestabile leitmotiv, un mantra ipnotizzante. Tutto è volto creare disturbo, a colpire lo stomaco, strizzare il fegato, ottundere la mente. E tutto ciò senza centrare mai l’occhio sulla violenza, ma lasciandola come uno sfondo indistinto. Perché il viaggio del misero Saul è il solo oggetto della sua camera. L’obiettivo mette a fuoco solo la figura del protagonista, tutto il resto è sfocato, la massa dei corpi, il sangue, così come i suoni, assordanti, stridenti, rimbombanti ma indistinguibili. Forse perché l’orrore è inenarrabile o forse perché il folle proposito di Saul, quell’esile, tenacissimo filo, è ciò che solo è sensato in una follia immensamente più abnorme.
Oltre che dal genio di László Nemes il film è sostenuto dalla straordinaria interpretazione del protagonista, Géza Röhrig, fatta di un’espressività ineffabile, di movimenti automatici, di totale straniamento, sintomi dell’annullamento dell’umanità fine ultimo della Endlösung. Artista affatto originale Röhrig: ex musicista punk censurato dal regime comunista ungherese, poeta, studioso della cultura ebraica, in “Il figlio di Saul” è al debutto come attore.
Un film di esordienti quindi, provenienti di un paese, l’Ungheria, ai margini dei grandi circuiti: solo da questo contesto poteva giungere un contributo così innovativo all’arte cinematografica. Il risultato non si è fatto attendere; e dopo il Grand Prix Speciale della Giuria al Festival di Cannes 2015 ed il Golden Globe, stanotte “Il figlio di Saul” ha meritatamente scalato il palco più ambito, conquistando l’Oscar 2016 per il miglior film straniero; eppure non ci saremmo aspettati tanto coraggio da parte dell’Academy, nel premiare un film così drammaticamente impattante sia nella lingua che nel messaggio.
“Il figlio di Saul”, per logiche miopi, ha stazionato troppo poco nelle sale. Cercatelo e vedetelo; accettate di farvi sconvolgere, angosciare, di soffrire anche fisicamente. Affondate occhi, cuore, cervello nel dolore.
È il viatico necessario perché alla fine, più forte di tutto il Male, possa riaccendersi un sorriso.
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greatsteven
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sabato 15 luglio 2017
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il sentimento paterno della pietŕ nella shoah.
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IL FIGLIO DI SAUL (UNG, 2015) diretto da LàSZLò NEMES. Interpretato da GéZA RöHRIG, LEVENTE MOLNAR, URS RECHN, SANDòR ZSòTER, TODD CHARMONT
Premiato con l’Oscar al migliore film straniero, eguale riconoscimento pareggiato col Golden Globe e il David di Donatello nella medesima categoria, insieme al Grand Prix de la Giurie a Cannes, è uno dei capolavori inconfutabili dell’ultimo decennio, un film di nicchia che ha usufruito d’un distributore indipendente e brilla di luce propria nella categoria cui appartiene, la pellicola storica di ambiente ebraico in piena Seconda Guerra Mondiale.
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IL FIGLIO DI SAUL (UNG, 2015) diretto da LàSZLò NEMES. Interpretato da GéZA RöHRIG, LEVENTE MOLNAR, URS RECHN, SANDòR ZSòTER, TODD CHARMONT
Premiato con l’Oscar al migliore film straniero, eguale riconoscimento pareggiato col Golden Globe e il David di Donatello nella medesima categoria, insieme al Grand Prix de la Giurie a Cannes, è uno dei capolavori inconfutabili dell’ultimo decennio, un film di nicchia che ha usufruito d’un distributore indipendente e brilla di luce propria nella categoria cui appartiene, la pellicola storica di ambiente ebraico in piena Seconda Guerra Mondiale. Lo dirige Nemes, classe 1977, nato a Budapest, apprendistato a Parigi e New York e buona parte degli studi cinematografici spesa in Francia, il quale, dopo numerosi cortometraggi che fecero incetta di premi, è approdato col film in questione al lungometraggio. Storia di Saul Ausländer, Sonderkommando ungherese, incaricato di rubare dai cappotti degli israeliti gli effetti preziosi dopo che essi son stati denudati per fare la doccia nella camera a gas. (Il termine tedesco ritrae appunto il prigioniero nella condizione particolare di fare da aiutante e strumento volontario d’appoggio alle SS, che lo mantengono in vita soltanto per qualche mese per poi sterminarlo alla stregua degli omologhi deportati). Terminato un eccidio, un bambino rimane inspiegabilmente vivo. Il medico soffoca il suo respiro e lo sopprime. Saul, che non ha figli, finge di riconoscere nel giovanissimo defunto un figlio, ne trafuga il corpo e si mette a cercare un rabbino per dargli onorata sepoltura con esequie da celebrare. La sua ricerca è però molto difficoltosa, lo porta ad infrangere numerose regole sia all’interno che all’esterno del suo campo di concentramento (Auschwitz), lo fa spostare tra Birkenau e Biederman fra spalatori di cenere e ribelli in rivolta e gli costa specialmente tanto l’astio dei gerarchi nazisti quanto lo sdegno dei detenuti che mirano a sovvertire l’ordine costituendo preparando una protesta armata contro i crudeli carcerieri. Scovato il rabbino di cui necessita, Saul fugge dal campo di lavoro dopo aver pagato una donna ebrea addetta alla pulizia delle mense, ma perde il bambino infagottato mentre traversa il fiume fra una sponda e l’altra della foresta esterna, e muore durante una rastrellata ad opera delle SS accortesi della comitiva fuggiasca, causa un bambino biondo zittito all’istante cui rivolge il suo ultimo sorriso, eterna e pacifica manifestazione d’affetto per la generazione nuova costretta a subire orrori e barbarie indesiderati. La coppia Nemes-Röhrig è la carta vincente che fornisce la foltissima linfa vitale ad un’opera costituente un punto d’approdo e un mito da caposcuola che racconta un frammento arcinoto dell’evento storico da sempre più rappresentato al cinema, con lo sguardo disincantato di una sceneggiatura che denuncia la brutalità bellica andandola a colpire nella sua zona più labile: la sottomissione di un’intera razza. Non c’è pietà per i nazisti, beninteso, ma nemmeno, e questo anche un po’ inaspettatamente, compassione per il popolo semita: si cerca insomma di evitare i sentimentalismi (trappola sempre ricorrente, in tali frangenti) per narrare una storia non certo originale, ma ricca di un repertorio che ha ancora un bagaglio vasto cui attingere, e che viene svuotato con l’espletamento di numerosi significati profondi, dalla paternità simulata ai fini di sopravvivenza alla lotta organizzata con le armi per contrastare il dispotismo, dall’istituzione totale che giustifica la tirannia di chi si ritiene intellettualmente superiore al bisogno del cameratismo amichevole e virile allo scopo di fuggire un’ingiusta, reiterata prigionia senza scopo. Il regista adotta lo stratagemma geniale di riprendere, per tre quarti della durata, il protagonista di spalle, mettendone bene in risalto il segno a croce rosso sulla casacca consunta, la nuca pelosa e il berretto macilento, mentre, quando viene inquadrato il suo viso, traspare a fiotti commoventi il suo smarrimento, unito ad un odio inveterato e ad una rabbia compressa. Elementi che gli danno l’acqua della vita, che forniscono al personaggio principale la ragion d’essere di perseverare in una missione che comunque ha già molti motivi di non andare in porto, ma che in effetti fallisce dopo che Saul s’è impegnato anima e corpo per trasgredire un regolamento intero (anzi, due) affinché il bimbo da lui salvato ottenga ciò che gli spetta cristianamente e umanamente. Apologo umanistico sul perché della guerra, funziona con meravigliosa potenza espressiva anche come racconto pessimistico sulla condizione umana: Saul, insieme al compagno connazionale Abraham, altro personaggio descritto e recitato con puntigliosa dovizia ed eccellente rigore stilistico, è un prigioniero involontario che si presta ad appoggiare i suoi feroci detrattori ritagliandosi due mesi in più di vita prima di esser passato a sua volta per le armi, ma non asseconda ciò che gli suggerisce la sua condizione per combattere con obiettivi da raggiungere ben precisi e delineati. Un brandello significativo nel quadro del cinema d’autore di stampo nazionale, il che fa onore all’Ungheria e trasporta Nemes nell’albo dei cineasti ormai non più emergenti e che meritano l’attenzione della critica, non tanto quella (inutile) dei mass media. Una scenografia che sa ritrarre con crudo realismo le stanze buie, fredde e sporche del peggior luogo di dolore della Storia umana, assieme alla natura incontaminata e accogliente, ma fino a un certo punto, che ne circonda il perimetro esteriore. Se abbinati, divengono entrambi una pietosa caverna di raccoglimento in cui sofferenza e disperazione si tramutano in ragioni inequivocabili per sollevarsi dal fango, rifiutarsi di spalare nel torrente la cenere di coloro che son stati appena bruciati nei forni crematori e ribadire la propria inalienabile umanità di fronte alle urla, alle botte, ai fucili puntati. Saul doppiato da Stefano Santerini, Abraham da Andrea Lavagnino. Centotré minuti di ammirevole e spietato spettacolo da gustare in sala per poi ripetere l’esperienza una seconda volta col lettore DVD a casa.
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