paride86
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martedì 4 giugno 2013
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davvero particolare
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Film di chiara matrice lynchana che affronta il complesso di Edipo in maniera disarmante e sanguinosa.
"Solo Dio perdona" è un film dalle belle atmosfere e dai colori intensi, una storia senza mezze misure: o si odia o si ama.
Io, personalmente, sono rimasto catturato dal fascino di un film morboso e disturbante, carico di dolore represso trasfigurato in sordida violenza.
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Film di chiara matrice lynchana che affronta il complesso di Edipo in maniera disarmante e sanguinosa.
"Solo Dio perdona" è un film dalle belle atmosfere e dai colori intensi, una storia senza mezze misure: o si odia o si ama.
Io, personalmente, sono rimasto catturato dal fascino di un film morboso e disturbante, carico di dolore represso trasfigurato in sordida violenza.
Davvero particolare.
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alescio92
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lunedì 3 giugno 2013
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capolavoro.
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dedalo91
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lunedì 3 giugno 2013
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piu che un film un' opera d'arte
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Vorrei poter dire "io lo conoscevo già quando ancora non era famoso!", ma sarebbe una bugia, in realtà, come molti, ho cominciato a conoscere ed apprezzare Nicolas Winding Refn soprattutto grazie a Drive. Certo mi ci ero già avvicinato con Bronson e Valhalla Rising, ma è stata l'ultima sua fatica a far scoccare definitivamente la scintilla, il film che ha fatto innamorare praticamente tutti, a partire dal pubblico e dalla giuria del Festival di Cannes, che nel 2011 lo hanno accolto con una standing ovation per poi consacrare definitivamente l'autore con il premio per la miglior regia.
Quest'anno le cose sono andate abbastanza diversamente, dopo la proiezione di Only god forgives il pubblico si è diviso tra timidi applausi e qualche sonoro fischio, e Refn non si è portato a casa niente.
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Vorrei poter dire "io lo conoscevo già quando ancora non era famoso!", ma sarebbe una bugia, in realtà, come molti, ho cominciato a conoscere ed apprezzare Nicolas Winding Refn soprattutto grazie a Drive. Certo mi ci ero già avvicinato con Bronson e Valhalla Rising, ma è stata l'ultima sua fatica a far scoccare definitivamente la scintilla, il film che ha fatto innamorare praticamente tutti, a partire dal pubblico e dalla giuria del Festival di Cannes, che nel 2011 lo hanno accolto con una standing ovation per poi consacrare definitivamente l'autore con il premio per la miglior regia.
Quest'anno le cose sono andate abbastanza diversamente, dopo la proiezione di Only god forgives il pubblico si è diviso tra timidi applausi e qualche sonoro fischio, e Refn non si è portato a casa niente.
Del film se ne parla da mesi, e fino a poco prima dell'uscita era quasi circondato da un alone di leggenda, alimentato dalle dichiarazioni del regista che lo descriveva di volta in volta come un film di arti marziali ambientato a Bangkok e come un omaggio a Se sei vivo spara, spaghetti western diretto da Giulio Questi. L'unica certezza era che Refn era scappato a Bangkok, un po' come i suoi personaggi protagonisti:
Julian (Ryan Gosling) e Billy sono fratelli, americani migrati o forse fuggiti in Thailandia per gestire una palestra di Thai boxe che funge da copertura ad un vasto traffico di droga. Una notte Billy si mette sulle strade di Bangkok in cerca di compagnia femminile, e dopo aver contrattato con una prostituta minorenne la massacra senza pietà. Il padre della ragazza si presenta sul posto e lo uccide a sua volta con la complicità del capo della polizia locale (Vithaya Pansringarm), un uomo che amministra la giustizia in modo del tutto personale.
L'affronto spinge la madre di Billy e Julian (Kristin Scott Thomas) a reggiungere Bangkok per sistemare la cosa, ma le sue decisioni metteranno in moto una serie di vendette una più sanguinaria dell'altra.
Si può dire che la trasferta Refn l'abbia presa proprio sul serio, un'occasione per immergere interamente il film nella cultura locale senza per questo rinunciare al suo stile ormai inconfondibile. La cosa diventa evidente già a partire dai titoli di testa bilingui, che scorrono sullo schermo mettendo ben in evidenza il testo in thailandese e lasciando quello inglese (o italiano) in secondo piano. L'altro elemento sfacciatamente asiatico è il tema della vendetta, colonna portante di una trama che non sfigurerebbe affatto come ipotetico quarto capitolo della trilogia parkchanwookiana. Una trama esile certo, e spesso quasi interamente sacrificata ai fini della messa in scena, ma non per questo meno potente. Solo dio perdona ha il sapore amaro di una tragedia shakespeariana, una storia di vendette che sono semplici capricci portati avanti da personaggi volgari e meschini, figure tutt'altro che colossali, come Julian, protagonista che non sembra protagonista (e infatti l'agghiacciante Vithaya Pansringarm gli ruba la scena) succube di una madre padrona con cui intrattiene un rapporto estremamente morboso, forse la radice di tutti i suoi mali, dall'inibizione sessuale alla totale apatia, una bomba pronta ad esplodere che però, contrariamente a quanto avveninva in Drive, non esplode mai. A spiccare per contrasto sono invece l'implacabile capo della polizia e la sua congregazione, che segue ogni suo passo in religioso silenzio e con fare ieratico, persino durante le stranianti serate al karaoke; una lama infallibile ed inesorabile che pende sulla testa degli "invasori".
Ma Solo dio perdona è soprattutto immagine, anzi, la costruzione certosina e meticolosa dell'immagine, dalla scelta dei più piccoli elementi scenografici al loro inserimento all'interno della scena: gli oggetti dell'arredamento, i vestiti (meravoglioso quello a tema floreale di Kristin Scott Thomas) e le luci, che si impongono prepotentemente su tutto fino ad alterarne l'aspetto. Si potrebbe parlare di meravigliosi quadri in movimento, ma Refn il movimento lo rallenta fino a renderlo impercettibile, sia all'interno della scena stessa (persino i movimenti degli attori), sia nella regia, che si riduce tutta ad una serie di lenti carrelli e lunghe zoomate (tornano in mente quelle di Fear X sulla testa di Turturro) con cui ci fa sprofondare inesorabilmente in un intrigo senza via d'uscita e dentro queste sfarzose stanze di plastica dove anche le persone sembrano parte della mobilia.
Nella stessa direzione agisce la colonna sonora, sempre di Cliff Martinez ma questa volta composta quasi interamente di brani originali, musiche elettroniche sempre più martellanti e ipnotiche che accompagnano perfettamente i languidi movimenti della macchina da presa.
Ancora una volta Refn riesce a posare una patina quasi accecante su un universo squallido e senza speranza, a rendere travolgentemente bello anche il più cruento degli sembramenti o la più squallida delle topaie (poderosa la scena nell'officina con il bambino), ancora una volta insomma riesce a raccontare tutta la poesia della violenza. E se l'insieme può lasciare freddi e distaccati, è anche perché quello raccontato è un mondo con cui è impossibile concilarsi, soprattutto se a popolarlo sono personaggi marci fino all'osso come quelli che circondano Julian. L'unica cosa da fare è osservare inorriditi e meravigliati, come stranieri in una terra straniera.
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[+] e lo spettatore dove lo mettiamo?
(di marco neri)
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(di peter2001)
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flyanto
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lunedì 3 giugno 2013
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quando per vendetta si ricorre alla più estrema vi
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Film in cui si narra di un giovane uomo (Ryan Gosling) che gestisce a Bangkok insieme al fratello una palestra di thai boxe che serve in realtà come copertura di un intenso traffico di droga abilmente gestito da loro e dalla di loro ancora più spietata madre. Nel corso di una delle sue solite azioni violente, uno dei fratelli viene ucciso e da qui ogni azione ed avvenimento che accadrà sarà esclusivamente in funzione di vendicare la sua morte, procurandone altre terribili e feroci. Da tutto ciò emerge pian piano il carattere differente dei vari personaggi: quello del fratello defunto, quanto mai violento, spietato e completamente privo di principi morali, quello della madre, anch'esso privo di scrupoli nonchè di un benchè minimo principio morale che non sia teso solo a guadagnare potere e soldi ed infine quello del fratello minore, appunto Ryan Gosling, che nonostante tutto si rivela l'unico essere umano dotato di una certa coscienza morale nonostante sia cresciuto e sia stato educato in un ambiente fortemente dominato dalla violenza di ogni genere.
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Film in cui si narra di un giovane uomo (Ryan Gosling) che gestisce a Bangkok insieme al fratello una palestra di thai boxe che serve in realtà come copertura di un intenso traffico di droga abilmente gestito da loro e dalla di loro ancora più spietata madre. Nel corso di una delle sue solite azioni violente, uno dei fratelli viene ucciso e da qui ogni azione ed avvenimento che accadrà sarà esclusivamente in funzione di vendicare la sua morte, procurandone altre terribili e feroci. Da tutto ciò emerge pian piano il carattere differente dei vari personaggi: quello del fratello defunto, quanto mai violento, spietato e completamente privo di principi morali, quello della madre, anch'esso privo di scrupoli nonchè di un benchè minimo principio morale che non sia teso solo a guadagnare potere e soldi ed infine quello del fratello minore, appunto Ryan Gosling, che nonostante tutto si rivela l'unico essere umano dotato di una certa coscienza morale nonostante sia cresciuto e sia stato educato in un ambiente fortemente dominato dalla violenza di ogni genere. Egli, infatti, dovrà affrontare e combattere ogni sorta di efferatezza perchè fortemente spinto da chi, cioè la propria madre, ha una forte influenza su di lui e che non può assolutamente deludere per non venire a sua volta eliminato definitivamente. Non riuscirà del tutto, o per lo meno secondo i piani prestabiliti, nella sua opera vendicatrice che invece verrà portata a termine da un famoso "giustiziere" armato di spada, chiamato dalla polizia stessa in aiuto, ma egli riuscirà in ogni caso a togliersi di dosso quel senso di colpa che lo attanaglia da molti anni e che lo ha portato a trasferirsi dagli USA in Thailandia. Questo thriller del danese Nicolas Winding Refn, già autore del pluripremiato e, senza alcun dubbio, più riuscito "Drive", ancor più che, appunto, questa sua ultima pellicola, è intrisa di una grossa presenza di violenza che effettivamente può dare fastidio allo spettatore comune ma che, secondo me, invece, ben si colloca in un determinato contesto, qui da lui presentato. Infatti, questo è il modo personale di fare cinema del regista danese e della sua concezione personale della società contemporanea (o per lo meno di una certa parte di essa) e pertanto, ripeto, la violenza di alcune scene, per quanto forti ed estreme in alcuni frangenti, non risultano affatto accessorie ma, anzi, giustificano e spiegano alla perfezione l'idea del mondo da Refn rappresentato. La trama in sè di questo thriller, forse, sì, è un pò esagerata e poco realistica in certi momenti, ma si rifà, ed in una maniera non troppo occulta, a molte pellicole del cinema orientale dove il concetto predominante è quello di perseguire un percorso di vendetta ad ogni costo, anche, appunto, facendo ricorso alla violenza più estrema. Inoltre, molte tecniche usate per perpetuare le varie forma di violenza (come quella di cavare gli occhi od addirittura di tagliare le orecchie) richiamano quelle precedentemente rappresentate in alcune pellicole di Alejandro Jodorowski a cui, peraltro, il film, mi pare, sia pure dedicato o fatto menzione. Il film è stato presentato in concorso al Festival di Cannes dove comprensibilmente non ha vinto nulla ma, almeno, ha fatto parlare tanto di sè. Personalmente esso costituisce una pellicola abbastanza originale (sebbene, come già accennato, certamente non all'altezza del precedente "Drive"), contraddistinto dalle tipiche inquadrature di Refn che con uno stile lineare ed elegante introducono perfettamente e lentamente allo svolgersi di un' azione susseguente. Sempre molto azzeccate, particolari e poco diffuse le musiche che fanno da sfondo e per ciò che concerne gli attori sono da menzionare l'attore "feticcio" del regista Ryan Gosling, perfettamente calato nella parte del figlio dall'aria spaesata nonchè un pò sottomessa a chi più di e su di lui ha una maggiore personalità ed una maggiore ingerenza e, quasi irriconoscibile nell suo aspetto troppo seducente e pacchiano, Kristin Scott Thomas, qui in un ruolo a lei insolito ma di cui, come sempre ella si rivela all'altezza. Insomma, personalmente consiglio questo thriller esclusivamente agli amanti del genere e soprattutto a coloro che non troppo sensibili alla vista di varie ed esplicite scene di sangue.
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atalante
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lunedì 3 giugno 2013
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mito e manierismo
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"Solo Dio perdona" è un'opera perfetta, al pari di "Bronson" e "Drive". Non c'è un solo fotogramma in più, né uno in meno, di quelli che dovrebbero esserci. In una Bangkok sporca e mitica, che in pochi altri lavori si è vista celebrare così bene, agiscono i quattro personaggi di una tragedia antica, incarnazioni di archetipi.
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"Solo Dio perdona" è un'opera perfetta, al pari di "Bronson" e "Drive". Non c'è un solo fotogramma in più, né uno in meno, di quelli che dovrebbero esserci. In una Bangkok sporca e mitica, che in pochi altri lavori si è vista celebrare così bene, agiscono i quattro personaggi di una tragedia antica, incarnazioni di archetipi. Più il quinto, il fantasma di Bobby (Tom Burke), motore della vicenda che si consegna presto alla memoria degli spettatori con il viso di Peter Lorre, il mostro di Düsseldorf di Lang: a sua volta figura archetipica e ora maschera tinta di rosso, lo stesso colore emozionale ("touching") che illuminava "Pusher II - Sangue sulle mani " e che qui rischiara gli ambienti, solo dove e quando serve. Al poliziotto giusto e vendicatore è speculare l'antieroe bello, impotente ed edipico; alla madre grottesca e spietata la ragazza-sogno, etica e indifesa.
Anche il dosaggio dei registri è calibrato su chiasmi; mai nella filmografia di Refn umorismo surreale e violenza implacabile si erano temperati e scontrati con tanta efficacia. È lo stesso equilibrio manierista che si ritrova in immagini coltivate con rigore formale e ricercatissimo nitore; fra quelle di figurativa orientale, non se ne ammiravano così dagli anni '90 dei film di Kitano. E la trama lirica e fittissima costruita con musiche e suoni da Cliff Martinez è legata indissolubilmente alla drammaturgia. Non ha bisogno di sostenerla, perché aderisce alla stessa sintassi; è quello che si apprezza solamente nel grande cinema. Considerare Refn "il Tarantino europeo" è assolutamente fuorviante e riduttivo. Non solo la sua poetica affonda altrove la gran parte delle proprie radici, ma il suo fraseggio è nobilmente asciutto perché diffida - al massimo grado - di verbalismi e magniloquenza ammiccante. Qui il ritmo non è quello di "Valhalla Rising", però guarda alla sua impostazione mitologica; la morale non è quella di "Drive", ma la prospettiva è la stessa. Ora l'eroe Ryan Gosling si è tramutato nell'antieroe per allinearsi alle altre anime del film, guadagnando però quella più ontologicamente fragile e complessa, imprigionata nel proprio (rosso) labirinto di ossessioni e frustrazioni. Il film è significativamente dedicato al surrealismo magico e orrorifico di Alejandro Jodorowsky.
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alan w.
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domenica 2 giugno 2013
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poco da dire: capolavoro
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Come il resto del mondo, a quanto pare, mi aspettavo un altro Drive o quanto meno qualcosa di simile. Naturalmente non è affatto così, ma a differenza del resto del mondo non sono rimasto per niente deluso da ciò, anzi oserei dire il contrario.
Il film è tanto atipico quanto bello.
E' radicalmente diverso dalla stragrande maggioranza dei film che ho visto in vita mia. Non mi meraviglia il fatto che al mondo, tranne qualcuno come me, non sia andato troppo giù. Magari l'ho guardato io con occhi diversi, ma complessivamente l'ho trovato eccezionale durante tutti i 90 minuti (fluidi e scorrevoli). Un thriller psicologico affascinante e conturbante, dall'atmosfera onirica.
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Come il resto del mondo, a quanto pare, mi aspettavo un altro Drive o quanto meno qualcosa di simile. Naturalmente non è affatto così, ma a differenza del resto del mondo non sono rimasto per niente deluso da ciò, anzi oserei dire il contrario.
Il film è tanto atipico quanto bello.
E' radicalmente diverso dalla stragrande maggioranza dei film che ho visto in vita mia. Non mi meraviglia il fatto che al mondo, tranne qualcuno come me, non sia andato troppo giù. Magari l'ho guardato io con occhi diversi, ma complessivamente l'ho trovato eccezionale durante tutti i 90 minuti (fluidi e scorrevoli). Un thriller psicologico affascinante e conturbante, dall'atmosfera onirica.
La trama è quasi del tutto inutile: il film è perlopiù un viaggio simile ad un incubo, narrato con musiche incantevoli ed immagini suggestive quasi senza dialoghi, che racconta in modo introsprettivo la violenza come l'essenza e la maledizione del protagonista.
Un'altro film impostato come questo (quello che ho scritto sopra), ma trattato in modo decisamente differente, è 2001: Odissea nello Spazio.
Parlando di proporzioni, Solo Dio Perdona potrebbe essere il 2001 di Refn.
Solo Dio Perdona ha anche un finale aperto: l'ultima scena in cui Chang taglia le braccia a Julian è decisamente una scena grottesca e irreale (foresta incantata, poliziotti che compaiono sugli alberi da un momento all'altro), motivo per cui io tenderei a credere che sia una scena metaforica e il "taglio delle braccia" sia un "porre fine alla violenza" del protagonista e che dunque Chang abbia ucciso Julian. O può anche essere che gli abbia tagliato le braccia come alla sua prima vittima.
La madre di Julian è un altro importante tassello: l'amore di Julian (a quanto pare anche carnale) per lei è ciò che fa scatenare la violenza del protagonista. Penso che la scena del "braccio nella pancia", che ricorda la masturbazione che Julian faceva alle prostitute, sia collegata a questo.
Il personaggio di Chang è davvero fantastico e l'attore lavora benissimo e riesce a dare davvero l'idea di un demone.
La regia è praticamente perfetta e con la fotografia e la scenografia creano qualcosa di rara bellezza.
Penso che la realtà che avvolge il film è fragile, se non fittizia. La prima cosa che mi viene in mente è il primo incontro tra Julian e la madre che è appena arrivata a Bangkok, che avviene in una delle tante scene oniriche nei corridoi mentali del protagonista.
A mio parere il film è quasi tutto metaforico: la madre è ciò che scatena la brutalità del protagonista, Chang potrebbe raffigurare la conseguenza inevitabile causata la natura violenta di Julian e il protagonista, deformato dalla propria violenza, cerca la redenzione salvando la bambina, ma l'unica via di fuga dal suo pentimento (ricordiamo che ha ucciso il padre con le proprie mani) è la fine, e lui l'accetta.
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[+] sacrilegio!!!!!!
(di acciaio73)
[ - ] sacrilegio!!!!!!
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jaylee
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domenica 2 giugno 2013
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estetica ed ermetica
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Di certo, Winding Refn non è un regista particolarmente incline al lato commerciale dello show business, e proprio quando con Drive aveva centrato un successo di botteghino, complice un Ryan Gosling in stato di grazia e attore del momento, ci propone con Solo Dio Perdona, la versione autoriale di un b-movie orientale, una storia di vendetta e faide.
Ambientato in Thailandia, la trama racconta di Julian (lo stesso Gosling di Drive), impresario di thai-boxe e esportatore di droga, il cui fratello Billy viene ucciso con la complicitá della polizia locale, dopo che lo stesso Billy aveva massacrato una prostituta minorenne. Il tentativo da parte della madre dei due fratelli (Kristin Scott-Thomas) di vendicarsi dell'ispettore Chang (Vithaya Pansringarm), porterá ad una violentissima escalation di sangue e allo scontro finale tra Julian e lo stesso Chang.
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Di certo, Winding Refn non è un regista particolarmente incline al lato commerciale dello show business, e proprio quando con Drive aveva centrato un successo di botteghino, complice un Ryan Gosling in stato di grazia e attore del momento, ci propone con Solo Dio Perdona, la versione autoriale di un b-movie orientale, una storia di vendetta e faide.
Ambientato in Thailandia, la trama racconta di Julian (lo stesso Gosling di Drive), impresario di thai-boxe e esportatore di droga, il cui fratello Billy viene ucciso con la complicitá della polizia locale, dopo che lo stesso Billy aveva massacrato una prostituta minorenne. Il tentativo da parte della madre dei due fratelli (Kristin Scott-Thomas) di vendicarsi dell'ispettore Chang (Vithaya Pansringarm), porterá ad una violentissima escalation di sangue e allo scontro finale tra Julian e lo stesso Chang...
Come dicevamo, è fuor di dubbio che il regista non sia sensibile al lato commerciale della propria arte, ed in effetti Solo Dio Perdona è un film decisamente ostico, per non dire ermetico, a chiunque cerchi di capire appieno la trama che, seppur semplice che più semplice non si può, vive di momenti non sempre comprensibili, ma che, nella ricercatezza estrema di un'estetica tesa a cristallizzare la realtá in istanti separati, a volte sovrapposti, ne rappresentano probabilmente il fine ultimo. La fotografia, con il design geometrico che incornicia le scene come in un fumetto ed evidenziando i colori primari (rosso in primis) su sfondo nero, è di certo l'aspetto che colpisce di più, insieme alla simbologia, a volte solo intuita, che attraversa tutto il film, vedi l'ossessione di ritrarre mani e braccia, icona e strumento della violenza, spesso estrema, che appare sullo schermo. Aspetto che era giá elemento portante in Drive qui l'immagine viene evidenziata dai dialoghi scarni e talvolta surreali che vengono pronunciati dai protagonisti. In effetti il "surreale" è la sensazione dominante della pellicola, con sviluppo e scene a metá strada tra un Dalì moderno (non per niente, una delle scene più forti riguarda il taglio di un occhio che non può non far venire in mente Un Chien Andalus) e le videoinstallazioni di Bill Viola.
È anche vero però purtroppo che spesso e volentieri il tutto sfiora (temiamo involontariamente) la parodia, con qualche dialogo francamente incomprensibile (ascoltare per credere la Scott-Thomas in versione Santanchè che parla dei propri figli), e personaggi non molto credibili, su tutti l'ispettore Chang, una specie di impiegato del catasto con capacitá -apparentemente insospettabili- degne di un supereroe e con la passione del karaoke (che suscita però ilaritá in sala). In effetti, a ben guardare, il vero elemento di continuitá rispetto a Drive è lui, invincibile e vestito nello stesso modo durante tutto il film, esattamente come Driver e che, come lui, protegge una famiglia "nascosta"
Purtroppo pure Gosling a volte dá la sensazione di non sapere esattamente cosa sta facendo, in quello che alla fine risulta essere una specie di tour-de-force per la testa (spesso ci siamo trovati a pensare... "e questo che vuol dire"?) e per lo stomaco, complici alcune scene di violenza esplicita e non sempre giustificate; e, in definitiva, Solo Dio Perdona, non manca il bersaglio solo per un motivo molto semplice: non sembra averne uno. Dietro la raffinatezza del prodotto, spiace dirlo ma emerge una certa strafottenza verso chi guarda. Un bellissimo niente. (www.versionekowalski.it)
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[+] niente di più vero
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(di dedalo91)
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(di acciaio73)
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diomede917
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domenica 2 giugno 2013
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la fiera dell'est della violenza
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E’ molto difficile esprime un giudizio di questo film dopo l’accoglienza che Cannes gli ha riservato e dopo la scelta stilistica che il regista Nicholas Winding Refn ha deciso di intraprendere dopo il successo mondiale di Drive elevato a una vera opera di culto dai fan (il sottoscritto compreso).
Quindi dimenticatevi l’atmosfera da western metropolitano, il romantico cavaliere della valle solitaria che sacrifica la propria vita per l’amata e le elettro-canzoni ipnotiche.
Solo Dio Perdona è un film decisamente violento che ha per protagonista la violenza che è insita dentro di noi, senza freni come un istinto primordiale…..come dice lo stesso titolo il perdono è un qualcosa di divino nella vita terrena è sostituito dalla vendetta con tutto quello che ne comporta.
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E’ molto difficile esprime un giudizio di questo film dopo l’accoglienza che Cannes gli ha riservato e dopo la scelta stilistica che il regista Nicholas Winding Refn ha deciso di intraprendere dopo il successo mondiale di Drive elevato a una vera opera di culto dai fan (il sottoscritto compreso).
Quindi dimenticatevi l’atmosfera da western metropolitano, il romantico cavaliere della valle solitaria che sacrifica la propria vita per l’amata e le elettro-canzoni ipnotiche.
Solo Dio Perdona è un film decisamente violento che ha per protagonista la violenza che è insita dentro di noi, senza freni come un istinto primordiale…..come dice lo stesso titolo il perdono è un qualcosa di divino nella vita terrena è sostituito dalla vendetta con tutto quello che ne comporta.
Amante dei film di arti marziali il regista ambienta la sua ultima opera a Bangkok città del peccato dipinta da colori forti e accesi dove il rosso è molto rosso, il blu è elettrico e il giallo si trasforma in oro…..lì due fratelli, Julian e Billy, gestiscono un Boxing Center che è la copertura dei traffici di droga che hanno come base legale USA e come capo la loro pericolosissima madre.
Julian è silente, con una sola espressione che ne nasconde il passato doloroso……Billy è violento, aggressivo, spocchioso e proprio la sua spocchia è il vero motore di tutta la storia……violenterà e ucciderà un prostituta bambina di 16 anni innescando una vera “Fiera dell’est” della violenza dove il padre della ragazza ucciderà il carnefice, la mamma in arrivo per ritirare il corpo del figlio farà uccidere l’uomo e su tutti l’Angelo della morte impersonato da Chang un poliziotto in pensione dai metodi spicci e dall’elevata moralità…..il vero protagonista del film che per movenze e perfidia ricorda lo Javier Bardem di “Non è un paese per vecchi”.
Con “Solo Dio perdona” Winding Refn si rivela un autentico esteta della violenza sia essa fisica (da vedere la tortura con la progressione delle lame) che psicologica come si evince dalla scena della cena tra Ryan Gosling, la madre e una cantante spacciata come fidanzata dove le umiliazioni raggiungono vette altissime…..
Se Ryan Gosling rimane il suo fedele apripista in balia delle sue fantasie, sono Kristin Scott Thomas una Lady Macbeth volgare e ambigua che paragona la virilità dei propri figli in base alle dimensioni falliche e che li manipola al punto di far uccidere il loro padre e il thailandese Vithaya Pansringarm con la sua spada di Damocle i veri punti di forza del film perché incarnano quella violenza protagonista con tutte le sue sfaccettature.
Purtroppo il difetto di “Solo Dio perdona” è che rispecchia il personaggio di Ryan Gosling implodendo oltre ogni misura qualsiasi tipo di emozione lasciandoci guardare come semplici spettatori il vortice di violenza che ci ha preparato Winding Refn e sentendoci come quei poliziotti che alla fine ascoltano il concertino da karaoke che riserva loro il feroce Chang.
Peccato, proprio peccato!!!!
Voto 6,5
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alien46
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domenica 2 giugno 2013
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vuoto!
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Solo Dio perdona è un film senza dialoghi, gli unici sono in Thailandese e senza sottotitoli, lento e pieno di pause irrazzionali, storia banale, vuota! Non sembra un film, ma un trailer di un film!
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(di alan w.)
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francies88
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domenica 2 giugno 2013
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un cortometraggio di 90 minuti
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Potrebbe essere interessante sotto alcuni aspetti, le mani e il protagonismo della loro gestualità, il personaggio della madre e il legame morboso con i figli, il senso di angoscia che permea tutto il film, dalla fotografia alla colonna sonora. Tutto questo non basta però a salvarlo. Infatti, nonostante i 90 minuti, il film non ha niente di più da dire rispetto al trailer. Le pause e i silenzi sono così portati all'esasperazione che l'angoscia provata è figlia, non tanto della partecipazione alla trama, quanto piuttosto del desiderio di vedere i titoli di coda. La sensazione è quella di aver assistito ad un cortometraggio al quale sono sono state aggiunte scene per arrivare a fatica a 90 minuti.
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Potrebbe essere interessante sotto alcuni aspetti, le mani e il protagonismo della loro gestualità, il personaggio della madre e il legame morboso con i figli, il senso di angoscia che permea tutto il film, dalla fotografia alla colonna sonora. Tutto questo non basta però a salvarlo. Infatti, nonostante i 90 minuti, il film non ha niente di più da dire rispetto al trailer. Le pause e i silenzi sono così portati all'esasperazione che l'angoscia provata è figlia, non tanto della partecipazione alla trama, quanto piuttosto del desiderio di vedere i titoli di coda. La sensazione è quella di aver assistito ad un cortometraggio al quale sono sono state aggiunte scene per arrivare a fatica a 90 minuti. La violenza psicologica e fisica del film risulta essere grottesca e fine a se stessa, anche al di là del genere splatter, e scaturisce in chi guarda quasi un senso di rifiuto (più volte sentirete la sala ridere) e disgusto (altrettante volte sentirete commenti sdegnati). Alla fine, insomma, si lascia la sala con la stessa espressione schifata di Mai quando lascia la palestra.
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