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amokubrik
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martedì 3 marzo 2015
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un uomo senza limiti
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Un film come si deve con un' attore molto bravo.
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luca8383
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venerdì 20 febbraio 2015
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film attualissimo
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In una società dove bisogna essere disposti a tutto pur di lavorare, si finisce ad essere pronti a tutto pur di avere successo... Un film molto bello che offre parecchi spunti di riflessione. Gyllenhall perfetto.
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sev7en
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venerdì 6 febbraio 2015
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il dietro le quinte...
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Lou Bloom da disoccupato a tempo a freelance di successo svela i retroscena di un mondo costellato dagli strilli televisivi e dalla ricerca dello scoop ad ogni costo.
Dal regista di the Bourne legacy Dan Gilroy, dal rivalutato ‘Prisoners’ Jake “Lou Bloom’ Gyllenhaal , una pellicola che aspira a candidarsi come manifesto e testimonianza dei dietro le quinte di una News, ma anche lo specchio a cui ogni mattina ciascuno di noi dovrebbe guardarsi…
Originalità, realismo, cinismo, apatia e alienazione sono aggettivi e sentimenti non sorteggiati per una rimpatriata della Crusca, ma in quanto cardini e demiurghi dell'intera visione che assume una duplice regia: la prima built-in a cui si assiste passivamente lasciando che occhi e sentimenti filtrino l'eccellente fotografia del film ed i crimini quotidiani di cui ogni città è vittima, l'altra quella dello spettatore che dinanzi ai fatti può porre i propri paletti etici e morali, il proprio giudizio.
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Lou Bloom da disoccupato a tempo a freelance di successo svela i retroscena di un mondo costellato dagli strilli televisivi e dalla ricerca dello scoop ad ogni costo.
Dal regista di the Bourne legacy Dan Gilroy, dal rivalutato ‘Prisoners’ Jake “Lou Bloom’ Gyllenhaal , una pellicola che aspira a candidarsi come manifesto e testimonianza dei dietro le quinte di una News, ma anche lo specchio a cui ogni mattina ciascuno di noi dovrebbe guardarsi…
Originalità, realismo, cinismo, apatia e alienazione sono aggettivi e sentimenti non sorteggiati per una rimpatriata della Crusca, ma in quanto cardini e demiurghi dell'intera visione che assume una duplice regia: la prima built-in a cui si assiste passivamente lasciando che occhi e sentimenti filtrino l'eccellente fotografia del film ed i crimini quotidiani di cui ogni città è vittima, l'altra quella dello spettatore che dinanzi ai fatti può porre i propri paletti etici e morali, il proprio giudizio.
La forza e la magia del film è quella di lasciarsi vivere ed interpretare a seconda di chi lo guardi esattamente come un guanto che camaleonticamente assume nervature e forme di una mano. La prova attoriale di Lou è da Oscar perché riesce a farsi amare ed odiare nello stesso istante : è un self-made man, ha tenacia ed ambizione smodata, una cultura basata sull 'ask to Google' e voglia di potere, non di ricchezza. Lo si odia perché a tratti il suo cinismo rasenta l'inverosimile e la sua vocazione è tale da fare terra battuta di ogni sentimento ed emozione, come un robot alla stregua di un perfetto, gelido di calcolatore.
Il regista da parte sua lascia che sia questo one man show a condurre ogni fotogramma anche nei fuori campo nei quali sua moglie moglie, una ‘comparsa’ dal nome impegnativo, Rene Russo, supporta il talentuoso uomo sul pezzo ad ogni costo e con ogni compromesso, mossa solo dal dio share. Un direttore di news dovrebbe ambire alla fedeltà della storia narrata, alla coerenza della notizia ma la smentita è secca quando si viene a scoprire che sono i ricchi e intoccabili bianchi in 'difetto' e che la rapina nella loro abitazione era motivata dalla polvere bianca.
A cosa può importare questo particolare quando il magnete è tarato sul sangue ed il pubblico televisivo swappa tra un canale, si badi, e non un programma/format/testata, alla ricerca di tali tratti cromatici? La news non è la notizia in sé quanto la forza delle immagini, l'ossessione, morbosa, dello zoom in modalità macro anche a costo di infastidire i servizi di pronto soccorso.
Un film che scommette e gioca le sue carte sulla bravura del protagonista, che le mostra scoperte sul banco fin dai titoli iniziali ma dal finale che ci auguriamo sia solo un monito alla società moderna (‘the show must go on...’) e non il preludio a nuovi episodi...
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pier delmonte
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martedì 27 gennaio 2015
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mi aspettavo di meglio
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Gilroy ci racconta a modo suo la fonte della notizia e tramite la moglie Russo l’uso della stessa notizia, devo dire che la cosa non e’ poi cosi’ interessante, tanto gia’ lo sappiamo, pero’ in questo film emerge la figura dell’intermediario in quel di Gyllenhall, cinico e geniale, lui vale il film, il resto e’ deja vu.
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flyanto
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mercoledì 21 gennaio 2015
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un notturno rapace di immagini shock
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Film in cui si racconta di un giovane uomo spiantato che vive di furti ed alla giornata. In seguito a delle circostanze fortuite un giorno egli incomincia a filmare amatorialmente un episodio di violenza riuscendo poi a venderlo ad una grossa e famosa emittente televisiva. Da qui inizia per lui la propria e veloce ascesa nel campo delle riprese di gravi episodi di violenza urbana contemporanea che lo condurranno a costruirsi una carriera, moralmente parlando assai dubbia, ma molto proficua dal punto di vista economico e dell'immagine personale.
Questa pellicola, costruita in pratica come un thriller dall'andamento adrenalinico e sempre più incalzante, grazie anche alle riprese veloci strutturate quasi come un video clip, risulta altamente riuscita per l'originalità della trama e, appunto, per il ritmo sempre sostenuto che rapisce e tiene in sospeso di continuo il fiato e l'interesse dello spettatore.
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Film in cui si racconta di un giovane uomo spiantato che vive di furti ed alla giornata. In seguito a delle circostanze fortuite un giorno egli incomincia a filmare amatorialmente un episodio di violenza riuscendo poi a venderlo ad una grossa e famosa emittente televisiva. Da qui inizia per lui la propria e veloce ascesa nel campo delle riprese di gravi episodi di violenza urbana contemporanea che lo condurranno a costruirsi una carriera, moralmente parlando assai dubbia, ma molto proficua dal punto di vista economico e dell'immagine personale.
Questa pellicola, costruita in pratica come un thriller dall'andamento adrenalinico e sempre più incalzante, grazie anche alle riprese veloci strutturate quasi come un video clip, risulta altamente riuscita per l'originalità della trama e, appunto, per il ritmo sempre sostenuto che rapisce e tiene in sospeso di continuo il fiato e l'interesse dello spettatore. Inoltre, la figura cinica e scaltra e sicuramente negativa dal punto di vista morale del protagonista contribuisce a destare l'interesse, se non ovviamente l'approvazione, del pubblico in quanto curioso di sapere sino a che punto si possa spingere la coscienza del protagonista (ammesso che ne abbia una) od anche di qualche essere umano, preso dalla brama di emergere e di riscattarsi socialmente ed economicamente parlando. Ed in ciò risulta quanto mai bravo, per non dire eccellente, Jake Gyllenhaal che interpreta il cameraman protagonista senza scrupoli, consegnando un ritratto di un uomo privo completamente di morale e diretto soltanto a raggiungimento dei propri scopi senza preoccuparsi affatto del prossimo e della loro eventuale sofferenza o danno. Il suo comportamento parrebbe quasi una sorta di riscatto per lo stato di precarietà e soprattutto di anonimato in cui egli viveva prima (infatti nel film non viene spiegato da dove egli provenga o come egli abbia abbia agito sino a quel momento, nè lo si apprenderà in seguito) ma ciò non toglie che sia in ogni caso deplorevole ed inaccettabile moralmente parlando.
Trovo molto azzeccato e più incisivo dell'italiano "Lo sciacallo" il titolo originale inglese del film: "The Night Crawler", cioè colui che striscia nella notte, e che effettivamente rispecchia proprio quello che fa il protagonista quando ruba, insinuandosi come un serpente nella notte, le sue più sconcertanti riprese.
Insomma, un film alquanto interessante e dunque da vedere.
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connor hawk
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sabato 17 gennaio 2015
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un cronenberg mancato
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Ormai, si sà, ad Hollywood l'autorialità non è più molto gradita. Questo ha portato, negli ultimi anni, a una sequela di soggetti dal grande potenziale che però non sono riusciti a rispettare le aspettative una volta tramutati in film, un esempio? "Elysium" e "La notte del giudizio", buone idee mal sfruttate che se date in mano al regista giusto (Carpenter) potevano ambire a diventare qualcosa di più del semplice film di genere. Per questo "Nightcrawler" la situazione è molto simile, un soggetto molto interessante che non viene sfruttato al meglio. Sia chiaro, la sceneggiatura è ben scritta, non ci sono punti morti né buchi di trama, ma forse si concentra troppo sulla "spettacolarizzazione" del protagonista e non riesce a scavare a fondo nel mondo della cronaca nera d'assalto, là dove si va a mettere in evidenza l'amoralità dei media e il marcio del mestiere giornalistico il film non riesce a suscitare nello spettatore il senso di nausea e disgusto che dovrebbe permeare un film del genere.
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Ormai, si sà, ad Hollywood l'autorialità non è più molto gradita. Questo ha portato, negli ultimi anni, a una sequela di soggetti dal grande potenziale che però non sono riusciti a rispettare le aspettative una volta tramutati in film, un esempio? "Elysium" e "La notte del giudizio", buone idee mal sfruttate che se date in mano al regista giusto (Carpenter) potevano ambire a diventare qualcosa di più del semplice film di genere. Per questo "Nightcrawler" la situazione è molto simile, un soggetto molto interessante che non viene sfruttato al meglio. Sia chiaro, la sceneggiatura è ben scritta, non ci sono punti morti né buchi di trama, ma forse si concentra troppo sulla "spettacolarizzazione" del protagonista e non riesce a scavare a fondo nel mondo della cronaca nera d'assalto, là dove si va a mettere in evidenza l'amoralità dei media e il marcio del mestiere giornalistico il film non riesce a suscitare nello spettatore il senso di nausea e disgusto che dovrebbe permeare un film del genere. Ma il vero problema è indubbiamente la regia, funzionale e godibile, ma che non riesce a mettere l'accento su quelle che dovrebbero essere le tematiche del film e anche qui si pecca di superficialità, rendendo il tutto troppo veloce, troppo dinamico, quando sarebbe stato necessario soffermarsi di più su alcuni particolari, andare oltre la semplice critica alla categoria dei cronisti d'assalto ed esplorare attentamente i labirinti della psiche. Chi avrebbe potuto rendere questo film un vero capolavoro? ma ovviamente David Cronenberg, che con un soggetto del genere avrebbe potuto dar vita ad una summa della sua filmografia, inserendo il cinismo insito nel protagonista de "La Mosca", la critica ai media e al pubblico di "Videodrome" e anche la perversione macabra di "Crash". Il classico tema della "nuova carne" e l'occhio indagatore di Cronenberg ,che mette continuamente a nudo le parti più nascoste e inconfessabili della mente umana (oltre ovviamente alla tecnica superiore di uno tra i migliori registi degli ultimi 60 anni) , avrebbe conferito alla pellicola quella poetica autoriale che separe gli ottimi film dai capolavori. Quindi come è possibile che un film del genere meriti 4 stelle? perché se da un lato la sceneggiatura non sfrutta a pieno il potenziale del soggetto, dall'altro c'è un Jake Gyllenhaal strepitoso (forse la sua migliore interpretazione di sempre) che da vita a un personaggio, quello del sociopatico Lou Bloom, indiscutibilmente tra i più iconici dell'anno. A metà tra il Joker di Heath Ledger nel "Cavaliere oscuro" di Nolan e il Rupert Pupkin di De Niro in "Re per una notte" di Scorsese, Lou Bloom è un personaggio che rimarrà marchiato a fuoco nella mente del pubblico. Forse questo può essere considerato anche il grande tallone d'achille del film, ci si concentra troppo sulla figura di questo straordinario personaggio e si finisce per trascurare il mondo in cui si muove, rimanendo troppo in superficie e non immergendosi appieno nei meandri dell'animo umano.
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gianleo67
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domenica 28 dicembre 2014
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'in cold blood'...secondo gilroy
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Ladruncolo e ricettatore senza arte nè parte, Lou Bloom si reinventa reporter freelance, precipitandosi tempestivamente sul luogo del delitto grazie ad uno scanner radio e procurandosi così immagini forti ed efferate che rivende ad una tv locale.
Giunto sulla scena di un massacro prima della polizia, riesce a filmare tanto le vittime quanto i carnefici mantenedo il riserbo su questi ultimi per sfruttare a suo vantaggio l'informazione e manipolarne la cattura per lo scoop che lo lancerà definitivamente nel business del giornalismo scandalistico. Costi quel che costi.
Chi è Lou Bloom? Un genio autodidatta che sfrutta a suo vantaggio gli spietati e cinici meccanismi del giornalismo d'inchiesta o un sociopatico che riesce casualmente a ritagliarsi uno spazio nel fiorente business dello sciacallaggio televisivo?
Sembra questa la domanda che anima questo corrosivo thriller metropolitano sui 'progressivi scivolamenti dell'etica' al tempo della civiltà dell'immagine e che, come nella gloriosa tradizione hollywoodiana sul tema ('Citizen Kane' - 1941 - Orson Welles, 'Ace in the Hole' - 1951 - Billy Wilder, 'Network' - 1976 - Sidney Lumet), pare tratteggiare il carattere grottesco e tragico insieme di un reietto che si muove ai margini di una intricata giungla suburbana fatta di violenza e di sangue, pronto a monetizzarne il potenziale economico nell'interesse morboso che il mercato dell'informazione catodica sembra conferire loro.
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Ladruncolo e ricettatore senza arte nè parte, Lou Bloom si reinventa reporter freelance, precipitandosi tempestivamente sul luogo del delitto grazie ad uno scanner radio e procurandosi così immagini forti ed efferate che rivende ad una tv locale.
Giunto sulla scena di un massacro prima della polizia, riesce a filmare tanto le vittime quanto i carnefici mantenedo il riserbo su questi ultimi per sfruttare a suo vantaggio l'informazione e manipolarne la cattura per lo scoop che lo lancerà definitivamente nel business del giornalismo scandalistico. Costi quel che costi.
Chi è Lou Bloom? Un genio autodidatta che sfrutta a suo vantaggio gli spietati e cinici meccanismi del giornalismo d'inchiesta o un sociopatico che riesce casualmente a ritagliarsi uno spazio nel fiorente business dello sciacallaggio televisivo?
Sembra questa la domanda che anima questo corrosivo thriller metropolitano sui 'progressivi scivolamenti dell'etica' al tempo della civiltà dell'immagine e che, come nella gloriosa tradizione hollywoodiana sul tema ('Citizen Kane' - 1941 - Orson Welles, 'Ace in the Hole' - 1951 - Billy Wilder, 'Network' - 1976 - Sidney Lumet), pare tratteggiare il carattere grottesco e tragico insieme di un reietto che si muove ai margini di una intricata giungla suburbana fatta di violenza e di sangue, pronto a monetizzarne il potenziale economico nell'interesse morboso che il mercato dell'informazione catodica sembra conferire loro. Esasperando i toni dell'apologo morale in una lotta senza esclusione di colpi (la tenzone tra i due cameramen concorrenti con boicottaggio finale, la transazione economica e sessuale tra freelance e manager televisiva, il crudele sacrificio dell'aiutante inaffidabile) e suggerendo una sociologia dell'orrore che nasce dal degrado di una periferia urbana dove il suono delle sirene e delle armi da fuoco finisce per sconfinare con gli strazianti ululati nelle notti di un plenilunio californiano, l'esordiente Gilroy ci propone l'ennesima declinazione di un'alienazione metropolitana ('Taxi Driver' - 1976 - Martin Scorsese, '15 Minutes' - 2001 - John Herzfeld) in cui tanto l'adesione fideistica ad una rigorosa disciplina professionale quanto la totale assenza di scrupoli etici e di empatia umana, conduce lo stralunato protagonista interpretato da Jake Gyllenhaal ad esasperare 'sul campo' le degenerazioni manipolatorie del mestiere giornalistico: dalla documentazione della notizia alla creazione della notizia si sa, il passo è breve. Fondato su di una progressione drammatica che punta ad un gioco sempre più sporco e sul trasformismo ferino di un irsuto (e smagrito) Gyllenhaal, il film mantiene la malsana coerenza di un rigore sarcastico che evita di scadere nelle facili trappole del parodismo e dell'ironia, finendo per mettere sullo stesso piano le responsabilità collettive (il Network ed i suoi 'profili legali') con quelle individuali e mostrandoci, in un finale da antologia, la ricognizione in 'presa diretta' sulla scena di un crimine in cui un novello Truman Capote dagli occhi spiritati e dal ciglio puntiglioso sembra arrivato giusto in tempo per documentare sul campo una strage da 'A sangue Freddo' che vale una carriera. Nomination come Migliore attore in un film drammatico per Jake Gyllenhaal ai Golden Globe 2015. Donny Darko è cresciuto e val bene un Oscar!
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des esseintes
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martedì 16 dicembre 2014
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film mono-idea, sviluppo zero (1)
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Ora vi spiego.
E' un film del XXI secolo post televisivo ossia è "mono-idea". Non esiste neanche lontanamente uno sviluppo della storia, il giudizio sulle scelte del protagonista (e anche qui siamo sempre sul mono-protagonista che si staglia su uno sfondo del tutto insignificante) non acquista la sua dimensione a mano a mano che la storia si stratifica ma è implicito, univoco e soprattutto "obbligato" per lo spettatore fin dall'inizio (nel film ammerikano il giudizio è assolutamente indispensabile, per carità): "dobbiamo" credere che il protagonista sia portatore di una umanità "deviata" che diventa ingiustamente ma irresistibilmente vincente nel nostro tempo, un uomo la cui unica fede è una sorta di utilitarismo mercantilistico alla Robinson Crusoe portato all'estremo, oltre quel limite che "noi spettatori normali" sappiamo bene essere il giusto secondo il tradizionale buon senso che ci insegnano a) la famiglia, b) le istituzioni (scuola, religione, stato-nazione).
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Ora vi spiego.
E' un film del XXI secolo post televisivo ossia è "mono-idea". Non esiste neanche lontanamente uno sviluppo della storia, il giudizio sulle scelte del protagonista (e anche qui siamo sempre sul mono-protagonista che si staglia su uno sfondo del tutto insignificante) non acquista la sua dimensione a mano a mano che la storia si stratifica ma è implicito, univoco e soprattutto "obbligato" per lo spettatore fin dall'inizio (nel film ammerikano il giudizio è assolutamente indispensabile, per carità): "dobbiamo" credere che il protagonista sia portatore di una umanità "deviata" che diventa ingiustamente ma irresistibilmente vincente nel nostro tempo, un uomo la cui unica fede è una sorta di utilitarismo mercantilistico alla Robinson Crusoe portato all'estremo, oltre quel limite che "noi spettatori normali" sappiamo bene essere il giusto secondo il tradizionale buon senso che ci insegnano a) la famiglia, b) le istituzioni (scuola, religione, stato-nazione). E quindi un accenno baudeleriano all' "hypocrite lecteur, mon semblable, mon frère" ci sarebbe stato come il cacio sui maccheroni ma una simile raffinatezza in un film made in USA è semplicemente impensabile (con le eccezioni di Kubrick e Jarmusch, come è ovvio).
Non si cerca di risalire a possibili cause che originano questo vulnus nell' "ordine ragionevole", non si analizza minimamente l'ambiente sociale nei suoi rapporti fra le classi nonostante sia proprio questo elemento la causa prima della devianza utilitaristica del protagonista.
Soprattutto per un film del genere era indispensabile un discorso politico, sociologico ed economico, se non storico visto che l'inizio della "perversione" utilitarista-liberista è cominciato nella metà degli anni '70 del '900; invece ci si limita all'assurda rappresentazione dei due poliziotti che "non si fanno prendere per il naso" e hanno capito perfettamente tutte le sporche trame del cattivissimo free-lance salvo poi, appena pronunciate queste parole, alzarsi e andarsene perfettamente innocui.
Eh no, cari amici ammerikani, troppo facile; quei poliziotti stanno lì a cercare di proteggere non il "bene secondo il buon senso tradizionale", che ci raccontate ormai "dolorosamente" impotente contro la moderna perfidia tecnologica, ma semplicemente "l'inaccessibilità del milieu sociale della ruling class" alle classi subalterne.
Il protagonista viola gravemente la legge ma dal punto di vista narrativo non può essere punito, né in realtà i poliziotti "vogliono" punirlo (perché, badate bene, si tratta di una scelta del regista, non di un dato di natura oggettivo indipendente, sia chiaro) perché non ha violato i sacri principi dell'utilitarismo-liberista che esigono con la massima intransigenza che il subalterno per poter ascendere nella scala sociale debba saper rinnegare e sfruttare i suoi simili della stessa classe sociale di origine.
In altre parole una volta che il "ragazzo" dimostri di saperci fare, di volersi arrampicare socialmente ma "senza" mettere in discussione il sistema e anzi essendo pronto a implementarlo limitando la sua "cultura", di cui è avido consumatore, esclusivamente all'affinamento delle tecniche più feroci e raffinate di sfruttamento economico del lavoro dipendente; a quel punto può essere cooptato nel sistema di "privilegio/complicità" che lo mette, anche se solo in una primissima fase, su un'altra sponda rispetto al mondo dei subalterni dai quali proveniva. Quindi...ops...finiti i caratteri...ciao...
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astromelia
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domenica 14 dicembre 2014
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sgradevole
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con gyllenhaal non si sa mai cosa aspettarsi nei film,personaggio morfologicamente ambiguo,ma non giustifico in questo movie la morte del suo collega,per merito suo si può dire,non ha senso,è opera di un folle con propositi maniacali,ad un certo punto mi è venuto in mente fabrizio corona,similitudine nel modo di manipolare e usare l'altrui,comunque non mi è piaciuto.
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marky m
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giovedì 11 dicembre 2014
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affascinante
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Uno dei film piu interessanti che abbia mai visto!! Jake Gyllenhal davvero bravo nell'interpretazione, ti cattura subito questo strano
personaggio. Piu va avanti e piu le scene si fanno interessanti, la scena del ristorante é incredibile ad esmpio, come quella del amico
morto anche per colpa di Jake. Film che resta in mente per tanto tempo, per lo sviluppo della tama e la storia di un uomo che
non trovando lavoro, ha scelto di provare una cosa che é diventata la sua professione.
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