pietro viola
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mercoledì 10 novembre 2010
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forza e fede
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Grande film. Grande emozione, che cresce piano dai toni descrittivi della prima parte ai toni altrettanto descrittivi, ma su più livelli, della seconda. Magistrale l'unica scena con accompagnamento musicale, anch'esso contestuale, con la macchina da presa che ci mostra i primi piani intensissimi dei frati, in cui si intravvede un realismo translucido alla Dreyer. Le facce si muovono sincrone con l'andamento del brano, mostrando tutte le sfumature delle emozioni umane, la gioia dello stare insieme, l'allegria della novità, la serenità della condivisione, il turbamento su ciò che è già accaduto, la paura del dolore e della morte, l'accettazione del futuro imminete come scelta inderogabile, la serenità di un atto non di eroismo ma di coerenza.
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Grande film. Grande emozione, che cresce piano dai toni descrittivi della prima parte ai toni altrettanto descrittivi, ma su più livelli, della seconda. Magistrale l'unica scena con accompagnamento musicale, anch'esso contestuale, con la macchina da presa che ci mostra i primi piani intensissimi dei frati, in cui si intravvede un realismo translucido alla Dreyer. Le facce si muovono sincrone con l'andamento del brano, mostrando tutte le sfumature delle emozioni umane, la gioia dello stare insieme, l'allegria della novità, la serenità della condivisione, il turbamento su ciò che è già accaduto, la paura del dolore e della morte, l'accettazione del futuro imminete come scelta inderogabile, la serenità di un atto non di eroismo ma di coerenza.
Possano gli Dèi mandarci altri film così.
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desgi
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domenica 28 novembre 2010
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potenza dello spirito
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Xavier Beauvois racconta il sacrificio eroico di sette missionari cistercensi francesi in Algeria, vittime nel 1996 del terrorismo fondamentalista, e lo fa con grande senso della misura, senza concedere nulla alla retorica. Il film possiede infatti il rigore della vita monastica, la sceneggiatura è spoglia, essenziale, mai sovrabbondante, così come i dialoghi. Quello dei monaci è un percorso già segnato; ciò nonostante, pur con qualche umana esitazione, il loro cammino prosegue coerente sino alle estreme conseguenze. La loro forza morale si solidifica nell’esperienza vissuta, che si trasforma in un prolungato esercizio spirituale. La vita terrena è sacrificata, ma non c’è alcun autocompiacimento in questa scelta: non inseguono e non subiscono, infatti, il fascino del martirio, intendono solo affermare idealmente se stessi come spiriti liberi.
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Xavier Beauvois racconta il sacrificio eroico di sette missionari cistercensi francesi in Algeria, vittime nel 1996 del terrorismo fondamentalista, e lo fa con grande senso della misura, senza concedere nulla alla retorica. Il film possiede infatti il rigore della vita monastica, la sceneggiatura è spoglia, essenziale, mai sovrabbondante, così come i dialoghi. Quello dei monaci è un percorso già segnato; ciò nonostante, pur con qualche umana esitazione, il loro cammino prosegue coerente sino alle estreme conseguenze. La loro forza morale si solidifica nell’esperienza vissuta, che si trasforma in un prolungato esercizio spirituale. La vita terrena è sacrificata, ma non c’è alcun autocompiacimento in questa scelta: non inseguono e non subiscono, infatti, il fascino del martirio, intendono solo affermare idealmente se stessi come spiriti liberi. Per questo il loro esempio esula dall’ambito religioso, entro il quale pure matura, ma si rivolge trasversalmente a tutti gli uomini perché ciò che esprime è la necessità di affermare il valore della dignità dell’uomo e riconduce al sentimento universale della solidarietà umana. E’ questa la loro vera forza, la libertà morale dello spirito, la potenza connaturata a ciascun uomo che sta alla coscienza di ognuno preservare dalla sottomissione.
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daniele d'antoni
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domenica 21 novembre 2010
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vita da uomini di dio
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Un piccolo gruppo di frati vive in un antico monastero in un paese dell’Algeria, perfettamente integrato con la popolazione musulmana del luogo. La tranquillità e la regolarità della vita quotidiana vengono interrotte non appena all’orizzonte inizia a profilarsi la minaccia rappresentata dal terrorismo islamico. In breve tempo, i frati dovranno affrontare tale minaccia, e scegliere se tornare nella loro patria, la Francia, abbandonando la loro missione, oppure rimanere e rischiare di morire.
Il film (del regista – attore Xavier Beauvois) ,che racconta una storia vera (avvenuta tra il Natale del 1995 e la primavera del 1996), non trasmette mai l’intenzione di voler esporre una successione degli eventi fine a se stessa, né di voler fare alcun tipo di denuncia sociale o politica (non viene mai citato l’anno, né il luogo di ambientazione, e se capiamo che si tratta dell’Algeria, lo dobbiamo al fatto che per un attimo viene inquadrata la bandiera Algerina, e il nome della capitale compare nell’intestazione di una lettera); tutt’al più si è spinti a fare le proprie riflessioni, osservando la vita quotidiana di un gruppo “qualsiasi” di frati.
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Un piccolo gruppo di frati vive in un antico monastero in un paese dell’Algeria, perfettamente integrato con la popolazione musulmana del luogo. La tranquillità e la regolarità della vita quotidiana vengono interrotte non appena all’orizzonte inizia a profilarsi la minaccia rappresentata dal terrorismo islamico. In breve tempo, i frati dovranno affrontare tale minaccia, e scegliere se tornare nella loro patria, la Francia, abbandonando la loro missione, oppure rimanere e rischiare di morire.
Il film (del regista – attore Xavier Beauvois) ,che racconta una storia vera (avvenuta tra il Natale del 1995 e la primavera del 1996), non trasmette mai l’intenzione di voler esporre una successione degli eventi fine a se stessa, né di voler fare alcun tipo di denuncia sociale o politica (non viene mai citato l’anno, né il luogo di ambientazione, e se capiamo che si tratta dell’Algeria, lo dobbiamo al fatto che per un attimo viene inquadrata la bandiera Algerina, e il nome della capitale compare nell’intestazione di una lettera); tutt’al più si è spinti a fare le proprie riflessioni, osservando la vita quotidiana di un gruppo “qualsiasi” di frati. Una vita dal ritmo cadenzato, lento, che noi impariamo a conoscere poco alla volta, attraverso tutte le abitudini umane e le atmosfere naturali che scandiscono le ore nel corso del giorno. Entriamo nella vita dei frati di soppiatto, come ospiti (per i primi cinque minuti non li vediamo neanche in faccia), protagonisti e uomini di Dio, la cui parola viene vissuta in modo pieno e concreto, attraverso situazioni reali da affrontare ogni giorno, affidandosi a un canto di preghiera che aiuti a trovare la via migliore, l’atteggiamento giusto da mantenere. Poi, sempre un po’ alla volta, entriamo nel particolare, nei problemi di ognuno, nelle sofferenze fisiche di frate Luc (un bravissimo Michael Lonsdale che già aveva vestito i panni del frate in “Il processo” e “Il nome della rosa”) e in quelle morali causate dalla paura e dall’insicurezza di frate Christophe (l’eccezionale Olivier Rabourdin, visto di recente nel bellissimo “Welcome”), nelle debolezze e nella fragilità di padre Amédéé (il tenero Jacques Herlin, che in Italia ha affiancato tra gli altri Totò, Gassman, Tognazzi, Mastroianni) nelle responsabilità di Christaian (un eccezionale Lambert Wilson, Il “Merovingio” di “Matrix Reloaded”); ma anche nelle difficoltà di tutti, ché se qualcosa come un dilemma (partire o restare?) li separa, è più giusto affrontarlo e risolverlo insieme; e se diventa impossibile riuscire a sentire la voce di Dio, perché le difficoltà e la paura sono troppe, ci si siede insieme e si ascolta Chaikovsky, perché nella bellezza della musica risiede la bellezza del creato.
Uomini di Dio sono i frati, ma anche i terroristi, dipinti come uomini smarriti, più che come assassini; uomini di Dio siamo noi, mondo, in cui risiede la speranza di poter convivere pacificamente, popoli e religioni, e veniamo pregati come se fossimo noi stessi Dio (all’inizio del film un’inquadratura riprende i frati da dietro rivolti verso il crocifisso, alla fine del film l’inquadratura è posta dal punto di vista del crocifisso stesso): sono frequenti le proposte di riflessione e diaogo (perché i terroristi “fanno quello che fanno”?; la cartina del mondo solidale appesa dietro il tavolo delle riunioni).
Uomini di Dio è un film molto bello, intenso e che indaga a fondo tutti gli aspetti della vita degli Uomini di Dio, santi o uomini comuni che siano.
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nalipa
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mercoledì 24 novembre 2010
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"non temo la morte, sono un uomo libero"
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1996, nel corso del conflitto tra lo Stato d'Algeria e il Gruppo Islamico Armato (GIA), sette monaci trappisti del monastero di Tibhirine, sulle montagne dell'Atlante, furono rapiti da un gruppo di fontamentalisti armati. Dopo due mesi vennero ritrovate le teste dei sette religiosi.
Il giornalista americano John Kiser nel 2009 grazie ad un suo reportage é artefice della riapertura dell'inchiesta.
Il film mette in chiaro i fatti e sottolinea la fermezza con la quale i sette frati non trattano la propria fede e la propria libertà perché profondamenti convinti e consapevoli che quello é il loro posto nel mondo.
Impressionante!
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omero sala
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lunedì 29 novembre 2010
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ora et labora
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Il piccolo convento sperduto fra le montagne dell’Atlante algerino non è l’avamposto militare di un manipolo di missionari dediti al proselitismo e non è nemmeno la fortezza Bastiani del “Deserto dei Tartari” di Buzzati dalla quale si scruta l’orizzonte in attesa dell’orda di barbari che deve arrivare, ma è un’isola serena abitata da una piccola comunità di frati, un porto di quiete a cui approdano da tutti i villaggi della zona coloro che hanno bisogno di essere curati o confortati, di ricevere in dono un consiglio o un paio di scarpe.
La giornata dei monaci è scandita dalla preghiera e dal lavoro (ora et labora, appunto) ed il clima che si respira ci dice che la preghiera ed il lavoro sono l’intreccio sostanziale di una scelta esistenziale, l’ordito e la trama che tengono insieme la comunità, le basi complementari di un’armonia mentale che si esprime in una tangibile vocazione alla umana solidarietà.
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Il piccolo convento sperduto fra le montagne dell’Atlante algerino non è l’avamposto militare di un manipolo di missionari dediti al proselitismo e non è nemmeno la fortezza Bastiani del “Deserto dei Tartari” di Buzzati dalla quale si scruta l’orizzonte in attesa dell’orda di barbari che deve arrivare, ma è un’isola serena abitata da una piccola comunità di frati, un porto di quiete a cui approdano da tutti i villaggi della zona coloro che hanno bisogno di essere curati o confortati, di ricevere in dono un consiglio o un paio di scarpe.
La giornata dei monaci è scandita dalla preghiera e dal lavoro (ora et labora, appunto) ed il clima che si respira ci dice che la preghiera ed il lavoro sono l’intreccio sostanziale di una scelta esistenziale, l’ordito e la trama che tengono insieme la comunità, le basi complementari di un’armonia mentale che si esprime in una tangibile vocazione alla umana solidarietà.
Quando la violenza di un gruppo di integralisti islamici si profila all’orizzonte, feroce e concreta, i frati vivono un attimo di smarrimento e di paura: ma i dubbi presto si ricompongono, rivelando la compattezza della comunità e la profonda maturità dei singoli. La paura permane, ma la certezza di essere in pericolo non impedisce ai frati di decidere - sia pure dopo molte titubanze - che non fuggiranno, non appronteranno difese né accetteranno la protezione dell’esercito, forti della loro sublime neutralità e del loro spirito di carità; e nemmeno si separeranno fra loro, legati da un senso di appartenenza che li tiene insieme al di sopra delle diversità individuali (simul stabunt, simul cadent); e soprattutto non abbandoneranno la popolazione che su di loro fa affidamento (“come uccelli sui rami”).
Affronteranno con serenità i rischi che accompagnano la scelta di restare, senza dare alla loro decisione l’enfasi isterica dei vocati al martirio. E spariranno in una notte gelida, nel silenzio delle montagne innevate.
Da punto di vista formale e stilistico, i pregi del film sono l’austerità, la sobrietà, il minimalismo misurato che si esprime con inquadrature lente, movimenti di macchina morbidi, sequenze lunghe, montaggio e ritmo pacati, pause e rallentamenti.
La penombra invade le scene girate nel convento, in contrasto con la luminosità degli esterni (campi, montagne, mercato, villaggio).
Lo sfondo sonoro è prevalentemente costituito dai canti gregoriani e religiosi.
I dialoghi sono essenziali, tesi, densi. I silenzi sono intensamente significativi.
L’opzione registica risulta nel complesso coerente con la pacata scelta dei frati di operare nella quotidianità con moderazione, di andare incontro alla sorte con lucida serenità, di perseverare nella benevolenza anche davanti alla ferocia del fanatismo fondamentalista.
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filippo catani
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sabato 9 marzo 2013
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un film che tocca il cuore di credenti e non
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All'interno di una fiorente comunità mussulmana da decine di anni si trova un convento di monaci cistercensi. Gli otto membri della congregazione vivono dei prodotti della loro terra che vendono al mercato e si sono ormai integrati perfettamente con la popolazione tanto da essere invitati anche ai loro riti e uno dei monaci e un dottore a cui si rivolgono tutte le donne del villaggio. Questo idilio sarà rovinato dall'arrivo di un gruppo di terroristi che inizieranno a mietere diverse vittime. I monaci quindi si troveranno davanti a un bivio: restare o andarsene? Da una storia vera.
"Io ho detto voi siete dèi siete tutti figli dell'Altissimo ma certo morirete come ogni uomo".
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All'interno di una fiorente comunità mussulmana da decine di anni si trova un convento di monaci cistercensi. Gli otto membri della congregazione vivono dei prodotti della loro terra che vendono al mercato e si sono ormai integrati perfettamente con la popolazione tanto da essere invitati anche ai loro riti e uno dei monaci e un dottore a cui si rivolgono tutte le donne del villaggio. Questo idilio sarà rovinato dall'arrivo di un gruppo di terroristi che inizieranno a mietere diverse vittime. I monaci quindi si troveranno davanti a un bivio: restare o andarsene? Da una storia vera.
"Io ho detto voi siete dèi siete tutti figli dell'Altissimo ma certo morirete come ogni uomo". E' con questa parte del salmo 81 che si apre questo toccante film e che diciamo servirà allo spettatore come bussola e guida lungo tutto il dipanarsi della trama. Questo perchè anche coloro che sono chiamati da Dio a diventare suoi primi servitori prima di essere uomini di Dio sono soprattutto uomini. Come tali quindi hanno le fragilità di tutti gli esseri umani e prima di tutte la paura. Infatti, come viene sottolineato in più di un'occasione, non si deve certo cercare il martirio a ogni costo. Certo il film ci interroga e ci mostra come le fedi possano tranquillamente vivere tra loro a meno che non sfocino in terribili estremismi (molto bello e non casuale il pensiero di Pascal citato da uno dei monaci su quanto venga usata facilmente la violenza quando si parla di religione). E poi ci sono loro i monaci ormai parte integrante della comunità che devono decidere se lasciarla o restare e per fare questo oltre alle discussioni gli uomini si ritirano nella preghiera, nella riflessione e nei bellissimi canti che intonanto durante la Messa. E' bella la storia, sono straordinari gli interpreti e c'è un'ottima colonna sonora e una sapiente regia. Ecco questo film è consigliato al più vasto pubblico possibile che sia credente o meno perchè riflette su tanti temi e soprattutto ci interroga sul grande tema della testimonianza della propria fede. Certo forse in una Chiesa dilaniata da tanti scandali farebbe davvero bene ritrovare lo spirito delle origini con la vita che questi piccoli monaci conducevano ogni giorno lontani da trama e consorterie di ogni genere vivendo la loro fede in modo genuino e con la massima apertura verso il prossimo. Un film commovente e da vedere assolutamente.
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protus74
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martedì 15 marzo 2011
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dio ha fede nell'uomo?
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Nell'esperienza di cinema, la sala, il pubblico e l'uscita serale dal tepore domestico non è estranea alla visione della pellicola. Personalmente, preferisco le proiezioni tarde, possibilmente al terzo spettacolo (sempre più rare), un po' per l'insofferenza di fare la coda alla biglietteria, un po' per la "trance" dopo visione che mi coglie all'uscita, quel particolare stato di veglia che mi permette di vivere interiormente il ricordo della pellicola appena vista. La serata trascorsa in occasione del film di Beauvois ha confermato quest'attitudine solipsistica alla visone di un film. In maniera inattesa, la sala era gremita ed il pubblico rumoreggiava sommessamente durante certe fasi iniziali del film.
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Nell'esperienza di cinema, la sala, il pubblico e l'uscita serale dal tepore domestico non è estranea alla visione della pellicola. Personalmente, preferisco le proiezioni tarde, possibilmente al terzo spettacolo (sempre più rare), un po' per l'insofferenza di fare la coda alla biglietteria, un po' per la "trance" dopo visione che mi coglie all'uscita, quel particolare stato di veglia che mi permette di vivere interiormente il ricordo della pellicola appena vista. La serata trascorsa in occasione del film di Beauvois ha confermato quest'attitudine solipsistica alla visone di un film. In maniera inattesa, la sala era gremita ed il pubblico rumoreggiava sommessamente durante certe fasi iniziali del film. Poi, un silenzio meditativo è calato, silenzio che ciha accompagnato ben oltre l'uscita, denso di echi monodici dei canti dei frati trappisti, il silenzio del rispetto nei confronti di chi ancora oggi testimonia la propria scelta umana di essere un passo oltre l'umanità nella direzione della fede.
Al di là del tragico fatto di cronaca, è infatti la fede, a mio avviso, l'elemento principe di questo film, sospeso nella quotidianità semplice e lineare di una piccola comunità di frati francesi in Algeria, che condividono il loro presente con la comunità locale ed i rapporti collegiali tra le diverse personalità del loro piccolo gruppo. Nel silenzio del limite del deserto, tra canti appassionati di salmi, dialoghi intensi e delicati e monologhi interiori, Beauvois riesce a vincere la scommessa di non cadere in un'apologetica definizione di sacro, ma costruisce con abilità e finezza un percorso di discernimento di coerenza e senso, all'interno di una vicenda torbida e umana. Senza effeti speciali, senza scene d'azione, senza attori gettonati dallo star system, questo film cesella in rilievo su un presente rumoroso di estremismi, la posizione silenziosa di una parte di umanità che riesce ancora a credere che c'è un valore nel dono della vocazione ed è inquieta nella tensione alla coerenza con i propri principi. Ed allora il silenzio della sala cinematografica fa da contrappunto ai dialoghi cantati - parte integrante della sceneggiatura di Beauvois, sottolineando il rapporto intenso tra la fratellanza degli uomini e la parola vissuta di dio o degli dei, come sottolineato dal titolo originale.
Al di là del film in sè stesso, mi ha fatto riflettere il mutamento del pubblico in sala, da apparentemente sospettoso a silenzioso e meditativo. Al di là delle note critiche sulla tessitura tecnica del prodotto finale, penso che Xavier Beauvois abbia centrato in pieno l'obbiettivo di rendere memoria di una realtà da secoli presente nella nostra società, lontana spesso dai riflettori, ma sempre presente nel tessuto delle realtà povere: l'esperienza del religioso.
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francesco2
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mercoledì 11 aprile 2012
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la strada
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Le strade di questo film, a tratti, ricordano quelle kiarostamiane. Le macchine che, progressivamente, si allontanano diventano sempre più piccole, come quelle del poco riuscito "Il vento ci porterà via". Anche quello in fondo era un film che, nelle intenzioni, raccontava il travaglio di un uomo. Anche Padre Christian, in una scena, così vicino agli ltri monaci ma anche alla missione che ha scelto, appare -Cito Wenders-...così lontano, dato c e la macchina da presa lo ritrae mentre si allontana da noi sempre di più.
Qui si sovrappongono un itinerario spirituale ed etico, legato all'immanenza ed alla trascendenza: il senso del dovere nei confronti di una missione, da un lato, e la paura di soccombere, dall'altro.
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Le strade di questo film, a tratti, ricordano quelle kiarostamiane. Le macchine che, progressivamente, si allontanano diventano sempre più piccole, come quelle del poco riuscito "Il vento ci porterà via". Anche quello in fondo era un film che, nelle intenzioni, raccontava il travaglio di un uomo. Anche Padre Christian, in una scena, così vicino agli ltri monaci ma anche alla missione che ha scelto, appare -Cito Wenders-...così lontano, dato c e la macchina da presa lo ritrae mentre si allontana da noi sempre di più.
Qui si sovrappongono un itinerario spirituale ed etico, legato all'immanenza ed alla trascendenza: il senso del dovere nei confronti di una missione, da un lato, e la paura di soccombere, dall'altro. In questo senso funzionano bene, oltre alle citate immagini, certi primi piani -Volutamente- quasi in puro bianco e nero, che (con)fondono i monaci come gruppo, ovvero Corpo di Cristo e della chiesa: didascaliche, secondo chi scrive, appaiono invece troppo spesso le preghiere, siano esse di gruppo o individuali.
Se incide maggiormente rispetto al "Grande silenzio", anche "Uomini di DIo" , per ritrarre la spiritualità, si prde in una pace spirituale più evocativa che profonda; il macchiettismo d i certi monaci , nonché (Credo) situazioni come l'improvviso rispetto dei terroristi, contribuiscono ad accentuare questi difetti.
Film comunque godibile, in varie situazioni propriamente interessante.
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theophilus
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lunedì 10 febbraio 2014
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la vita è una sola
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DES HOMMES ET DES DIEUX
Des hommes et des Dieux, film che ha profondamente colpito pubblico e critica all’ultimo festival di Cannes, è la narrazione di avvenimenti storici verificatisi in Algeria nel 1996, durante la cruda guerra civile.
Alcuni frati trappisti vivono all’interno del monastero di Tibéhirine, ma non in isolamento claustrale, bensì tesi ad accomunare in spirito la fede cristiana e quella islamica. La loro presenza in quei territori ha, però, anche una rilevante funzione sociale. In special modo quella di Luc, il frate medico, impersonato da Michael Lonsdale, che si prende cura dei numerosi malati della comunità.
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DES HOMMES ET DES DIEUX
Des hommes et des Dieux, film che ha profondamente colpito pubblico e critica all’ultimo festival di Cannes, è la narrazione di avvenimenti storici verificatisi in Algeria nel 1996, durante la cruda guerra civile.
Alcuni frati trappisti vivono all’interno del monastero di Tibéhirine, ma non in isolamento claustrale, bensì tesi ad accomunare in spirito la fede cristiana e quella islamica. La loro presenza in quei territori ha, però, anche una rilevante funzione sociale. In special modo quella di Luc, il frate medico, impersonato da Michael Lonsdale, che si prende cura dei numerosi malati della comunità. Questa duplice realtà d’integrazione riceve uno scossone quando, nell’ottobre del 1994, il Gia impone a tutti gli stranieri di andarsene. La sofferta, ma comune decisione dei frati di restare, porta un anno e mezzo più tardi al loro eccidio da parte del gruppo terrorista.
Questo epilogo non è storicamente del tutto comprovato, dato che, durante il processo che scaturì dalla vicenda, risultò che la strage potrebbe essere stata opera, forse involontaria, dell’esercito algerino. Il regista Xavier Beauvois non ha inteso, però, fare un film inchiesta per appurare responsabilità non chiarite. Il respiro di Uomini di Dio è un altro. È il tema della lacerazione interiore ad imporsi, trattato in modo forse prima umano che religioso dal cineasta francese.
I frati appaiono disorientati dalle minacce. Se alla fine anche gl’indecisi decidono di restare, sembra che ciò avvenga per una forma di solidarietà, per la forza conferita dal loro stare tutti assieme, per un’incapacità di vivere un’altra vita e anche per paura di essere tacciati di viltà più che per questioni di fede. Queste non verrebbero necessariamente tradite dalla loro partenza. Il film ondeggia fra le ragioni degli uomini e quelle degli Dei. Luc è profondamente umano quando riferisce ad un compagno di non avere capito nulla – e poco gl’importa – delle motivazioni teologiche che il priore Christian (Lambert Wilson) ha addotto per convincere tutti a non piegarsi al volere dei terroristi. Ancora Luc, nella scena forse più toccante del film, si affida all’uomo e non a Dio quando propone ai suoi confratelli l’ascolto della musica profana del Ciaikovski del “Lago dei cigni”. È l’ultima scena conviviale e la cinepresa penetra il dramma di ognuno di loro, soffermandosi a lungo su volti segnati da una speranza mista a paura e sofferenza, ben coadiuvate dalle note del musicista russo.
Il quasi automatico raffronto con Die große stille, il documentario diretto nel 2005 da Philip Gröning, sembra imposto dalla traduzione italiana del titolo che – come tanti hanno fatto notare - tradisce il dramma del film a favore di una concezione religiosa univoca, estranea al senso di Des hommes et des Dieux e che invece permea coerentemente di sé il film del regista tedesco.
Enzo Vignoli
28 novembre 2010.
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chaoki21
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lunedì 9 aprile 2012
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dio è il padre di tutti!
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Bellissimo film sugli anni in cui il FIS in Algeria ha seminato morte, massacrando la popolazione di interi villaggi. Di una forza straordinaria il messaggio del priore del convento. Meravigliosi i momenti intimi dei padri del convento che rimettono in gioco la loro vovazione. Meravigliosi i cammei dei padri, ognuno diverso dall'altro ma, alla fine, tutti uniti. Il rapporto che i padri hanno con la gente del villaggio berbero dovrebbero essere un insegnamento per tutti.
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