rampante
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domenica 2 novembre 2014
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un figlio
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Il regista giapponese Hirokazu Kore-Eda affronta una toccante riflessione sulla paternità, che interroga il sangue, il tempo ed il sentimento
L'antica tematica del dubbio su cosa conta di più per un figlio tra i legami di sangue e quelli instaurati da coloro che ti hanno allevato, su ciò
che il tempo crea, che può e non può mutare.
Ryota ha una famiglia come tante, colta, agiata, felice , fino a quando una telefonata, giunta dall'ospedale dove Midori aveva partorito sconvolge la loro vita, Keito, 6 anni, il loro unico bambino non è loro figlio, a causa di uno scambio in culla , il loro figlio naturale è finito in un'altra famiglia devono quindi mettersi in contatto con la famiglia dove il loro vero figlio è cresciuto e scambiare i bambini.
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Il regista giapponese Hirokazu Kore-Eda affronta una toccante riflessione sulla paternità, che interroga il sangue, il tempo ed il sentimento
L'antica tematica del dubbio su cosa conta di più per un figlio tra i legami di sangue e quelli instaurati da coloro che ti hanno allevato, su ciò
che il tempo crea, che può e non può mutare.
Ryota ha una famiglia come tante, colta, agiata, felice , fino a quando una telefonata, giunta dall'ospedale dove Midori aveva partorito sconvolge la loro vita, Keito, 6 anni, il loro unico bambino non è loro figlio, a causa di uno scambio in culla , il loro figlio naturale è finito in un'altra famiglia devono quindi mettersi in contatto con la famiglia dove il loro vero figlio è cresciuto e scambiare i bambini.
Ryota è un uomo in carriera e da uomo d'affari decide inutili le occasioni di incontro con la famiglia del negoziante Yukari , di modeste condizioni, e matura la scelta drastica che ognuno si riprenda il proprio figlio evitando ulteriori contatti, senza tener conto della reazione
dei due bambini bloccati tra il disagio dell'incomprensione e la fiducia che ripongono nei genitori.
Solo dopo una visita con il fratello a suo padre ed aver visto le fotografie che suo figlio ha scattato in casa impara che è suo figlio, il suo sguardo, il suo amore che fanno di lui un padre, non un esercizio di volontà né il gruppo sanguigno.
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mydearasia
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sabato 13 giugno 2015
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delicato e poetico
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non c'è molto da aggiungere a ciò che è stato già scritto e che mi vede assolutamente d'accordo a premiare questo bellissimo film.
Svolgere un tema così delicato, con tale leggerezza senza mai cadere nel banale o nell'enfatizzazione dei sentimenti, è assolutamente da grande regista,
ma d'altronde Hirokazu Koreeda ci ha abituati a questi capolavori a tema la famiglia, visti quasi sempre con gli occhi e, sopratutto, ad altezza dei bambini (anche a livello di camera da ripresa)
Ma è il padre architetto quasi al centro del film, quasi a rubare la scena alla storia principale incentrata su uno uno scambio di bambini (non avvenuto per errore), fino ad essere costretto, mentre la vicenda scorre, a riguardare la sua vita e le sue scelte di lavoro.
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non c'è molto da aggiungere a ciò che è stato già scritto e che mi vede assolutamente d'accordo a premiare questo bellissimo film.
Svolgere un tema così delicato, con tale leggerezza senza mai cadere nel banale o nell'enfatizzazione dei sentimenti, è assolutamente da grande regista,
ma d'altronde Hirokazu Koreeda ci ha abituati a questi capolavori a tema la famiglia, visti quasi sempre con gli occhi e, sopratutto, ad altezza dei bambini (anche a livello di camera da ripresa)
Ma è il padre architetto quasi al centro del film, quasi a rubare la scena alla storia principale incentrata su uno uno scambio di bambini (non avvenuto per errore), fino ad essere costretto, mentre la vicenda scorre, a riguardare la sua vita e le sue scelte di lavoro. Una storia dentro la storia che lo porta a confrontarsi con una realtà diversa da quella sua, che è senza dubbio amorevole, ma carente di attenzioni, giochi e soprattutto tempo da dedicare al figlio. Queste vicende lo costringono a tirar fuori gli scheletri di un'educazione rigida e con minime attenzioni subita dal proprio padre e che adesso finalmente si accorge di riversare ugualmente sul figlio. Su tutte la scena in cui per cercare di emulare l'altro padre, prova, ma con scarsissimi risultati, a riparare un giocattolo al figlio (lui che è abituato a farne comprare subito uno nuovo in caso di rottura), imparando che riparare un giocattolo, significa per un figlio tempo e attenzioni che il padre gli dedica, diventando quindi un super eroe.
Via, via fino ad arrivare, verso la fine del film, alla scena clou in cui Ryota scopre sulla sua macchina fotografica, decine di foto scattate dal figlioletto di nascosto mentre lui dormiva, un chiaro messaggio d'amore al quale non si può rimanere passivi.
bellissimo!!!
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mcmurphy
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mercoledì 23 maggio 2018
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storia non originale ma di grande impatto emotivo e magistralmente direttta
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Due famiglie giapponesi socialmente agli antipodi, una formata da marito moglie e figlio piccolo, benestante (lui è un architetto impegnato in un importante progetto edilizio, e lavora quasi tutto il tempo), l’altra più numerosa (marito, moglie e tre figli piccoli) e di più modeste condizioni, vedono le loro vite sconvolte quando sono informati dall’ospedale, dove due dei loro figli sono nati, che c’è stato uno scambio di neonati: il figlio di una coppia appartiene all’altra, e viceversa. Chiarito l’equivoco (in realtà lo scambio è stato deliberatamente effettuato da una infermiera in crisi di identità per agevolare il bambino socialmente più svantaggiato e garantirgli un avvenire migliore) le due famiglie hanno 6 mesi di tempo per far sì che i due ragazzini (entrambi maschi, e ovviamente coetanei) oggetto dello scambio si reinseriscano nelle loro famiglie d'origine.
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Due famiglie giapponesi socialmente agli antipodi, una formata da marito moglie e figlio piccolo, benestante (lui è un architetto impegnato in un importante progetto edilizio, e lavora quasi tutto il tempo), l’altra più numerosa (marito, moglie e tre figli piccoli) e di più modeste condizioni, vedono le loro vite sconvolte quando sono informati dall’ospedale, dove due dei loro figli sono nati, che c’è stato uno scambio di neonati: il figlio di una coppia appartiene all’altra, e viceversa. Chiarito l’equivoco (in realtà lo scambio è stato deliberatamente effettuato da una infermiera in crisi di identità per agevolare il bambino socialmente più svantaggiato e garantirgli un avvenire migliore) le due famiglie hanno 6 mesi di tempo per far sì che i due ragazzini (entrambi maschi, e ovviamente coetanei) oggetto dello scambio si reinseriscano nelle loro famiglie d'origine. Il papà benestante incarica un suo amico avvocato di risolvere la faccenda e, sebbene l’amico avvocato glielo sconsigli, arriva a offrire del denaro all’altra coppia perché lascino che siano lui e sua moglie a crescere entrambi i bambini. L’altra coppia (lui è un lavoratore svogliato, gestisce una ferramenta, più propenso a godersi la vita e vivere alla giornata; uomo dai gusti dozzinali, mangia e beve in continuazione junk food; mentre lei lavora in un fast food) non accetta l’offerta e anzi si offende per la proposta, ma il tutto si ricompone grazie alla tolleranza della famiglia "umile" (che però, a differenza dell'altra, mira a un congruo risarcimento dall'ospedale per i danni morali subiti). I due ragazzini iniziano il processo di integrazione presso le loro “nuove” famiglie, ma mentre il ragazzino (ex) “fortunato” si integra facilmente nella famiglia svantaggiata, l'altro fa fatica a integrarsi nella famiglia benestante, questo perché il suo nuovo (e vero) padre è troppo rigido ed esigente; tanto che un giorno il ragazzino scappa di casa e torna dalla vecchia famiglia. A questo punto il padre in carriera capisce che se vuole conquistare l’affetto e la fiducia di suo figlio deve dimostrarsi più disponibile e meno esigente con lui, e si sforza di farlo. Pian piano le cose cominciano a funzionare, e l’uomo riesce a ottenere l’affetto anche del bambino che non era il suo ma che ha cresciuto come se lo fosse, il quale però è ormai completamente integrato nella sua nuova e vera famiglia, e non sembra rimpiangere affatto gli agi dell’altra, circondato com’è dall’affetto dei suoi fratelli e dei suoi nuovi/vecchi genitori. Il finale è aperto, nel senso che non è (volutamente) chiaro se tutti e due i bambini resteranno a vivere insieme con la famiglia socialmente svantaggiata, per il loro bene, e con il consenso di entrambe le coppie di genitori. La trama non è molto originale (il tema dello scambio di gemelli è stato ampiamente sfruttato al cinema, perfino in C'era una volta in America di Leone), ma la delicatezza con cui viene trattato l'argomento, e la conseguente difficoltà dei quattro genitori ad accettare la nuova situazione e rimettersi in gioco come padri e madri dei loro veri figli, è la cifra stilistica del film, non a caso premiato a Cannes. Il ritmo narrativo è “giapponese”, e soprattutto all’inizio si stenta un po’ ad adeguarvisi, ma a lungo andare la storia intensa, insieme drammatica e intima, dei quattro genitori chiamati a uno sforzo affettivo e di comprensione non indifferente, in particolare della coppia benestante (lei non può più avere figli e dare un fratellino al loro, sbagliato, figlio che invece ne vorrebbe), non può non coinvolgere lo spettatore, che non può fare a meno di provare empatia per quei disgraziati papà e mamme costretti a rimettersi in gioco come genitori e cominciare tutto daccapo. I dialoghi sono “minimalisti” (niente speculazioni filosofiche), esatti e puntuali. Ottimo il cast (con una menzione speciale per il papà benestante, controllato e misurato, ma con un sostrato di carenza affettiva che pian piano si manifesta dando spessore al personaggio; e per il piccolo che prima era suo figlio e poi non lo è più) così come la fotografia e la scenografia: cupe e livide quanto basta a evidenziare lo stato d’animo dei personaggi, e a delimitare visivamente la differenza di stato sociale delle due famiglie. Il film merita in pieno le cinque stelle.
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giorpost
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lunedì 28 maggio 2018
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non è mai soltanto una questione di sangue
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Quando due famiglie giapponesi, l'una appartenente al ceto borghese, l'altra di estrazione operaia, vengono messe al corrente che i loro figli di 6 anni, nati nello stesso ospedale il medesimo giorno, furono scambiati nelle culle e deliberatamente assegnati ai genitori sbagliati, le loro vite vengono inevitabilmente sconvolte.
Tra leggi assurde, reati prescritti e padri di famiglia costretti a scelte a dir poco complicate, assistiamo al consiglio del "vecchio" di famiglia (quella agiata) che discetta sul sangue che non mente mai, come accade tra i cavalli; la tesi porterà alla decisione estrema ed allo "scambio" dei fanciulli, il quale (ovviamente) non verrà vissuto alla stregua di una passeggiata.
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Quando due famiglie giapponesi, l'una appartenente al ceto borghese, l'altra di estrazione operaia, vengono messe al corrente che i loro figli di 6 anni, nati nello stesso ospedale il medesimo giorno, furono scambiati nelle culle e deliberatamente assegnati ai genitori sbagliati, le loro vite vengono inevitabilmente sconvolte.
Tra leggi assurde, reati prescritti e padri di famiglia costretti a scelte a dir poco complicate, assistiamo al consiglio del "vecchio" di famiglia (quella agiata) che discetta sul sangue che non mente mai, come accade tra i cavalli; la tesi porterà alla decisione estrema ed allo "scambio" dei fanciulli, il quale (ovviamente) non verrà vissuto alla stregua di una passeggiata.
Ma proprio una camminata, nel finale, tra un padre ed un figlio -non biologico- potrebbe contribuire a schiarire le idee, nonostante i non trascurabili sei anni trascorsi, un amore da mettere da parte a discapito di migliaia di foto scattate e una nuova creatura da educare e crescere con un bagaglio di affetti ed esperienze precedenti.
Le succitate differenze sociali, nonché le soluzioni (mai semplici) adottate dalle rispettive famiglie, ci fanno comprendere quanto si possa imparare dalla cultura nipponica.
Father and son (Jap, 2013) rappresenta l'emblema della tolleranza che l'uomo non sa di possedere, quella soglia di sopportazione che, soprendentemente, potremmo raggiungere anche nelle situazioni più avverse. Casi come questo saranno frequenti nel mondo, raramente accade quanto visto nella pellicola di Eda; di sicuro, però, quei rari casi facilmente potrebbero essersi manifestati nel paese del Sol Levante, terra di inopinabile bellezza nella quale caos e calma (non è un titolo di un film nostrano) convivono con ottimi risultati. Il perdono, le certezze infrante, il potere del denaro, le frustrazioni personali: sono soltanto alcuni dei temi delicatamente affrontati in un'opera che stride con il convincimento del buon sangue che non mente. Ne siamo proprio convinti?
Inutile sentenziare: in certe situazioni occorre davvero trovarcisi in prima persona.
Voto: 7
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carloalberto
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giovedì 3 dicembre 2020
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lezione in forma di sillogisma con toni patetici
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Il film appartiene al moderno genere intimista e melodrammatico giapponese di cui Hirokazu Kore'eda è uno degli esponenti più acclamati in occidente. Kore'eda, tardo epigono di Ozu, manca tuttavia del tocco lieve e poetico del maestro, in parte ereditato, invece, da Yōji Yamada.
Il tema della genitorialità senza legami di sangue, simile a quello della famiglia allargata che lo stesso Kore'eda svilupperà in Un affare di famiglia del 2018, è svolto in forma di freddo sillogismo, colorito grossolanamente da toni patetici eccessivi ed insistiti, soprattutto nelle sequenze finali.
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Il film appartiene al moderno genere intimista e melodrammatico giapponese di cui Hirokazu Kore'eda è uno degli esponenti più acclamati in occidente. Kore'eda, tardo epigono di Ozu, manca tuttavia del tocco lieve e poetico del maestro, in parte ereditato, invece, da Yōji Yamada.
Il tema della genitorialità senza legami di sangue, simile a quello della famiglia allargata che lo stesso Kore'eda svilupperà in Un affare di famiglia del 2018, è svolto in forma di freddo sillogismo, colorito grossolanamente da toni patetici eccessivi ed insistiti, soprattutto nelle sequenze finali.
Premessa maggiore, per la verità alquanto ovvia:i legami affettivi tra le persone si creano laddove c’è amore, a prescindere dai rapporti di parentela. Premessa minore: se gli adulti si prendono cura amorevolmente dei bambini nasce tra loro un rapporto di reciproca affezione. Conclusione: si definiscono genitori, al di la del significato etimologico del termine, gli adulti che allevano i propri bambini con amore.
Il tema asfitticamente familistico, ancorché affrontato in chiave moderna e svincolato dai rapporti di parentela, non si eleva dal particolare all’universale, come accadeva nei film di Ozu, ma rimane rigidamente ancorato a una visione pragmatica e progressista dei rapporti umani nella società odierna. La contrapposizione con le idee tradizionaliste della vecchia generazione, in questo film rappresentate dal padre del protagonista che vorrebbe fosse privilegiato il rapporto di sangue, non può più avere oramai i toni del drammatico che aveva nel secondo dopoguerra, essendo la dialettica tra vecchie e nuove visioni del mondo da tempo superata dalla omologazione dei costumi e dalla loro globalizzazione.
La pellicola si riduce ad una lezioncina edulcorata e moraleggiante, nello stile di favola esopica per adulti, su come occorra comportarsi per essere considerati dei buoni genitori, con l’aggiunta di piccoli suggerimenti da posta del cuore, del tipo: lavora meno e dedica più tempo ai tuoi figli e alla tua famiglia. Lezioso, noioso, ridondante, didascalico e lontanissimo dalla grande arte di Ozu.
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