Opera prima di Alice Rohrwacher (sorella della già affermata attrice Alba), questo film è una bella novità nel panorama autoriale italiano, presentato a Cannes in una categoria secondaria al concorso, e dove è stato giustamente molto apprezzato.
Il degrado del sud Italia è rappresentato con voce pacata ma spietata attraverso l'esperienza di una ragazzina cresciuta fino ai tredici anni in svizzera. La storia parte dal ritorno in Calabria insieme alla madre e alla sorella appena maggiorenne, da dove la madre stessa era emigrata anni prima per cercare lavoro.
Anche qui (come nel film dei fratelli Dardenne, decisamente minore) si narra di una famiglia difficile, con l'assenza di un padre del quale non si ha alcuna notizia, una sorella dal carattere forte e un po' prepotente, ipercritica verso la sorella minore (la protagonista tredicenne Marta), una madre (Anita Caprioli, ottima) tenera e affettuosa ma un po' debole verso la figlia maggiore e verso le insidie che arrivano dall'esterno. E le insidie sono striscianti ma opprimenti, lanciate da una società letteralmente disastrata, dominata dal bigottismo tipico e ancora molto diffuso della provincia del sud, dalla commistione più che mai evidente e corrosiva tra Chiesa e politica. C'è un parroco "corrotto" soprattutto intellettualmente più che materialmente (un grande Salvatore Cantalupo, il “sarto di Gomorra”) che antepone la propria carriera ecclesiastica alla missione religiosa, un vescovo ritratto più come un boss mafioso colluso con il politico locale di riferimento che come un pastore di anime, una serie di personaggi di contorno che hanno una concezione così arcaica della Fede e un'esistenza talmente vuota e priva di luce che farebbero desistere e fuggire lontano anche il più inguaribile ottimista, tra tutti la catechista Santa (Pasqualina Scuncia, alla sua prima, enorme interpretazione).
La storia è leggera, senza grandi colpi di scena, ma proprio questo logorio psicologico costante e opprimente che si respira e si subisce da ogni lato, è spesso quello più pericoloso per le menti pure, perchè sfibra le persone e le priva dell'antidoto più efficace contro l'ignoranza, la corruzione, la povertà, contro l'oppressione di decenni di degrado sociale che ancora oggi mettono in ginocchio il sud Italia e sono la vera palla al piede dell'Italia intera. Questo antidoto è la speranza, e viene sottratto fin dall'adolescenza, dall'età in cui l'esplosione della vita e della maturazione potrebbero preparare enormi frutti per la felicità futura degli individui e per il bene del Paese.
Invece pochi individui senza scrupoli, facendo leva sui tarli ben noti, smorzano sul nascere questa crescita, e creano danni veri già ai ragazzi ancora giovani e innocenti come la protagonista.
Ma non tutto è perduto, perchè c'è sempre qualcuno che non ci sta (o che il caso lascia al di fuori di questo meccanismo perverso), bisogna "soltanto" avere la fortuna di incontrarlo e riconoscerlo, anche quando all'apparenza sembra simile agli altri.
Sentiremo ancora parlare (e bene) di Alice Rohrwacher, che sfoggia una regia molto intimistica e scrutatrice, che con lunghi primi piani e macchine a mano segue la protagonista da vicino e ne indaga il senso di sconforto e di inadeguatezza verso un mondo che non è il suo. E sentiremo anche parlare (bene) della quattordicenne Yle Vianello, già capace, così giovane e inesperta, di un'interpretazione intensa, credibile e commovente come da tempo non se ne vedevano
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