The Fighter

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I pugni, l'astio, le lacrime: un successo sudato! Valutazione 4 stelle su cinque

di GreatSteven


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venerdì 25 agosto 2017

 THE FIGHTER – NATO PER COMBATTERE (USA, 2010) diretto da DAVID O. RUSSELL. Interpretato da MARK WAHLBERG, CHRISTIAN BALE, MELISSA LEO, AMY ADAMS, MICKEY O'KEEFE, JACK MCGEE
Lowell (Massachusetts), 1993: per evadere un’esistenza di sacrifici, sconfitte e delusioni, segnata oltretutto da una disoccupazione sempre più onnipresente, non resta che infilare i guantoni e darsi alla boxe. È ciò che vorrebbe fare Micky Ward (Wahlberg), povero e determinato asfaltatore di strade, il cui irrinunciabile sogno nel cassetto è diventare un pugile di prima categoria, come un tempo avrebbe potuto esserlo il fratellastro Dicky Eklund (Bale), se solo avesse evitato di precipitare nell’inferno del crack e del terribile alcolismo. Ovvio supporre che il cammino da intraprendere per conquistare il titolo mondiale è assai arduo e presenta ostacoli (apparentemente) insormontabili: ci sono da controllare l’esplosiva e volitiva mamma-manager (Leo), le sette sorelle dal piglio provocatorio, la barista Charlene, graziosa ma energica fidanzata di Micky, e soprattutto il fratello Dicky che si ritrova dietro le sbarre per un episodio di violenza capitato fuori da un locale malfamato. Ma guai ad arrendersi! Una vola scarcerato, Dicky allenerà il fratello e si unirà a lui per fargli vincere il titolo che per entrambi è rimasto per un tempo onestamente eccessivo un’ambizione da accantonare e in cui smettere (forse?) di credere. Dovranno combattere dentro, ma specialmente fuori dal ring, scontrandosi con un muro di pregiudizi, sfortuna, arroganza e persone che remano controcorrente rispetto al loro fatidico desiderio di successo. Si impegneranno nelle condizioni più disperate e disagevoli, lottando per riscattare un passato di fallimenti deludenti e restituire alla comunità mai rinnegata ciò che le spetta di merito e che da tempo le è stato negato: orgoglio e fiducia nei propri coraggiosi abitanti. Tratto da una storia vera, è il commovente, straziante, potentissimo, catartico e sensazionale racconto di formazione di un pugile d’origini irlandesi che seppe aprirsi a suon di pugni e vita vissuta un percorso in cui altri avrebbero certamente fallito: ma non lui, The Irish Fighter, detentore del titolo internazionale dei pesi welter, un concentrato di energia, solidità, cocciutaggine e voglia di sfondare che gli permisero di trasformare un sogno in realtà. Il film è straricco di pezzi di bravura, in cui la preparazione recitativa del cast merita una lode quanto mai azzeccata a ciascuno dei personaggi principali: C. Bale nelle vesti del fratello e allenatore estremo che si barcamena fra la dipendenza da stupefacenti, le inimicizie strette in carcere e i rapporti complessi con la famiglia, ma senza mai dimenticare l’affetto per il suo adoratissimo parente che vorrebbe vedere trionfante con un motivo innegabile per stamparsi un sorriso di vittoria sulle labbra; M. Leo, come Bale premiata con l’Oscar, una madre dedita al fumo per sfogo intellettivo, scontrosa, prepotente, determinata ad ottenere ciò per cui si intestardisce, ma sempre carica di parole di riscatto e rivalsa per figli e figliastri quando si tratta di dar sfoggio ad un atteggiamento genitoriale capace di infondere audacia e sentimento; lo stesso protagonista, Wahlberg, con la faccia tumefatta spesso ispessita con cerotti e garze, un boxeur che parte letteralmente da zero passando dal cemento della carreggiata al ring col vigore e la determinazione di un novello campione che aspira a recuperare il tempo perduto per dimostrare a chi gli vuole bene quanto vale e come è capace di conciliare il pentimento per gli sbagli trascorsi con la compensazione immensa ottenuta tramite i trionfi sportivi; bravissima anche la rossa Adams, fidanzata mai gelosa nemmeno delle boriose sorelle, spigolosa ed eccentrica ma pur sempre affezionata al suo ragazzo e in grado di infondergli la pace interiore che gli serve per combattere e di cui si serve lei stessa per non farsi mettere i piedi in testa e vivere alla giornata sperando che le cose si mettano meglio per tutti senza che accadano più avvenimenti sconvolgenti. È senza ombra di dubbio il primo capolavoro di Russell, che poi replicherà adeguatamente con altri successi quali Silver Linings Playbooks (2012) e American Hustle (2014), intanto permettendo a Wahlberg di realizzare un progetto da lui inseguito per un buon quinquennio e per giunta anche prodotto, mentre dal canto suo il regista ci mette la farina del suo sacco tirando fuori il vecchio tema dell’uomo fallito che sembra non possedere le doti per ingranare e invece tira fuori tutto il suo potenziale per emergere preponderante: il suo efficiente controllo di un’ottima sceneggiatura e di una colonna sonora geniale ed espressiva, firmata da Michael Brook, gli consente di sfornare un capolavoro sul pugilato che giustamente potrebbe dare filo da torcere ad altre pellicole imperniate sullo stesso tema, ma che invece mette da parte paragoni che potrebbero infastidire e si concentra piuttosto sulla riscossa di un individuo che non si piange addosso e si rialza un milione di volte quando cade, restituendogli dignità e facendo sì che la sua parabola appaia verosimile e capace di catalizzare l’attenzione, il piacere e la simpatia del pubblico. Il tutto senza ricorrere al minimo ricatto sentimentalista. Semmai Russell punta sull’elemento che forse più d’ogni altro costituisce la leva d’attracco maggiormente esplosiva di un dramma sportivo coi fiocchi: il pianto interiore dell’uomo che ricorre alla resilienza per ricostruirsi una vita e trovare una ragione più che mai azzardata di riscatto sociale e personale, cambiando da un verso all’altro il capovolgimento di una situazione che dapprima offende e provoca, ma poi premia chi reagisce e guadagna quanto gli spetta. Buona ambientazione, lodevole gestione delle luci di scena, un montaggio anfetaminico che segue con foga energica e inarrestabile le sequenze emozionanti dei pugili che boxano, una scenografia che ritrae il grigiore di un quartiere quasi dimenticato da Dio, un budget non enorme che però sovviene allo scopo ottimamente conseguito di produzione estatica della pellicola e infine costumi disegnati ad hoc per i personaggi in relazione alla loro presenza nei vari luoghi in cui l’azione prende parte, in particolar modo i locali, la palestra, lo stadio di boxe, il carcere, l’interno delle abitazioni e l’esterno dei marciapiedi sporchi. 

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