zoom e controzoom
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mercoledì 11 aprile 2012
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il mancato coraggio di azzardare
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Il film appartiene a quella categoria che viene definita “ti deve piacere il genere”, vale a dire cioè qualche cosa al di fuori della “costituzione” che guida la maggioranza dei film.
I personaggi – veri – si muovono in una scenografia che cambia molto spesso scivolando disinvoltamente in mutazioni totali. Inizialmente e per la maggior parte del film, è costruita come dovesse poi essere realizzata poi sulle pagine di un libro : molte ombre che celano gli spazi inutili degli ambienti, luci che spaccano improvvisamente il buio come lame sinistre, personaggi illuminati da profilature di luce come la migliore grafica propone suscitando al contempo sentimenti e aspettative.
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Il film appartiene a quella categoria che viene definita “ti deve piacere il genere”, vale a dire cioè qualche cosa al di fuori della “costituzione” che guida la maggioranza dei film.
I personaggi – veri – si muovono in una scenografia che cambia molto spesso scivolando disinvoltamente in mutazioni totali. Inizialmente e per la maggior parte del film, è costruita come dovesse poi essere realizzata poi sulle pagine di un libro : molte ombre che celano gli spazi inutili degli ambienti, luci che spaccano improvvisamente il buio come lame sinistre, personaggi illuminati da profilature di luce come la migliore grafica propone suscitando al contempo sentimenti e aspettative.
Ombre e ombre: dalle tonalità calde ma a volte fredde anche se pastellose: un’angoscia che mielosamente avvolge tutto il percorso dello sfortunato protagonista impedendogli una vita felice nonostante abbia il genio della musica.
Improvvisamente - ogni tot - la scenografia cambia: un giro di pagina e il paesaggio in tinte pastello immerge in se stesso figurine ritagliate e/o altre forme fantasiose di cortoon però sempre creature del mondo della grafica per libro. Ma questo non crea un ritmo.
Tutto questo sfondo che racchiude i personaggi, spezzetta la storia che fa salti - in avanti e indietro nel tempo - più che elissi, presaga-racconta il futuro dei figli, ricorda-precede il passato-il domani.. tutto questo è un percorso labirintico eppur va diretto verso l’uscita, ma nel suo procedere tende a confondere la storia mescolando le carte tutte contemporaneamente sul tavolo. Lo fa con maestria, senza eccedere e non occorre un eccessivo sforzo per tenere il bandolo della storia, ma è pur sempre una complicazione fine a se stessa. E’ una complicazione per tre quarti del film che si risolve tutto quanto nell’ultima parte, con un riassunto e in un modo lineare.
Il ritmo lento ripropone il tempo della lettura più che della visione cinematografica. La sceneggiatura è calibrata su questa tipologia e i personaggi si muovono, agiscono, parlano più con un approccio da fumetto che da personaggio reale quale si presentano. Ottima l’espressività del protagonista e dei due bambini, soprattutto del bimbo, petulante e dolcissimo, perfettamente ritagliato nella tipologia dell’età e nel rapporto genitori-figli.
Nell’ultima parte si riprende il bandolo della storia dall’inizio per ripeterla paro paro, ma semplificata e ordinata, come cartelle grafiche didattiche, si mette ordine alla composizione del libro.
In fondo è una storia banale: un amore quasi alla “Zivago” un amore infelice perché non permesso e tutta la complicazione nel raccontarlo della prima parte, pur essendo azzardata, potrebbe da sola reggere un film, ma se si vuole azzardare sperimentando, perché cedere all’esigenza di spiegare il tutto prima di mettere sul film la parola fine? Perchè l'esigenza di "impaginare" ? Il film non può diventare libro senza perdere l'energia propria, la vitalità essenziale per essere film, cosa che l'aggiunta finale gli toglie.
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[+] c'è anche un mancato coraggio di voler capire
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flyanto
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mercoledì 11 aprile 2012
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quando l'amore impossibile per una dona simboleggi
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Favola tratta dall'omonimo libro a fumetti di Mariane Satrapi, autirice del più noto e riuscito "Persepolis", in cui viene narrata una struggente ed infelice storia d'amore tra un musicista di violino ed una bella ragazza iraniana. Un amore sfortunato ed impossibile teso a simboleggiare quello stesso per la propria patria (l'Iran), dove ormai è divenuto quasi impossibile vivere, da parte della stessa autrice e di quelli, come lei, costretti ad un lontano esilio. Dolcissimo, struggente e melanconico e con una quanto mai adatta colonna sonora intrisa di brani classici per violino.
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renato volpone
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martedì 10 aprile 2012
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il trionfo dell'accidia
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Un uomo, due donne, una che lo ama, l'altra amata da lui: un mondo fatto di convenzioni, di vecchie storie e di bambini vivaci. L'uomo decide di morire e ci mette otto giorni, otto giorni lunghissimi, sicuramente anche a colpa di un doppiaggio pessimo che toglie completamente l'espressività alla recitazione, otto giorni in cui trionfa l'accidia più assoluta del protagonista e la noncuranza di chi gli sta intorno. Non basta l'atmosfera fiabesca, la bella musica e l'incanto d'amore a salvare dalla noia mortale questo film.
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(di francesca50)
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viola96
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lunedì 9 aprile 2012
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l'amore (non) è (mai) una cosa semplice.
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Marjane Satrapi è una delle donne più intelligenti della nostra epoca. Fumettista sublime e regista soventemente in crescita, rappresenta una delle migliori scoperte acquisite dal cinema europeo negli ultimi decenni(lei è di nascita iraniana, ma naturalizzata francese, e il suo cinema risente positivamente di entrambe le diverse eppur simili etnie). Per il secondo lungometraggio realizzato con il fido Vincent Parannoud, la regista non si serve più dell’animazione(tranne un breve e a tratti nostalgico ritorno alle origini in uno dei mini racconti contenuti nel film), come fatto nel precedente e bellissimo Persepolis, ma preferisce raccontare una storia con attori in carne ed ossa.
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Marjane Satrapi è una delle donne più intelligenti della nostra epoca. Fumettista sublime e regista soventemente in crescita, rappresenta una delle migliori scoperte acquisite dal cinema europeo negli ultimi decenni(lei è di nascita iraniana, ma naturalizzata francese, e il suo cinema risente positivamente di entrambe le diverse eppur simili etnie). Per il secondo lungometraggio realizzato con il fido Vincent Parannoud, la regista non si serve più dell’animazione(tranne un breve e a tratti nostalgico ritorno alle origini in uno dei mini racconti contenuti nel film), come fatto nel precedente e bellissimo Persepolis, ma preferisce raccontare una storia con attori in carne ed ossa. E questo Poulet aux prunes(Polle alle prugne in Italia) parla appunto di persone, e nello specifico di tutte le relazioni possibili tra persone anche diversissime). Il film è la triste storia di un amore impossibile, tragico e romanticissimo. Nasser Ali è uno dei migliori suonatori di violino esistenti. Un giorno, dopo un furioso litigio, la moglie rompe questo violino e fa sprofondare in uno stato di depressione il povero violinista. Dopo aver ricercato senza successo un violino capace di sostituire il suo, l’uomo decide che è meglio aspettare la morte stando seduto nel suo letto. In questa attesa gli ripassano davanti i momenti salienti della sua vita: l’eterna rivalità con il fratello, il difficile rapporto con i figli e con la moglie mai amata e il suo vero amore, dato ad una donna il cui padre non aveva permesso le nozze e quindi perso per sempre. Il film ha la leggerezza eppure la fantasiosa morale di una favola persiana, a cui per definizione si ispira e anche la leggiadria delle forme tipica del cinema francese, cinema di adozione per l’ideatrice del tutto, la brava Satrapi. La storia è sviluppata attraverso un intricato meccanismo di flashback e flash-forward, in cui il protagonista della vicenda, Nasser Ali(un abbastanza convincente Mathieu Amalric), rivede la sua vita e immagina quella dei figli quando lui non ci sarà più. Il film viaggia su frequenze abbastanza tipiche per il suo genere, senza cadere mai nei propri clichè, a volte anche solo accennati(un po’ stantia forse la parte da sitcom, forse evitabile), ma nel risultato totale francamente è poca cosa. La poetica stralunata e lunatica dell’autrice si riversa completamente nei personaggi, anche in quelli dalla psicologia appena accennata e soprattutto negli oggetti. Pensare che è proprio il violino l’inizio e la fine di tutta la storia, e anche l’oggetto su cui ruota tutta l’attenzione di regista, protagonista e pubblico. Presentato alla Mostra del cinema di Venezia 2011, il film è un’attenta commedia romantica, spacciata per finto dramma cameratesco, in cui si cerca di dare ulteriori significati alla parola amore. Quando Nasser Ali perde il suo vero amore, per colpa di un padre che rifiuta che la figlia sposi un musicista preferendo all’uomo un soldato, lui riversa tutto il suo amore nel violino e con la rottura di questo, è come se si spezzasse il suo cuore e se perdesse una parte di sé, una parte destinata a non ritrovarsi più. Non è un capolavoro il film, ma è sincero e colpisce al cuore al punto giusto, da poter essere considerata un’opera riuscita e soprattutto un piccolo gioiello della produzione degli ultimi tempi. La scena finale è da antologia: le lacrime della Farahani hanno dentro di loro tutto il significato del film e anche oltre. L’amore (non) è (mai) una cosa semplice.
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[+] un film originale e poetico
(di francesca50)
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fabrizio dividi
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domenica 8 aprile 2012
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tu sei il tuo destino
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La metafora del soffio come tempo che fugge e vita da cogliere al volo comincia dai titoli di testa, con un treno sbuffante vapore, prosegue con gli anelli di fumo delle sigarette che disegnano la noia di Nasser-ali e con le prolungate boccate di sua madre e sua figlia che scandiscono fasi alterne di vite non scelte.
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La metafora del soffio come tempo che fugge e vita da cogliere al volo comincia dai titoli di testa, con un treno sbuffante vapore, prosegue con gli anelli di fumo delle sigarette che disegnano la noia di Nasser-ali e con le prolungate boccate di sua madre e sua figlia che scandiscono fasi alterne di vite non scelte.
Eppure la lezione di un vecchio maestro di musica del protagonista, insigne violinista in crisi esistenziale, era stata chiara: carpe diem, cogli l'attimo, cattura il respiro della vita che passa prima che sia troppo tardi e fai volare le note del tuo strumento come una brezza leggera.
"Pollo alle prugne", che conserva lo spirito dell'omonimo fumetto di Marjane Satrapi, racconta l'ultima settimana che il musicista, ormai senza lavoro, si concede prima di abbandonarsi alla morte; sono i giorni dei bilanci, dei ricordi dell'infanzia e del consuntivo di una vita appesa a rimpianti e rimorsi che il racconto descrive con brevi flashback malinconici ma divertenti, che svelano progressivamente i bivi e le scelte che hanno determinato la sostanziale infelicità di tutti i protagonisti. Il tutto simboleggiato dal violino-feticcio del protagonista in cui risiedono i nodi irrisolti che solo il finale chiarisce.
Un film caratterizzato da uno stile visionario, con atmosfere da mille e una notte -anche per la cornice narrativa divisa in giornate- ed effetti visivi mai gratuiti che ne potenziano la dimensione onirica e contribuiscono ad avvicinarlo alle tavole originarie che non sono mai tradite nella loro grafica essenziale. La trasposizione cinematografica però non ne risulta imbrigliata e al contrario si concede l'utilizzo di linguaggi diversi; dal cartone animato che descrive l'antica leggenda di derivazione araba sulla ineluttabilità del destino (cantata da Roberto Vecchioni in Samarcanda) fino alla forma sitcom (già vista in "Natural born killer" di Oliver Stone) scelta per raccontare ironicamente il triste destino di molti persiani emigrati negli Stati Uniti negli anni della rivoluzione islamica.
Allegro, malinconico, amaro e in qualche modo "morale", "Pollo alle prugne" non è un capolavoro ma un piccolo scrigno da scoprire e da gustare dal primo all'ultimo fotogramma alla ricerca di brevi ma significativi momenti di vero cinema.
Fabrizio Dividi
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linus2k
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domenica 8 aprile 2012
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magnifica favola triste
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Nel momento in cui fu presentato a Venezia il nuovo film di Marjane Satrapi e Vincent Paronnaud, cominciai a fremere dall'attesa, tanto ho amato profondamente Persepolis; ero solo un po' perplesso dal fatto che la nuova traduzione cinematografica di un graphic novel dell'Artista persiana fosse reso in un film "in carne ed ossa".
Il duo di registi è riuscito nuovamente a farmi sognare...
"Pollo alle prugne", pur mantenendo la grazia e l'ironia di Persepolis, si distacca dal racconto autobiografico e realistico stretto per raccontare una colorata, affascinante, meravigliosa favola triste.
Nasser Alì, famosissimo violinista persiano, vede distrutto il proprio violino, e non riuscendo più a ritrovare la sua musica in nessun altro strumento, decide di lasciarsi morire.
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Nel momento in cui fu presentato a Venezia il nuovo film di Marjane Satrapi e Vincent Paronnaud, cominciai a fremere dall'attesa, tanto ho amato profondamente Persepolis; ero solo un po' perplesso dal fatto che la nuova traduzione cinematografica di un graphic novel dell'Artista persiana fosse reso in un film "in carne ed ossa".
Il duo di registi è riuscito nuovamente a farmi sognare...
"Pollo alle prugne", pur mantenendo la grazia e l'ironia di Persepolis, si distacca dal racconto autobiografico e realistico stretto per raccontare una colorata, affascinante, meravigliosa favola triste.
Nasser Alì, famosissimo violinista persiano, vede distrutto il proprio violino, e non riuscendo più a ritrovare la sua musica in nessun altro strumento, decide di lasciarsi morire.
La storia prende quindi il via da questa decisione e si dirama negli otto giorni successivi, gli ultimi 8 giorni di vita di Nasser, che, attraverso ricordi della giovinezza e del passato più recente, riflessioni, incontri, ci racconterà la sua storia ed i retroscena che lo hanno portato ad una decisione così drammatica.
Ma il film è solo apparentemente una semplice storia d'amore...
Dietro la favola romantica si nasconde poi una riflessione ben più seria e profonda sulla situazione iraniana e il rapporto tra l'Iran degli Ayatollah e gli artisti.
Diceva Khomeini: "Le penne che non scrivono di valori islamici vanno spezzate" e la Satrapi ci racconta la disperazione di un certo tipo di artisti iraniani, di tutta quella classe di artisti progressisti, davanti alle censure, ai divieti, ed il pessimismo per il rifiuto della propria Patria di sostenere ed appoggiare la propria arte.
Alla censura purtroppo non ci sono rimedi e nessun "pollo alle prugne" può ripagare il dramma dell'arte non espressa.
Il mio personale pensiero corre quindi al regista Panahi, condannato al silenzio artistico per 20 anni...
La struttura si compone di una complessa trama di flashback, racconti, digressioni, ellissi, con il reale che si incrocia e si confonde con il fantastico, il cinema tradizionale con il cinema d'animazione, in una suggestiva, onirica, opera il cui lirismo visivo e narrativo stupisce ed affascina ad ogni sequenza.
La delicatezza della narrazione della Satrapi, semplice e ironica, permette di riuscire a strappare sorrisi e lacrime senza mai cadere nel patetico. Il gusto per il colore fiabesco, per una certa atmosfera esotica, contribuiscono alla magia di un film praticamente perfetto in cui si sentono sia le influenze di un certo cinema francese, da Jeunet a Ocelot, ma anche un omaggio all'onirismo felliniano (la scena del "tuffo nel seno di Sophia Loren", con la celebrazione del corpo femminile, è un evidente riferimento)
A completare l'opera, un cast adatto, perfetto, dai protagonisti ai camei di prestigio di Chiara Mastroianni (che aveva già doppiato Marjane in Persepolis), di Isabella Rossellini e di Jamel Debbouze (in un duplice ruolo "favoloso").
Insomma... Marjane Satrapi e Vincent Paronnaud continuano a far sognare e si confermano protagonisti di un certo cinema che fa della poesia e della delicatezza l'arma per arrivare agli animi degli spettatori.
Da vedere!
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viaggiatore77
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venerdì 9 marzo 2012
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l'amore tra note perdute
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Visto in anteprima alla 68a mostra del cinema di Venezia, Marjane Satrapi e Vincent Paronnaud hanno saputo riproporre il loro talento visionario e poetico per raccontare un altro amore impossibile. Già ampiamente apprezzati in Persepolis, dove l'amore impossibile è quello per le proprie origini che il destino allontana, in questo film presentano un amore del passato che diventa perduto per sempre con la distruzione dell'amato violino, l'unico strumento in grado di evocarlo ed esprimerlo attraverlo la sua musica. Sebbene anche in questo caso si ha di fronte una storia drammatica, i toni sono tutt'altro che cupi e seriosi, perché si può toccare il cuore senza necessariamente mostrare scene lacrimevoli, perchè ciò che deve rimanere non è la tristezza del finale ma il romanticismo di tutta la storia che nessun epilogo può vanificare.
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Visto in anteprima alla 68a mostra del cinema di Venezia, Marjane Satrapi e Vincent Paronnaud hanno saputo riproporre il loro talento visionario e poetico per raccontare un altro amore impossibile. Già ampiamente apprezzati in Persepolis, dove l'amore impossibile è quello per le proprie origini che il destino allontana, in questo film presentano un amore del passato che diventa perduto per sempre con la distruzione dell'amato violino, l'unico strumento in grado di evocarlo ed esprimerlo attraverlo la sua musica. Sebbene anche in questo caso si ha di fronte una storia drammatica, i toni sono tutt'altro che cupi e seriosi, perché si può toccare il cuore senza necessariamente mostrare scene lacrimevoli, perchè ciò che deve rimanere non è la tristezza del finale ma il romanticismo di tutta la storia che nessun epilogo può vanificare. Consigliato a tutti, specialmente a chi piace un modo francese di fare cinema; bravi i registi e bravi anche gli attori (tutti molto carini anche alla presentazione del film a Venezia).
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peer gynt
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domenica 11 settembre 2011
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la fiaba del violinista che voleva morire
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I due registi del famoso “Persepolis” (2007) hanno realizzato una fantasmagorica fiaba che ha un gusto narrativo da “Mille e una notte”, anche se qui le notti sono solo 8, cioè gli ultimi giorni di vita di un bravissimo violinista che, depresso e avvilito per la distruzione del suo amato violino, decide di morire. Il film non può non ricordare “Il favoloso mondo di Amélie” per qualità figurativa, idee filmiche e gustose costruzioni narrative, con continue analessi e prolessi che movimentano il racconto. E certe note dark (come l’arrivo dell’inquietante Azrael, l’angelo della morte) contrastano efficacemente con la storia finale d’un amore estremo ma impossibile fra il violinista e la bella Iran, che ad alcuni potrà sembrare sdolcinato, ma ad altri aprirà mondi di poesia e di sogno, squarci di malinconici ricordi di giovinezza, un languore dolcemente doloroso che avvince e incanta.
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I due registi del famoso “Persepolis” (2007) hanno realizzato una fantasmagorica fiaba che ha un gusto narrativo da “Mille e una notte”, anche se qui le notti sono solo 8, cioè gli ultimi giorni di vita di un bravissimo violinista che, depresso e avvilito per la distruzione del suo amato violino, decide di morire. Il film non può non ricordare “Il favoloso mondo di Amélie” per qualità figurativa, idee filmiche e gustose costruzioni narrative, con continue analessi e prolessi che movimentano il racconto. E certe note dark (come l’arrivo dell’inquietante Azrael, l’angelo della morte) contrastano efficacemente con la storia finale d’un amore estremo ma impossibile fra il violinista e la bella Iran, che ad alcuni potrà sembrare sdolcinato, ma ad altri aprirà mondi di poesia e di sogno, squarci di malinconici ricordi di giovinezza, un languore dolcemente doloroso che avvince e incanta. E chi scrive, come questi ultimi, apprezza il romantico finale alla pari del resto del film.
Sicuramente da vedere.
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