aesse
|
venerdì 5 novembre 2010
|
il destino maiuscolo
|
|
|
|
Ben meritata davvero la Palma d’Oro per questo film del francese Beauvois: riuscire a mantenere un alto tasso di partecipazione emotiva, direi di fiato sospeso sino dalla prima scena del film “ Uomini di Dio”, libera interpretazione dell’originale “ Des hommes et des Dieux” ben più pertinente, non è affatto un’operazione scontata . Nonostante infatti la minaccia bucolica con tanto di pace agreste che il verde solatio della vegetazione antica del pascolo nei pressi del quale sorge il monastero Atlante dei monaci trappisti della nostra storia, nel film c’è una costante tensione drammatica: ogni atto anche il più quotidiano e semplice ci appare come ultimo e quindi testamentario. Tale risultato, come detto non certo scontato, non si appoggia sul fatto che la storia narrata è ispirata da fatti realmente accaduti, recenti e anche se la storia di oggi è caratterizzata da fretta archiviatoria indimenticabili, tanto da pensare che la conoscenza del drammatico finale condizioni fino dalla prima scena lo stato d’animo dello spettatore, dato che, sempre così non è.
[+]
Ben meritata davvero la Palma d’Oro per questo film del francese Beauvois: riuscire a mantenere un alto tasso di partecipazione emotiva, direi di fiato sospeso sino dalla prima scena del film “ Uomini di Dio”, libera interpretazione dell’originale “ Des hommes et des Dieux” ben più pertinente, non è affatto un’operazione scontata . Nonostante infatti la minaccia bucolica con tanto di pace agreste che il verde solatio della vegetazione antica del pascolo nei pressi del quale sorge il monastero Atlante dei monaci trappisti della nostra storia, nel film c’è una costante tensione drammatica: ogni atto anche il più quotidiano e semplice ci appare come ultimo e quindi testamentario. Tale risultato, come detto non certo scontato, non si appoggia sul fatto che la storia narrata è ispirata da fatti realmente accaduti, recenti e anche se la storia di oggi è caratterizzata da fretta archiviatoria indimenticabili, tanto da pensare che la conoscenza del drammatico finale condizioni fino dalla prima scena lo stato d’animo dello spettatore, dato che, sempre così non è. Non è raro, infatti, trovarsi per quanto riguarda altre narrazioni cinematografiche, a trepidare per un finale che non può essere diverso da quello che essendo vero tutti conosciamo. Piuttosto, e questa è la mia lettura, si tratta dell’adempimento di un destino che non si impone e che ognuno dei frati protagonisti della storia definisce in maniera consapevole ed autonoma, per quanto personale. Ogni scelta poi porta a quella successiva che la contempla e la prosegue attraverso il passaggio catartico dei loro canti corali che, come “ cartasuga”, asciugano l’inchiostro delle parole fissandolo nel tempo fino all’atto finale della scelta condivisa e definitiva suggellata con due bottiglie di vino delle grandi occasioni e l’ascolto del “ Il lago dei cigni” di Cajkovskij con gli ovvi riferimenti simbolici che ognuno di noi saprà trovare… Ed è un destino maiuscolo quello dei nostri protagonisti, sia che la decisione di rimanere fino all’esito finale nonostante il pericolo incombente dell’integralismo religioso che minaccia la loro esistenza e quella della comunità pacificata che al loro monastero fa riferimento, sia del primo momento o combattuta come nel caso di chi, dopo travagli e tormenti si decide per la coniugazione virtuosa del suo amore terreno, forse omosessuale, con quello di Dio. E’ fedeltà al destino anche quella di chi sopravvive per mantenere fede all’aspettativa vaticinante che riguarda la lunghezza della sua vita:“… ci seppellirai tutti…” del vecchio Amèdèe. Destino che si coniuga in un modo e nel contrario di esso: rispettarlo può volere dire stare così come andare, si tratta di intenderlo, non c’è regola. Così come il destino di questo film era quello di raccontare una vicenda di atrocità senza incorrere nel pericolo di dividere ed accusare, glissando sulle immagini più cruente e preferendo indugiare sul corpo di un Cristo forse caravaggesco di fronte al quale sentirsi tutti fratelli come la voce recitante del capo convento invita a fare: destino compiuto.
ANTONELLA SENSI
[-]
|
|
[+] lascia un commento a aesse »
[ - ] lascia un commento a aesse »
|
|
d'accordo? |
|
scrigno magico
|
giovedì 8 settembre 2016
|
un'occasione persa
|
|
|
|
Difficile commentare questo film. Visto il premio a Cannes mi aspettavo un buon lavoro, ed è effettivamente un film impegnato, tra l'altro ispirato a veri accadimenti, ma se parlassimo di tv direi di qualcosa che non ha "bucato il video". Non lo so, il ritmo è davvero troppo lento, quasi estenuante. La litanìa delle preghiere ripetute ossessivamente non aggiunge profondità alla narrazione. Qualcuno potrebbe dire che è voluto per rendere meglio i tempi e l'atmosfera dei frati del convento, ma sinceramente no, la regia e la sceneggiatura potevano sicuramente arricchire e dare più mordente a una trama sì drammatica, ma mai sviluppata in maniera avvincente, e la compartecipazione alle vicende degli ecclesiastici non è però riuscita ad assurgere a livello di pathos empatico e coinvolgimento che si dovrebbero convenire a un tema così crudo e doloroso.
[+]
Difficile commentare questo film. Visto il premio a Cannes mi aspettavo un buon lavoro, ed è effettivamente un film impegnato, tra l'altro ispirato a veri accadimenti, ma se parlassimo di tv direi di qualcosa che non ha "bucato il video". Non lo so, il ritmo è davvero troppo lento, quasi estenuante. La litanìa delle preghiere ripetute ossessivamente non aggiunge profondità alla narrazione. Qualcuno potrebbe dire che è voluto per rendere meglio i tempi e l'atmosfera dei frati del convento, ma sinceramente no, la regia e la sceneggiatura potevano sicuramente arricchire e dare più mordente a una trama sì drammatica, ma mai sviluppata in maniera avvincente, e la compartecipazione alle vicende degli ecclesiastici non è però riuscita ad assurgere a livello di pathos empatico e coinvolgimento che si dovrebbero convenire a un tema così crudo e doloroso. Mi sa di incompiuta, non sono pentito di averlo visto ma proprio non riesco a dargli più di due stelle. Sopravvalutato.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a scrigno magico »
[ - ] lascia un commento a scrigno magico »
|
|
d'accordo? |
|
olgadik
|
giovedì 28 ottobre 2010
|
quando la fede diventa fanatismo
|
|
|
|
Il film secondo me è tutto nell’invito a meditare su come le fedi possano convivere nella pace e su come sia facile che l’amore per un dio possa mutarsi in odio per i seguaci di altri culti. Avvincente la storia che il regista imbastisce intorno a questo intento. Alcuni frati francesi hanno scelto di testimoniare la propria fede vivendo in un convento nei pressi di un villaggio musulmano nell’Atlante algerino. Qui essi curano i malati e partecipano anche alle cerimonie religiose e alle prediche dell’imam. La loro esistenza è semplice, fatta di piccole attività ripetute, di pasti, preghiere e canti in comune con qualche accenno di umane passioni (paure, gelosie, contraddizioni) di peso non trascurabile.
[+]
Il film secondo me è tutto nell’invito a meditare su come le fedi possano convivere nella pace e su come sia facile che l’amore per un dio possa mutarsi in odio per i seguaci di altri culti. Avvincente la storia che il regista imbastisce intorno a questo intento. Alcuni frati francesi hanno scelto di testimoniare la propria fede vivendo in un convento nei pressi di un villaggio musulmano nell’Atlante algerino. Qui essi curano i malati e partecipano anche alle cerimonie religiose e alle prediche dell’imam. La loro esistenza è semplice, fatta di piccole attività ripetute, di pasti, preghiere e canti in comune con qualche accenno di umane passioni (paure, gelosie, contraddizioni) di peso non trascurabile. Tutti i caratteri sono narrati con verità. Ma importante è il contesto in cui la storia si pone. Siamo nel 1966; l’Algeria vive uno scontro civile tra musulmani moderati e terroristi fanatici, che seminano violenza e sangue. Sotto il tiro del fanatismo cadranno sette anche dei nostri frati, decapitati. Doveroso un grazie all’autore per non aver cercato l’effetto facile con le immagini dell’esecuzione: i frati scompaiono dallo schermo piano piano, dissolvendosi nel chiarore notturno della neve insieme ai loro aguzzini. E qui entra protagonista anche il paesaggio incontaminato sia quando si mescolano i riflessi dorati delle terre e gli azzurri dell’acqua di un fiume sia quando le forme, ora dolci ora puntute della catena dell’Atlante, si innevano. Suggestive anche le immagini da da ultima cena stilizzata verso la fine del racconto, quando la sorte dei frati sta per compiersi. Niente artifici retorici, solo le teste di uomini diversi, vittime e carnefici, in primissimo piano.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a olgadik »
[ - ] lascia un commento a olgadik »
|
|
d'accordo? |
|
daniel84
|
domenica 28 novembre 2010
|
un potenziale inespresso
|
|
|
|
Un film con un potenziale inespresso. O meglio, non sfruttato. Ha l'abito di un reportage: lo spettatore è un semplice occhio , una presenza osservatrice senza critica, senza curiosità, senza arte. La pellicola si limita nel mostrare ciò che avviene all'interno di un convento di frati in una zona sempre più calda per quanto riguarda episodi di violenza e banditismo in genere. Il modo di raccontare, senza fronzoli, rende purtroppo il tutto un pò noioso. Di questo risentono anche le immagini, a parte qualche rara eccezione, spoglie e senza "occhio" per la composizione: le inquadrature non cercano quasi mai la bellezza, così come i dialoghi e buona parte degli avvenimenti.
[+]
Un film con un potenziale inespresso. O meglio, non sfruttato. Ha l'abito di un reportage: lo spettatore è un semplice occhio , una presenza osservatrice senza critica, senza curiosità, senza arte. La pellicola si limita nel mostrare ciò che avviene all'interno di un convento di frati in una zona sempre più calda per quanto riguarda episodi di violenza e banditismo in genere. Il modo di raccontare, senza fronzoli, rende purtroppo il tutto un pò noioso. Di questo risentono anche le immagini, a parte qualche rara eccezione, spoglie e senza "occhio" per la composizione: le inquadrature non cercano quasi mai la bellezza, così come i dialoghi e buona parte degli avvenimenti. La narrazione procede lenta e non coinvolge più di tanto. Poteva essere sviluppato tutto molto meglio.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a daniel84 »
[ - ] lascia un commento a daniel84 »
|
|
d'accordo? |
|
reservoir dogs
|
giovedì 20 gennaio 2011
|
dio, l'uomo e il libero arbitrio
|
|
|
|
Algeria 1996, un gruppo di monaci del monastero dell'Atlante vive modestamente, perfettamente inserita tra la popolazione algerina mussulmana grazie anche al monaco Luc (Lonsdale), dottore che cura gratuitamente i malati del paese; anello di congunzione tra cristianesimo e islamismo assieme a padre Cristian (Wilson) che intrattiene periodicamente conversazioni con la popolazione.
L'arrivo degli integralisti Algerini nel paese e al monastero porta agitazione e preoccupazione per il possibile sangue che verrà sparso e i monaci in un irruzione a natale al monastero riescono a sopravvivere grazie alla comunicativa e la conoscenza del Corano di padre Cristian, ma la visita non sarà l'ultima.
[+]
Algeria 1996, un gruppo di monaci del monastero dell'Atlante vive modestamente, perfettamente inserita tra la popolazione algerina mussulmana grazie anche al monaco Luc (Lonsdale), dottore che cura gratuitamente i malati del paese; anello di congunzione tra cristianesimo e islamismo assieme a padre Cristian (Wilson) che intrattiene periodicamente conversazioni con la popolazione.
L'arrivo degli integralisti Algerini nel paese e al monastero porta agitazione e preoccupazione per il possibile sangue che verrà sparso e i monaci in un irruzione a natale al monastero riescono a sopravvivere grazie alla comunicativa e la conoscenza del Corano di padre Cristian, ma la visita non sarà l'ultima.
In risposta ad Yasujiro Ozu che aveva l'abitudine di inserire scene di "quotidianità"(panni distesi ad asciugare, treni che passano) tra un sequenza e l'altra, il francese Xavier Beauvois inserisce a sua volta la quotidianità di 9 cistercensi attraverso i loro (bellissimi) canti in preghiera.
La morte viene trattata (e rappresentata) con estrema pudicità: è un passaggio dal regno degli uomini al regno di Dio in un paesaggio immerso nella nebbia.
Dio ha creato l'uomo legato al libero arbitrio e grazie ad esso l'uomo agisce di sua volontà nella speranza di operare secondo il volere di Dio sono quindi Uomini di Dio sia i monaci che i terroristi Algerini che agiscono in base al volere dei loro Dei.
Gli uomini però a differenza degli Dei inevitabilmente muoiono anche se operano in linea con essi.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a reservoir dogs »
[ - ] lascia un commento a reservoir dogs »
|
|
d'accordo? |
|
zozner
|
sabato 23 ottobre 2010
|
il calvario per trovare la propria appartenenza.
|
|
|
|
Il film apre su una cittadina di un non ben definito Paese arabo in un tempo difficile da definire. Li, su una terra rossa, sassosa e dura ma che regala squarci di un paesaggio che rapisce, ai piedi di una catene montuosa dove tutte le case, piatte e non finite inghiottono alla sera e sputano alla mattina una fiumana di persone che si ritrovano, come formiche a camminare veloci, ad incontrasi e separarsi di continuo ma senza mai allontanarsi dal nucleo centrale, li, un gruppo di monaci cattolici vive la sua esperienza umana e di fede.
Laboriosi, pregano e lavorano aiutando ognuno con le proprie possibilità, le persone che abitano attorno al convento. Il regista Xavier Beauvois, si sofferma a lungo e su diversi temi a dimostrare come sia voluta e cercata l’integrazione fra le diverse culture e svela che si tratta di monaci francesi rimasti in Algeria anche dopo la finita colonizzazione da parte della Francia.
[+]
Il film apre su una cittadina di un non ben definito Paese arabo in un tempo difficile da definire. Li, su una terra rossa, sassosa e dura ma che regala squarci di un paesaggio che rapisce, ai piedi di una catene montuosa dove tutte le case, piatte e non finite inghiottono alla sera e sputano alla mattina una fiumana di persone che si ritrovano, come formiche a camminare veloci, ad incontrasi e separarsi di continuo ma senza mai allontanarsi dal nucleo centrale, li, un gruppo di monaci cattolici vive la sua esperienza umana e di fede.
Laboriosi, pregano e lavorano aiutando ognuno con le proprie possibilità, le persone che abitano attorno al convento. Il regista Xavier Beauvois, si sofferma a lungo e su diversi temi a dimostrare come sia voluta e cercata l’integrazione fra le diverse culture e svela che si tratta di monaci francesi rimasti in Algeria anche dopo la finita colonizzazione da parte della Francia.
Tutto funziona ma, lo spettatore avverte, sente una situazione di atemporalità ed estraneità. Al susseguirsi un po’ lento e ripetitivo di una quotidianità laboriosa, fatta di preghiere e lavoro, la macchina da presa si stacca veloce quando potrebbero emergere la strutture psicologiche di quegli uomini che vivono una esperienza cos’ì essenzialmente separata dagli altri che li circondano e dal resto del mondo. C’è solo il quotidiano. Improvvisamente irrompe nella città e nel convento la violenza, il pericolo di morte e, rompe l’incantesimo.
Ogni monaco è costretto a fare i conti con se stesso, con la propria miseria, con la sua storia e a chiedersi se vuole veramente stare li o andarsene. La paura, diventa il crogiuolo dove purificano la loro scelta e si accorgono di come nonostante i voti, le azioni formali, le preghiere quotidiane, solo in quel momento possono veramente fare una scelta.
E’ sul tema della scelta che Beauvois centra il suo film. Cosa devono scegliere quei monaci? Di vivere o morire? No, si deve cercare di vivere fino all’ultimo, dice l’Abate, il martirio non è una scelta è la storia. Scegliere, suggerisce il regista, significa appartenere. E non è sufficiente stare decenni, lavorare, soffrire, donare, per appartenere a quel popolo, a quella terra a quella gente a quel luogo. In quella realtà di pericolo, quei monaci, nonostante tutta la loro buona volontà, si accorgono che hanno vissuto fino ad allora mentalmente, in uno spazio senza storia. Non ricordano neanche chi fossero i padri che li avevano preceduto nel convento, non sanno ancora se sono uccelli che volano via o alberi impiantati per terra.
Il calvario, la morte, da loro la possibilità di incarnarsi, di sentirsi veramente, parte di...
[-]
|
|
[+] lascia un commento a zozner »
[ - ] lascia un commento a zozner »
|
|
d'accordo? |
|
toro sgualcito
|
lunedì 15 novembre 2010
|
un po' di engagement non fa primavera
|
|
|
|
Il film è stato premiato a Cannes e poi dal box office segno che anche il pubblico ha risposto bene. La critica mi pare pressoché unanime nel lodarlo eppure… eppure in questo film qualcosa non funziona così bene come invece il grande consenso potrebbe far intendere. La lentezza in alcuni punti può essere legittimata dalla giusta ricerca di riprodurre momenti della vita in un monastero ma c’è modo e modo di farlo. Quello scelto da X. Beauvois mi sembra il modo più semplicistico e disarmonico. Solo come alternativa, si possono confrontare dei frammenti di scene de Il grande silenzio di P. Groning per vedere con quanta naturalezza ma anche intensità si possono rappresentare momenti di vita monastica.
[+]
Il film è stato premiato a Cannes e poi dal box office segno che anche il pubblico ha risposto bene. La critica mi pare pressoché unanime nel lodarlo eppure… eppure in questo film qualcosa non funziona così bene come invece il grande consenso potrebbe far intendere. La lentezza in alcuni punti può essere legittimata dalla giusta ricerca di riprodurre momenti della vita in un monastero ma c’è modo e modo di farlo. Quello scelto da X. Beauvois mi sembra il modo più semplicistico e disarmonico. Solo come alternativa, si possono confrontare dei frammenti di scene de Il grande silenzio di P. Groning per vedere con quanta naturalezza ma anche intensità si possono rappresentare momenti di vita monastica. Una modalità che – opportunamente ridotta – sarebbe adeguata anche per il cinema. E il paragone lo interrompo subito perché quello è un documentario e supera le dura 2 ore e mezza. In Uomini di Dio, anche la fotografia appare opaca. Qualche soluzione qua e là: momenti di luce mattutina, i primi piani dell’ultima cena e la scena finale nella neve di sapore sokuroviano, ma per il resto non mi pare affatto un punto di forza. Gli attori che interpretano i monaci sono abbastanza convincenti. C’è però uno sbilancio (probabilmente voluto ma che non condivido) sulla figura di padre Luc (M. Lonsdale) che oltre ad essere un attore molto conosciuto, nel film è anche medico e quindi una figura davvero centrale per la comunità locale e per gli opposti interessi di terroristi e militari. Gli altri personaggi di conseguenza vengono spinti fuori fuoco. Ho trovato impeccabile J. Herlin nella figura di padre Amédée. Una piccola cosa: avrei anche evitato quella montatura argentata da dentista a padre Christian (W.Lambert), una più semplice magari scura sarebbe stata perfetta. Anche il contesto della storia appare dato per scontato. L’ambiguità dello stato algerino nella repressione del terrorismo è appena sfiorata, ma capisco che non sia argomento facile. Insomma anche la sceneggiatura traballa un po’ ma alla fine un qualche risultato lo porta a casa. Seppur molto contenuta nemmeno la parte musicale brilla (a parte i cori dei monaci). Resta comunque un film coraggioso e apprezzabile soprattutto per la natura della storia. Credo però che a polarizzare verso il positivo i consensi sia stata in gran parte la soddisfazione di veder trattato un argomento orientato all’engagement.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a toro sgualcito »
[ - ] lascia un commento a toro sgualcito »
|
|
d'accordo? |
|
|