Il film-documentario di Marra è assai scarno, dal ritmo lento, quasi noioso e senza colonna sonora, a parte qualche stralcio di canzone ascoltata alla radio dai detenuti e il pezzo musicale finale.
E' questo l'effetto voluto dal regista e, quasi antiesteticamente, il pregio della pellicola, capace di presentare realisticamente a chi sta fuori la vita in carcere di un detenuto in particolare, Raffaele, che deve scontare una lunga pena ancora per qualche anno. I giorni in galera (l'oggetto della rappresentazione filmica) sono, appunto come il film (il mezzo della rappresentazione), scarni, monotoni e sembrano interminabili. Tranne qualche partita di calcio, alcuni colloqui e telefonate con i parenti, nonchè il servizio nella cooperativa sociale Secondigliano Recuperi, il carcerato deve inventarsi qualcosa per riempire le sue giornate, quasi tutte uguali.
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Il film-documentario di Marra è assai scarno, dal ritmo lento, quasi noioso e senza colonna sonora, a parte qualche stralcio di canzone ascoltata alla radio dai detenuti e il pezzo musicale finale.
E' questo l'effetto voluto dal regista e, quasi antiesteticamente, il pregio della pellicola, capace di presentare realisticamente a chi sta fuori la vita in carcere di un detenuto in particolare, Raffaele, che deve scontare una lunga pena ancora per qualche anno. I giorni in galera (l'oggetto della rappresentazione filmica) sono, appunto come il film (il mezzo della rappresentazione), scarni, monotoni e sembrano interminabili. Tranne qualche partita di calcio, alcuni colloqui e telefonate con i parenti, nonchè il servizio nella cooperativa sociale Secondigliano Recuperi, il carcerato deve inventarsi qualcosa per riempire le sue giornate, quasi tutte uguali.
Anche l'assenza di musica dal film esprime compiutamente lo stato d'animo di chi è dietro le sbarre, il grigiore sentimentale di chi non sorride quasi mai.
E' dunque il rapporto umano che tenta di instaurare con i carcerati, e con Raffaele in specie, l'ispettore Domenico a rompere a tratti questo grigiore e a dare spessore ad una condizione altrimenti quasi esclusivamente afflittiva, in nome di una concezione della pena ancora condizionata dall'antico brocardo per cui essa sarebbe "malum passionis quod infligitur ob malum actionis" (il male da patire a causa del male commesso). L'approccio non puramente poliziesco di Domenico e la volontà - seppur contraddittoria e da ricorrenti contenuti fatalistici - di Raffaele di un incontro interpersonale danno l'idea di cosa possa e debba essere la funzione rieducativa e risocializzatrice della sanzione detentiva secono l'art. 27, comma 3°, della Costituzione italiana.
E mentre il rapporto di Raffaele con gli altri detenuti è quasi sempre di ordine organizzativo (sul cambiamento di cella, sulle "domandine" da fare ...) o evocativo, comunque, dei reati commessi e della realtà socio-culturale da cui provengono i carcerati (per cui ci si domanda: cosa faranno una volta rilasciati ? Torneranno ineluttabilmente a delinquere ?), la relazione con l'ispettore è quella più profonda, almeno quanto allo sforzo di affrontare i problemi essenziali dell'esistenza umana: la relazione genitori-figli, uomo-donna, il lavoro ... . Ciò è dimostrato dall'uso della macchina da presa, che rimane a distanza nel primo caso, mentre è prodiga di primi piani e di inquadrature più ravvicinate nel secondo.
Così in questo spazio di dialogo aperto tra Raffaele e Domenico, quasi enclave veramente umana nel mondo carcerario, rimangono, al di là dei ruoli e dei riti, le persone.
E quasi la divisa dell'ispettore sparisce, come quando, a fine turno, la dismette per tornare a casa.
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