catia p.
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lunedì 11 luglio 2011
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corpo celeste – un'opinione fuori dal coro
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Questo film mi divide a metà.
Da un lato, ho apprezzato moltissimo la storia narrata, dall'altro, mi hanno lasciata interdetta e insoddisfatta le scelte operate dalla giovane regista e sceneggiatrice nel narrarla.
Andiamo con ordine.
La timida ed irrequieta tredicenne Marta è costretta, con sua madre e sua sorella maggiore, a ritornare a Reggio Calabria dopo essere vissuta nell'idilliaca Svizzera, e ad affrontare, contemporaneamente, i traumi dello sradicamento, della crescita e della ricerca di valori spirituali.
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Questo film mi divide a metà.
Da un lato, ho apprezzato moltissimo la storia narrata, dall'altro, mi hanno lasciata interdetta e insoddisfatta le scelte operate dalla giovane regista e sceneggiatrice nel narrarla.
Andiamo con ordine.
La timida ed irrequieta tredicenne Marta è costretta, con sua madre e sua sorella maggiore, a ritornare a Reggio Calabria dopo essere vissuta nell'idilliaca Svizzera, e ad affrontare, contemporaneamente, i traumi dello sradicamento, della crescita e della ricerca di valori spirituali.
Marta cerca delle risposte fuori e dentro di sé, nel suo corpo che sta cambiando e nella sua anima, alle soglie sia di una confermazione come donna (in procinto del primo ciclo) che di una confermazione nella fede (sta per ricevere il sacramento della Cresima).
L'universo che la circonda è ostile e insoddisfacente, non la comprende ed è incomprensibile ai suoi occhi.
L'assenza di un padre terreno si avverte fortissima e la ricerca di Quello che è nei Cieli è ardua, perché la comunità parrocchiale qui descritta viene gestita in modo gretto, limitato, tutta apparenza e nulla sostanza e non si cura di riavvicinare le pecorelle smarrite (o semplicemente dubbiose e curiose) al Buon Pastore.
Il peggio del peggio della vita provinciale e del cattivo gusto televisivo la fanno da padroni e la domanda “chiave” che Marta pone per buona parte del film (“Che significa: 'Eloì, Eloì, lemà sabactàni?'”, cioè l'urlo di Gesù crocifisso “Padre mio, Padre mio, perché mi hai abbandonato?”) è destinata a trovare soddisfazione solo molto lontano dal mondo dove la ragazzina è obbligata a vivere.
Un mondo che l'esordiente regista Alice Rohrwacher ritrae in tutto il suo squallore, per quel poco che ci lascia intravedere.
La critica ufficiale osanna già in tutti i modi questa ventottenne, sorella della più famosa attrice Alba, e Corpo Celeste ha già fatto il pieno di premi e riconoscimenti.
Vista la tendenza culturale, per piacere all'intellighentia basta che l'esordiente di turno scosti un po' il velo di santa madre Chiesa ed eviti di filmare paesaggi da cartolina della bella Italia e già si grida al capolavoro.
Fatto sta che, a detta dei critici di professione, la Rohrwacher lo fa senza giudicare o denunciare e in questo aspetto documentaristico molti vedono il punto di forza del film.
Al contrario, per me ne costituisce il punto debole, specialmente nella sceneggiatura che di Marta non ci racconta altro che la sua vita tutta “casa e chiesa”, letteralmente.
Non sappiamo null'altro di lei come se nient'altro esistesse, come se non vi fossero altre sfumature. Minimalismo elevato all'ennesima potenza, fino all'inconsistenza.
Cosicché, passato lo sdegno per come viene svolto il catechismo nelle città del sud (e qui molti saranno indotti a pensare che sia così in tutta la nazione) e per quanto è degradata Reggio Calabria, di tutta la sostanza di Marta ci resta poco in mano.
Tolto il tema coraggioso (il desiderio di una spiritualità più profonda) ricorderemo solo la splendida direzione degli attori (tutti bravissimi, dai pochi volti noti fino alle comparse, passando dalle due rivelazioni Yle Vianello/Marta e Pasqualina Scuncia/Santa, la catechista), la fotografia buia e sgranata e il campo visivo stretto, appiccicato al collo dei protagonisti (perché si sa che pellicola sgranata/presa diretta/inquadratura stretta fanno tanto degrado/neo-neo realismo/tormento interiore).
E un'unica, evidente certezza: che Alba Rohrwacher non lavora per la pro-loco di Reggio Calabria.
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laulilla
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martedì 21 giugno 2011
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i turbamenti della giovane marta
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Opera prima di Alice Rohrwacher, tratto liberamente dall’omonimo romanzo di Annamaria Ortese, questo film ci descrive la difficile adolescenza di una ragazzina, Marta, appena arrivata dalla Svizzera in Calabria. La vicenda ci introduce subito nella brutta realtà della periferia del capoluogo calabro, stretto d’assedio da immondizia e tronconi abbandonati di lavori pubblici, altamente deturpanti.
Marta ha solo tredici anni e stenta a inserirsi nella periferia degradata di Reggio, dove la madre è tornata con le due figliolette, che, come tutte le sorelle, poco si amano e molto litigano.
Sua madre, che invece la ama e cerca di comprenderla, ha deciso di iscriverla alle lezioni di catechismo, per prepararla alla Cresima, momento che ritiene importante per inserirla compiutamente fra gli abitanti del luogo.
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Opera prima di Alice Rohrwacher, tratto liberamente dall’omonimo romanzo di Annamaria Ortese, questo film ci descrive la difficile adolescenza di una ragazzina, Marta, appena arrivata dalla Svizzera in Calabria. La vicenda ci introduce subito nella brutta realtà della periferia del capoluogo calabro, stretto d’assedio da immondizia e tronconi abbandonati di lavori pubblici, altamente deturpanti.
Marta ha solo tredici anni e stenta a inserirsi nella periferia degradata di Reggio, dove la madre è tornata con le due figliolette, che, come tutte le sorelle, poco si amano e molto litigano.
Sua madre, che invece la ama e cerca di comprenderla, ha deciso di iscriverla alle lezioni di catechismo, per prepararla alla Cresima, momento che ritiene importante per inserirla compiutamente fra gli abitanti del luogo. La realtà della Chiesa locale è però orripilante: un parroco, che fa l’affittacamere, e che, incassando i lauti affitti, distribuisce i “santini” del notabile candidato alle elezioni, facendo anche firmare una specie di impegno a votarlo; una insegnante di catechismo che più ignorante non potrebbe essere, che non ama Martina perché la ritiene un po’ troppo impertinente e curiosa; una popolazione conformista e rassegnata che non tenta neppure di vivere in modo più autonomo dai modelli subalterni che la televisione propone e che vengono adottati persino dalla catechista, per preparare la festicciola della Cresima.
Ai turbamenti adolescenziali di Martina, che tutto vede silenziosamente, si aggiungono il disagio e il senso di solitudine che la porterà a cercare le risposte ai problemi tipici dell’adolescenza in uno sperduto paesetto, dove un prete burbero, solitario, ma pieno di spiritualità le comunicherà alcune verità non conformiste su Cristo e sul senso della vita. Il film delinea con attenta e delicata partecipazione una vicenda gracile, ma interessante, in cui l’indagine di Martina alla ricerca del suo equilibrio e del suo “ubi consistam”, difficile da individuare, è narrata con maestria. L’attenzione alla problematica religiosa, tuttavia, mi pare eccessivamente insistita, quasi che l’ambiente religioso, sia pure autenticamente cristiano, fosse l’unico in grado di offrire risposte alle inquietudini dell’adolescenza. Io non credo che sia così, neppure in questa decaduta e deturpata Reggio Calabria. Ottima prova d’attore quella della giovanissima Yle Vianello, che con molta verità ha fatto vivere Martina, con le sue ansie, i suoi dubbi, i suoi silenzi, la sua solitudine. Il film è stato selezionato, da una giuria internazionale, fra migliaia di altri, per partecipare alla “Quinzaine des Realisateurs” del Festival di Cannes appena concluso.
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femon
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domenica 12 giugno 2011
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sorprendente
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complimenti davvero a tutti coloro che hanno partecipato a questo lavoro stratificato, pieno ed emozionante!
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reservoir dogs
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giovedì 9 giugno 2011
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le vie sono anche distanti dalla chiesa
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Marta (Vianello) ha 13 anni, si è appena trasferita alla periferia di Reggio Calabria dopo aver abitato in Svizzera per circa dieci anni dove i genitori erano immigrati per lavoro.
Il luogo da poco ritrovato è sospeso però tra falso ed affannoso modernismo e arcaico ancora ben radicato; Marta ha l'età per cresimarsi e il percorso prima del rito è l'occassione per la ragazza di fare amicizie ed integrarsi nel nuovo "ispido" habitat.
Ma gli abitanti, così come il posto, non trovano un proprio equilibrio se non "nascondendosi" in una grande istituzione come la Chiesa e Marta, giovane anima celeste nuovamente trapiantata nell'entroterra calabrese non trova certo delle risposte in quel teatrino in cui ognuno recita il proprio ruolo inconsapevole dei fili a cui sono legati.
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Marta (Vianello) ha 13 anni, si è appena trasferita alla periferia di Reggio Calabria dopo aver abitato in Svizzera per circa dieci anni dove i genitori erano immigrati per lavoro.
Il luogo da poco ritrovato è sospeso però tra falso ed affannoso modernismo e arcaico ancora ben radicato; Marta ha l'età per cresimarsi e il percorso prima del rito è l'occassione per la ragazza di fare amicizie ed integrarsi nel nuovo "ispido" habitat.
Ma gli abitanti, così come il posto, non trovano un proprio equilibrio se non "nascondendosi" in una grande istituzione come la Chiesa e Marta, giovane anima celeste nuovamente trapiantata nell'entroterra calabrese non trova certo delle risposte in quel teatrino in cui ognuno recita il proprio ruolo inconsapevole dei fili a cui sono legati.
Una piacevole sorpresa a Cannes, quella di Alice Rohrwacher (sorella minore di Alba), unica italiana nella sezione Quinzaine des realisateurs, nonostante qualche iniziale scetticismo la "sorella d'arte" esordisce con un lungometraggio che non mira ad avere simpatia dal pubblico ma decide invece a descrivere i problemi che affliggono il Sud senza troppi orpelli attraverso la giovane Yle Vianello, non addita colpe a nessuno dei personaggi descritti: dal parroco dedito al clientelismo alla catechista ingenua ed ignorante al sacrestano butterato ed insensibile alla vita, ma li inserisce tutti in un meccanismo più grande ed incomprensibile di cui anche Marta e la sua famiglia fanno inconsapevolmente parte.
Lo spaesamento di Marta dovuto non solo al trasferimento ma anche ad un mutamento fisico: le prime perdite mestruali, l'ingrossamento del seno, la scoperta della propria femminilità, è lo spaesamento dunque anche di se stessi e del proprio corpo, dove solo un parroco "asceta" in un paese fantasma saprà dare forse risposte togliendo a Marta "l'innocente" benda che il catechismo le aveva messo.
La pellicola però scivola talvolta in un esagerato simbolismo troppo didascalico che per fortuna non compromette particolarmente l'opera, come ad esempio la sorella minore di Marta succube della televisione e potenziale futura subrettina.
Il Cristo morente è ben diverso da come era stato fatto conoscere al catechismo e Marta nel vedere il polveroso crocefisso instaura ben presto un contatto "fisico" a dimostrazione che "Le vie del Signore sono infinite" e dunque le vie sono anche distanti dalla Chiesa.
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brian77
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mercoledì 8 giugno 2011
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piccolo cinema italiano
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Abbastanza riuscita (e pure divertente) la descrizione dell'ambiente parrocchiale, ma nell'insieme è un filmettino esile. Capisco che sia giusto essere comprensivi con un'esordiente e vedere solo gli aspetti positivi del suo lavoro, ma bisogna anche dire che su questa strada si continueranno a fare solo filmettini piccoli e asfittici.
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boyracer
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lunedì 6 giugno 2011
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una bella novità.
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Opera prima di Alice Rohrwacher (sorella della già affermata attrice Alba), questo film è una bella novità nel panorama autoriale italiano, presentato a Cannes in una categoria secondaria al concorso, e dove è stato giustamente molto apprezzato.
Il degrado del sud Italia è rappresentato con voce pacata ma spietata attraverso l'esperienza di una ragazzina cresciuta fino ai tredici anni in svizzera. La storia parte dal ritorno in Calabria insieme alla madre e alla sorella appena maggiorenne, da dove la madre stessa era emigrata anni prima per cercare lavoro.
Anche qui (come nel film dei fratelli Dardenne, decisamente minore) si narra di una famiglia difficile, con l'assenza di un padre del quale non si ha alcuna notizia, una sorella dal carattere forte e un po' prepotente, ipercritica verso la sorella minore (la protagonista tredicenne Marta), una madre (Anita Caprioli, ottima) tenera e affettuosa ma un po' debole verso la figlia maggiore e verso le insidie che arrivano dall'esterno.
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Opera prima di Alice Rohrwacher (sorella della già affermata attrice Alba), questo film è una bella novità nel panorama autoriale italiano, presentato a Cannes in una categoria secondaria al concorso, e dove è stato giustamente molto apprezzato.
Il degrado del sud Italia è rappresentato con voce pacata ma spietata attraverso l'esperienza di una ragazzina cresciuta fino ai tredici anni in svizzera. La storia parte dal ritorno in Calabria insieme alla madre e alla sorella appena maggiorenne, da dove la madre stessa era emigrata anni prima per cercare lavoro.
Anche qui (come nel film dei fratelli Dardenne, decisamente minore) si narra di una famiglia difficile, con l'assenza di un padre del quale non si ha alcuna notizia, una sorella dal carattere forte e un po' prepotente, ipercritica verso la sorella minore (la protagonista tredicenne Marta), una madre (Anita Caprioli, ottima) tenera e affettuosa ma un po' debole verso la figlia maggiore e verso le insidie che arrivano dall'esterno. E le insidie sono striscianti ma opprimenti, lanciate da una società letteralmente disastrata, dominata dal bigottismo tipico e ancora molto diffuso della provincia del sud, dalla commistione più che mai evidente e corrosiva tra Chiesa e politica. C'è un parroco "corrotto" soprattutto intellettualmente più che materialmente (un grande Salvatore Cantalupo, il “sarto di Gomorra”) che antepone la propria carriera ecclesiastica alla missione religiosa, un vescovo ritratto più come un boss mafioso colluso con il politico locale di riferimento che come un pastore di anime, una serie di personaggi di contorno che hanno una concezione così arcaica della Fede e un'esistenza talmente vuota e priva di luce che farebbero desistere e fuggire lontano anche il più inguaribile ottimista, tra tutti la catechista Santa (Pasqualina Scuncia, alla sua prima, enorme interpretazione).
La storia è leggera, senza grandi colpi di scena, ma proprio questo logorio psicologico costante e opprimente che si respira e si subisce da ogni lato, è spesso quello più pericoloso per le menti pure, perchè sfibra le persone e le priva dell'antidoto più efficace contro l'ignoranza, la corruzione, la povertà, contro l'oppressione di decenni di degrado sociale che ancora oggi mettono in ginocchio il sud Italia e sono la vera palla al piede dell'Italia intera. Questo antidoto è la speranza, e viene sottratto fin dall'adolescenza, dall'età in cui l'esplosione della vita e della maturazione potrebbero preparare enormi frutti per la felicità futura degli individui e per il bene del Paese.
Invece pochi individui senza scrupoli, facendo leva sui tarli ben noti, smorzano sul nascere questa crescita, e creano danni veri già ai ragazzi ancora giovani e innocenti come la protagonista.
Ma non tutto è perduto, perchè c'è sempre qualcuno che non ci sta (o che il caso lascia al di fuori di questo meccanismo perverso), bisogna "soltanto" avere la fortuna di incontrarlo e riconoscerlo, anche quando all'apparenza sembra simile agli altri.
Sentiremo ancora parlare (e bene) di Alice Rohrwacher, che sfoggia una regia molto intimistica e scrutatrice, che con lunghi primi piani e macchine a mano segue la protagonista da vicino e ne indaga il senso di sconforto e di inadeguatezza verso un mondo che non è il suo. E sentiremo anche parlare (bene) della quattordicenne Yle Vianello, già capace, così giovane e inesperta, di un'interpretazione intensa, credibile e commovente come da tempo non se ne vedevano
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piscu
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lunedì 6 giugno 2011
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festeggiamo
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complimenti a tutti quelli che hanno lavorato a questo film! E' meravigliozo, è un piccolo gioiello! Complimenti vivissimi vi prego continuate così! Il coraggio e l'autonomia vanno festeggiati!
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franca d'angelo
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domenica 5 giugno 2011
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aiutiamoli a crescere!
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E' buona cosa incoraggiare i giovani, ma diseducativo illuderli di aver fatto un capolavoro.franca d'angelo
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miazitu
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venerdì 3 giugno 2011
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sopravvalutato
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Il film parte da un assunto interessante: una ragazzina, cresciuta in Svizzera, ritorna con la madre e la sorella a vivere in Calabria. Un corpo estraneo in un mondo lontanissimo, che non conosce. Un mondo che potrebbe dare infinite possibilità di racconto, un percorso di crescita e di scoperta che potrebbe portare ad orizzonti inaspettati. Ma la regista sceglie tutt'altra strada: quella di limitare quella di restringere quel mondo a uno solo, quello di una chiesa che rincorre modelli televisivi, corrotta e frustrata, dell'universo plebeo meschino e incattivito che gli gira intorno. Volgare ed ignorante, senza eccezioni e distinzioni. E sceglie anche di usare il presupposto - la bambina che arriva da lontano - in modo del tutto strumentale: è lei, la protagonista, l'oggetto estraneo attraverso cui guardare a questo mondo.
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Il film parte da un assunto interessante: una ragazzina, cresciuta in Svizzera, ritorna con la madre e la sorella a vivere in Calabria. Un corpo estraneo in un mondo lontanissimo, che non conosce. Un mondo che potrebbe dare infinite possibilità di racconto, un percorso di crescita e di scoperta che potrebbe portare ad orizzonti inaspettati. Ma la regista sceglie tutt'altra strada: quella di limitare quella di restringere quel mondo a uno solo, quello di una chiesa che rincorre modelli televisivi, corrotta e frustrata, dell'universo plebeo meschino e incattivito che gli gira intorno. Volgare ed ignorante, senza eccezioni e distinzioni. E sceglie anche di usare il presupposto - la bambina che arriva da lontano - in modo del tutto strumentale: è lei, la protagonista, l'oggetto estraneo attraverso cui guardare a questo mondo. Non che non ci siano spunti interessanti in Corpo Celeste, ma il problema è che il racconto si ferma qui. Batte sempre sullo stesso tasto, quello dello squallore, della crudeltà gratuita, della desertificazione culturale. E questa desertificazione è rappresentata, naturalmente, dalla religione (su certa critica fa sempre presa), dal sud (orrendo, sporco, devastato), e da una galleria di personaggi miserabili e volgari. Così le donne - nel caso non fosse abbastanza chiaro - sono strizzate in maglie leopardate e portano gioielli vistosi e di cattivo gusto, i preti intrallazzano con la politica, i bambini sono brutti, apatici e con delle pettinature improbabili. Tutti tranne la protagonista e sua madre - unico personaggio positivo - che, nonostante provenga da quel mondo, è invece vestita come si vestono le persone normali. Tutti questi personaggi meschini e insensibili hanno volti interessanti e sono ben diretti. Ma quello che delude è proprio la narrazione. E' un film che racconta una cosa sola, il punto della regista su questo mondo. Un punto di vista supponente e didascalico, dovuto in parte, probabilmente, alla giovane età, e in parte all'idea di raccontare un mondo che non si conosce attraverso uno sguardo velato dal pregiudizio. Che sul finale cerca la strada del film d'autore, inzeppando il film di simboli. Fin troppo facile, secondo me. Ma che ha mandato in visibilio certa critica. Sarà per quel provincialismo che, qui in Italia, fa sembrare qualsiasi cosa passata da Cannes un capolavoro.
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