“La tragedia di una generazione è sempre uno scherzo per quella successiva”. In queste parole è racchiuso il senso di Scream 4, il nuovo capitolo della serie cult anni novanta, che ha riportato sugli schermi il grande maestro del brivido Wes Craven, stavolta con una pellicola intrisa di significati sottesi. L’intento del regista è infatti quello di porre due generazioni a confronto, sia dal punto di vista cinematografico che sociologico. Nel primo caso, l’intento è evidente sin dall’inizio, dove attraverso un gioco barocco di scatole cinesi – film nel film – Craven, ammettendo le sue colpe, critica il modo di fare cinema horror negli anni novanta. Infatti, assistiamo ad un susseguirsi di omicidi che segnano al contempo la fine di un episodio e l’inizio di un altro di una serie horror cult chiamata Stab (tradotto Squartati) - con ovvio riferimento alla serie di Scream - e ogni volta troviamo due adolescenti davanti alla TV che commentano l’episodio appena visto, in un ricercato gioco di metacinema che spiazza lo spettatore, il quale, tra un colpo di scena e l’altro, non riesce a capacitarsi di quando il film effettivo stia iniziando. Ma tutta la pellicola è intrisa di questa critica, che non si limita all’horror degli anni novanta, ma si estende fino a quello dei giorni nostri (viene infatti citata anche la serie di Saw ), smontando attraverso l’ironia luoghi comuni, banalità e cliché di un filone che ormai risulta saturo, monotono e, inevitabilmente, involontariamente comico.
Emerge dunque la necessità di qualcosa di nuovo, anche in vista di un panorama cinematografico dominato da remake, spesso mal riusciti: “Dimmi il nome del remake più innovativo!”, chiede l’assassino al telefono e, dopo un lungo ed estenuante elenco la povera vittima si sente rispondere: “Nessuno di loro!” (in realtà questo è quello che sentiamo nel trailer, nel film invece lo stesso senso è reso da un inquietante e più eloquente silenzio), come se non esistesse affatto un remake innovativo.
“Le regole devono” perciò “essere riscritte”, come viene detto in più occasioni nel film. Tuttavia, la ricerca del nuovo non implica necessariamente il rifiuto totale del vecchio. Non va dimenticato che una ventata di novità nel genere horror fu portata proprio dal primo Scream, la cui formula si basava sulla citazione, sia diretta - attraverso l’enunciazione del titolo - sia indiretta - attraverso la riproduzione di situazioni - dei classici del filone. Il nuovo, anche stavolta, può scaturire dal vecchio, andando oltre le vecchie regole del gioco.
In questa ottica, anche dal punto di vista dei personaggi il film si presenta come un mix di nuovo e vecchio. Ritroviamo infatti la protagonista dei precedenti episodi, Sidney Prescott, che decide di ritornare nella sua Woodsboro per promuovere il suo libro sulla terribile esperienza vissuta in quella cittadina, proprio in occasione dell’anniversario del massacro. Ritroviamo poi lo sceriffo Riley e sua moglie, la bellissima giornalista Gale. Per il resto, il regista ci offre una nuova generazione di adolescenti, pronti per essere squartati secondo le nuove regole del gioco.
Ma quali sono le nuove regole? La nuova frontiera dell’Horror sembrerebbe quella delle riprese in soggettiva, dove l’omicidio, e non solo, è ripreso in diretta e dove il terrore è vissuto dallo spettatore insieme al protagonista e tutto acquista una maggiore parvenza di reale: vale a dire, la tecnica impiegata per la prima volta in The Blair Witch Project, poi riconfermata e resa efficacissima nella serie di Rec, fino all’enorme successo di Paranormal Activity. La nuova regola è dunque quella di riprendere in diretta l’assassino con una webcam e mandarlo su internet, così da rendere partecipi centinaia, se non migliaia, di fans.
Tuttavia, nel constatare l’avvento di tale innovazione, Craven ci rende partecipi delle sue titubanze in riguardo, inducendoci ad una riflessione che sfocia anche nel sociologico: basta davvero questo a far rinascere un genere ormai saturo? Ed è veramente positivo il fatto che oggigiorno si senta la necessità di mostrare ogni minimo aspetto della propria vita, condividendolo per forza con chiunque? In una società dominata ormai da social network, webcam e reality show, dove “nessuno legge più niente e tutti hanno bisogno di vedere” e dove gli amici si acquistano con un semplice click, qual è il vero valore dell’amicizia? A questa domanda il regista risponde con tono disilluso, mostrandoci che i veri amici vengono letteralmente fatti fuori, preferendo ad essi migliaia di fans sconosciuti. Il desiderio di fama sembra dunque l’aspirazione maggiore dei giovani della nuova generazione, e Craven, attraverso un thriller ricco di suspence e colpi di scena, infligge nella mente dello spettatore, come la lama tagliente del pugnale di Ghostface, una domanda inquietante: fino a che punto siamo disposti a spingerci pur di arrivare ad acquisire fama?
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camarillo
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domenica 24 aprile 2011
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dubbio
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Sono d'accordo con quanto scrivi.L'unica cosa che mi lascia perplesso è il rapporto tra Craven/Scream e l'horror anni '90:a me pare che la trilogia Scream rappresentò un tentativo,tutto sommato riuscito,di riscrivere le regole del genere attraverso la spietata messa in discussione delle regole stesse,e della pratica di genere che su quelle regole,spesso in maniera surrettizia, si era fondata.Non mi pare che l'evoluzione successiva del cinema horror abbia raccolto con lo stesso coraggio la sfida di Craven, che dunque non può essere, nè confessarsi,responsabile né degli esiti tipo "Saw" nè di quelli tipo "Rec".A me pare che il discorso sia un altro:proprio attraverso la negazione delle regole,e non attraverso la loro stantia ripetiione, può fondarsi un canone,che andrà subito dopo stravolto.
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Sono d'accordo con quanto scrivi.L'unica cosa che mi lascia perplesso è il rapporto tra Craven/Scream e l'horror anni '90:a me pare che la trilogia Scream rappresentò un tentativo,tutto sommato riuscito,di riscrivere le regole del genere attraverso la spietata messa in discussione delle regole stesse,e della pratica di genere che su quelle regole,spesso in maniera surrettizia, si era fondata.Non mi pare che l'evoluzione successiva del cinema horror abbia raccolto con lo stesso coraggio la sfida di Craven, che dunque non può essere, nè confessarsi,responsabile né degli esiti tipo "Saw" nè di quelli tipo "Rec".A me pare che il discorso sia un altro:proprio attraverso la negazione delle regole,e non attraverso la loro stantia ripetiione, può fondarsi un canone,che andrà subito dopo stravolto.Non è quello che fa Craven?
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d'accordo? |
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riccardo76
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mercoledì 27 aprile 2011
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hai perfettamente ragione camarillo
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Come ho già detto la trilogia di Scream portò una ventata di novità nel genere horror, attraverso la ctiazione dei classici del genere e , come dici tu, attraverso il tentativo di riscrivere le regole tramite la spietata messa in discussione delle regole stesse su cui i film erano fondati: un tentativo che fu certamente riuscito, e che riportò il genere horror in voga, soprattutto tra gli adolescenti. Questo non significa però che gli horror successivi a Scream seguano le stesse sue regole e dipendano da esso. Perciò non intendevo affermare che la trilogia di Scream possa considerarsi responsabile dello sviluppo del resto dei film degli anni '90 , né dell'evoluzione successiva fino ai nostri giorni.
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Come ho già detto la trilogia di Scream portò una ventata di novità nel genere horror, attraverso la ctiazione dei classici del genere e , come dici tu, attraverso il tentativo di riscrivere le regole tramite la spietata messa in discussione delle regole stesse su cui i film erano fondati: un tentativo che fu certamente riuscito, e che riportò il genere horror in voga, soprattutto tra gli adolescenti. Questo non significa però che gli horror successivi a Scream seguano le stesse sue regole e dipendano da esso. Perciò non intendevo affermare che la trilogia di Scream possa considerarsi responsabile dello sviluppo del resto dei film degli anni '90 , né dell'evoluzione successiva fino ai nostri giorni. Volevo soltanto dire che, Craven, osservando il panorama horror degli anni '90 e '00, si accorge che esso è formato da formule ormai sature, e la stessa Trilogia di Scream, seppur innovativa a suo tempo, necessita di un rinnovamento. E tale rinnovamento lo effettua nello stesso modo in cui l'aveva fatto con il primo Scream: mischiando il vecchio al nuovo, citando le vecchie regole per sovvertirle, vale a dire - usando le tue parole - attraverso la negazione delle regole può fondarsi un canone (quello della prima trilogia), che andrà subito dopo stravolto (in Scream 4).Spero di aver chiarito le tue perplessità.Grazie dell'intervento.
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d'accordo? |
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camarillo
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mercoledì 11 maggio 2011
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sono d'accordo...
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tanto più che ho rivisto Scream 4 e,a breve distanza,Paranormal Activity.Mi pare indiscutibile,nel paragone tra i due film,che l'orrore si nasconda nella registrazione della realtà;cioè,dal punto di vista cinematografico,dalla pretesa (naturalmente,infondata) di realizzare opere che aboliscano il cinema come tecnica e come scrittura: quando si afferma che il trucco non c'è (Paranormal,Rec,Blair Witch Project...), allora è davvero il momento di preoccuparsi.
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superwoody
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sabato 28 maggio 2011
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bella recensione! bravo!!!
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Complimenti! Fa piacere vedere che anche i film horror, generalmente considerati inferiori, abbiano dei messaggi impliciti esuscitino tali riflessioni.
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riccardo76
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lunedì 30 maggio 2011
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ben detto superwoody!
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Spesso i film horror sono stati ingiustamente considerati di serie B. Invece talvolta nascondono messaggi e significati sottesi migliori di tanti film universalmente riconosciuti come di serie A.
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