Mannaggia alla miseria

Dopo un istruttivo viaggio in Bangladesh, tre giovani dottorandi ritornano a Napoli con un ambizioso progetto: fondare, sull'esempio del Premio Nobel per la pace Muhammad Yunus, una "banca dei poveri". Ma il disegno si rivela particolarmente arduo e si scontra dolorosamente con le realtà di una città dominata dalla miseria, dall'usura e dalla camorra. Tuttavia, con l'idealismo ed il coraggio della loro gioventù, i protagonisti non sembrano darsi per vinti. La Wertmuller ci riprova: ritorna a Napoli, sua meta prediletta, per affrontare una tematica sociale in sè interessante. Ma se è vero che il fine non giustifica i mezzi, bisogna constatare che le pur buone intenzioni della regista si traducono in un prodotto fittizio e superficiale. [+]

Dopo un istruttivo viaggio in Bangladesh, tre giovani dottorandi ritornano a Napoli con un ambizioso progetto: fondare, sull'esempio del Premio Nobel per la pace Muhammad Yunus, una "banca dei poveri". Ma il disegno si rivela particolarmente arduo e si scontra dolorosamente con le realtà di una città dominata dalla miseria, dall'usura e dalla camorra. Tuttavia, con l'idealismo ed il coraggio della loro gioventù, i protagonisti non sembrano darsi per vinti. La Wertmuller ci riprova: ritorna a Napoli, sua meta prediletta, per affrontare una tematica sociale in sè interessante. Ma se è vero che il fine non giustifica i mezzi, bisogna constatare che le pur buone intenzioni della regista si traducono in un prodotto fittizio e superficiale. E' una Napoli finta, che non ha nulla del crudo e a tratti amaro realismo che faceva sorridere e commuovere in Io speriamo che me la cavo, e la coppia Pession-Assisi è vuota e inconcludente rispetto al frizzante sodalizio che undici anni prima li aveva visti protagonisti, diretti dalla stessa Wertmuller, in Ferdinando e Carolina. Relativamente più interessante si rivela il terzo incomodo, Chicchino, il personaggio interpretato da Ramenghi, in cui sembra notarsi un seppur lieve margine di caratterizzazione, ma che da solo non basta a riscattare la pochezza dell'insieme. Di carne a cuocere ce n'è, e pure tanta, ma il tutto in un insieme contorto e sfilacciato che offre un'immagine artificiosa e fuorviante della città. Nemmeno la denuncia sociale e i messaggi di speranza si salvano, molto spesso claudicanti e ricchi di luoghi comuni. Spiace per la Wertmuller, originale narratrice, nonchè arguta osservatrice delle realtà che racconta, ma alla fine di questo film verrebbe davvero da esclamare, come da titolo: "Mannaggia alla miseria!"