massimiliano aita
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venerdì 6 dicembre 2024
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come è difficile diventare vecchi
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Un film d'altri tempi. Una storia sulla difficoltà ad accettare la possibile malattia ed il diventare vecchi. Un racconto sui legami familiari e su come l'egocentrismo renda facile distruggerli. Douglas è un eroe dolente che sceglie sempre la via più facile e sbagliata. Un film che ti riempie il cuore e ti fa riflettere senza troppi non detti o inutili virtuosismi tecnici
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elgatoloco
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martedì 12 ottobre 2021
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un po''un film di"ripiego"
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"Solitary Man"(Brian Koppelman, anche autore della sceneggiatura, e David Lieven, 2009): Storia di un imprenditore di successo che, in seguito a vari problemi, perde il lavoro ma vive da mantenuto, non senza che abbia avuto vari trascorsi traumatici(problemi cardiologici). Vive alla giornata, tradisce la donna che lo mantiene con la figlia di questa, si lascia andare anche sul piano "clincio". Sarà decisamente una vita difficile , la sua, anche se non sapremo quale sarà il futuro del"Solitary Man", in quanto il film si chiude sul sostanziale interrogativo"quale sarà la sua vita?"e la sceneggiatura non ci dè alcuna indicaziopne precisa per sapere quale essa sarà effettivamente.
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"Solitary Man"(Brian Koppelman, anche autore della sceneggiatura, e David Lieven, 2009): Storia di un imprenditore di successo che, in seguito a vari problemi, perde il lavoro ma vive da mantenuto, non senza che abbia avuto vari trascorsi traumatici(problemi cardiologici). Vive alla giornata, tradisce la donna che lo mantiene con la figlia di questa, si lascia andare anche sul piano "clincio". Sarà decisamente una vita difficile , la sua, anche se non sapremo quale sarà il futuro del"Solitary Man", in quanto il film si chiude sul sostanziale interrogativo"quale sarà la sua vita?"e la sceneggiatura non ci dè alcuna indicaziopne precisa per sapere quale essa sarà effettivamente. Soluzioni non facili, volendo, ma il film ha un vago sapore moralistico, che può dspiacere oppure richiamare anche , al contrario, una vita"à la sauvette"degna dei romanzi e dei saggi di Bataille e Klossowsky. Middle-life Crisis, forse(Michael Dogulas, all'epoca, era certo l'interprete più tipicamente adatto al ruolo, quasi archetipico rappresentante di questa condizione umana.esitenziale- rispetto anche all'età), ma anche noia esistenziale, volontà di bruciare le tappe e forse di bruciare la vita in un flash o quasi, ma complessivamente l'operazione non convincet del tutto e si continua a preferire l'ispirazione musiclae del film, non a caso presente nei titoli di testa, l'omonimo"Solitary Man"che è la canzone classica di Neil Diamond che, in realtà, apre il film. Tra le interpreti, Susan Sarandon,la moglie da cui il protagonista si è separato/da cui ha divorziato, Mary Louise Parker(non troppo convincente), la giovanissima Imogen Poots, Jenna Fischer e anche , in una quasi"cameo"Danny De Vito. El Gato
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chainbreaker
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lunedì 18 gennaio 2021
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carino... un po'' banalotto.
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... Ma si lascia vedere fino alla fine. Sicuramente siamo su altri livelli rispetto alle produzioni soporifere di Allen e compagnia, complice un Douglas in buona forma, che impersonifica una specie di "Gekko delle donne" se vogliamo compararlo ad uno dei suoi personaggi più riusciti. Tutto verte sulla vita di quest'uomo che, per correr dietro a tutte le gonnelle, si è praticamente rovinato la vita. Ancorchè rimasto comunque in buoni rapporti con la sua prima moglie, la sua vita "libertina" e spregiudicata lo fa ritrovare a 70 anni senza un soldo in tasca e senza amici accanto, a parte un De Vito che è una vera "persona buona" come ormai se ne contano sulle dita di una mano monca.
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... Ma si lascia vedere fino alla fine. Sicuramente siamo su altri livelli rispetto alle produzioni soporifere di Allen e compagnia, complice un Douglas in buona forma, che impersonifica una specie di "Gekko delle donne" se vogliamo compararlo ad uno dei suoi personaggi più riusciti. Tutto verte sulla vita di quest'uomo che, per correr dietro a tutte le gonnelle, si è praticamente rovinato la vita. Ancorchè rimasto comunque in buoni rapporti con la sua prima moglie, la sua vita "libertina" e spregiudicata lo fa ritrovare a 70 anni senza un soldo in tasca e senza amici accanto, a parte un De Vito che è una vera "persona buona" come ormai se ne contano sulle dita di una mano monca. Il resto del cast fa capire che se hai dei buoni interpreti, sei già sulla buona strada: Eisenberg e Sarandon fanno il loro compitino, un po' "imprigionati" nei relativi personaggi che ne hanno segnato (e stanno segnando) la carriera. Poots da rivedere, ma "si farà", il talento non le manca.
Forse ui po' scontato e inverosimile in certi passaggi (i rapporti o gli sguardi con le giovani donne sono alquanto improbabili: sappiamo benissimo che "un vecchio" seppur attraente, viene emarginato e ghettizzato dai giovani d'oggi, se non bullizzato...) resta comunque una buona produzione.
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onufrio
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martedì 14 novembre 2017
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il lupo perde il pelo...
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Michael Douglas veste i panni di un 60enne donnaiolo, famoso venditore di automobili caduto in crisi dopo una megatruffa. Inoltre, ci si mette pure un problema cardiaco diagnosticato dal proprio medico, ma Ben (M.Douglas) non ha mai fatto accertamenti a riguardo, continuando a vivere la propria vita, corteggiando donne di qualsivoglia età. La figlia critica lo stile di vita del padre, ormai caduto in basso, senza lavoro e da solo, ripenserà alla ex moglie (Susan Sarandon) con aria malinconica ricordando i bei tempi dell'università.
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mauro lanari
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martedì 14 ottobre 2014
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a proposito di (auto)biopic.
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Mauro Lanari e Orietta Anibaldi
Nel 2009 Clooney sembrava aver messo in scena la propria vita calandosi nei panni del protagonista d'"Up in the Sky", personaggio ondivago tra la fedeltà monogamica (=Canalis?) e un'esistenza votata alla promiscuità. L'anno successivo esce, si fa per dire, questo film straripante d'analogie su e con Michael Douglas: meglio il matrimonio a fianco della Zeta-Jones o le dicerie su un ripetutamente smentito problema di "sex[ual] addiction"? Tanto gigioneggiava da impareggiabile ruffiano Clooney quanto invece Douglas s'espone in chiave drammatica, per nulla lieve e nemmeno indolente, ma dolente, da loser contro la propria volontà.
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Mauro Lanari e Orietta Anibaldi
Nel 2009 Clooney sembrava aver messo in scena la propria vita calandosi nei panni del protagonista d'"Up in the Sky", personaggio ondivago tra la fedeltà monogamica (=Canalis?) e un'esistenza votata alla promiscuità. L'anno successivo esce, si fa per dire, questo film straripante d'analogie su e con Michael Douglas: meglio il matrimonio a fianco della Zeta-Jones o le dicerie su un ripetutamente smentito problema di "sex[ual] addiction"? Tanto gigioneggiava da impareggiabile ruffiano Clooney quanto invece Douglas s'espone in chiave drammatica, per nulla lieve e nemmeno indolente, ma dolente, da loser contro la propria volontà. Eccelsa la cifra autoriale di Koppelman (produce pure Soderbergh) che toglie al film l'inimmaginabile, come se il destino di Douglas fosse già scritto e dunque il "Solitary Man" non disponesse d'alcuna reale possibilità d'interagire col resto dell'altrimenti ottimo cast. C'è una panchina da cui bisognerebbe alzarsi per decidere (nessun rimando a "Forrest Gump" o a, orrore, "Caos calmo"), tuttavia il finale resta sospeso: sebbene Douglas abbia davvero optato per l'avventura nuziale, col suo alter-ego davanti alla mdp pare intenda dirci che è stato solo per predeterminismo, per un fato che ci consegna in dotazione un'indole che non lascia scampo. Storia insomma d'una discesa agl'inferi, d'una catàbasi dove forse è doveroso non indagare su ulteriori affinità tra Michael e le tematiche aggiuntive della vecchiaia e della malattia. Privo intenzionalmente d'ogni appeal per un pubblico sempre più alla ricerca d'effetti facili e/o speciali, qui in Italia la pellicola ha bypassato la distribuzione in sala ed è terminata subito nel giro dell'homevideo. Visto per caso in tv qualche tempo fa, ha l'ulteriore impagabile merito di lasciare l'enorme dubbio che il sillogismo "tutte le donne sono uguali, ergo lo stare a fianco sempre della stessa o il cambiare partner a ripetizione è un distinguo insignificante" sia fallace nella premessa maggiore.
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domenico di lauro
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mercoledì 23 luglio 2014
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un personaggio antipatico
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Michael Douglas, attore perfetto per un personaggio narcisista, amorale, borioso e antipatico al punto che il pubblico probabilmente si aspetta per lui un finale negativo. Non ci sarà in realtà un finale, verso la fine è gustosissima la scena in cui questo lussurioso sessantenne viene malmenato da uno scagnozzo del padre di una delle 18 enni che si porta a letto. Quello che voleva, forse, nelle intenzioni del regista, essere un protagonista anticonformista, simpatico, playboy incallito diventa nella realta' del film una figura patetica, di scarso impatto. Non ispira tenerezza, come di solito fanno i perdenti, anzi quasi ci si rallegra perchè un tipo del genere alla fine perda tutto nella vita
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albydrummer
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venerdì 8 novembre 2013
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molto carino...
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Bella interpretazione di Douglas. Storia amara e realistica. Si è sempre vecchi leoni. Una bella commedia da vedere!!
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oscar15781
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domenica 4 agosto 2013
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sei tu che devi ricordare che sei mio padre
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Puo' darsi che per qualcuno Solitary Men descriva solo un uomo assurdo, che non è neanche un eroe negativo. Invece già dal titolo ci annuncia qualcosa della nostra epoca di solitudine, di crisi e di ripiegamento. La posizione di Ben Kalmen si inserisce nel quadro di una serie vastissima di addiction, di sindromi della coazione a ripetere il proprio sintomo, come schiavi di un proprio super-io feroce. Ben Kalmen dice di sè "Ero un leone, ora sono invisibile", era il miglior venditore d'auto, che stava sulle reti nazionali, conosciuto da tutti. A quei tempi il suo Ego era gonfiato a dismisura, a evitare ogni incertezza sul piano del desiderio, con un matrimonio che era un mattone essenziale del suo successo.
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Puo' darsi che per qualcuno Solitary Men descriva solo un uomo assurdo, che non è neanche un eroe negativo. Invece già dal titolo ci annuncia qualcosa della nostra epoca di solitudine, di crisi e di ripiegamento. La posizione di Ben Kalmen si inserisce nel quadro di una serie vastissima di addiction, di sindromi della coazione a ripetere il proprio sintomo, come schiavi di un proprio super-io feroce. Ben Kalmen dice di sè "Ero un leone, ora sono invisibile", era il miglior venditore d'auto, che stava sulle reti nazionali, conosciuto da tutti. A quei tempi il suo Ego era gonfiato a dismisura, a evitare ogni incertezza sul piano del desiderio, con un matrimonio che era un mattone essenziale del suo successo. La moglie era li' mentre faceva gli spot televisivi, ha accompagnato l'ascesa del marito a costo del mettere fra parentesi i propri desideri.La moglie interpretata dalla grande Susan Sarandon, ha avuto nodo di liberarsi di questo ideale di matrimonio, allorchè ha scoperto che Ben la tradiva. Invece Ben Kalmen riceve una sentenza dal proprio corpo, anziche avere consapevolezza, scatta in lui la volontà di dribblare la morte con una strategia perversa, ingannatoria: andrà a truffare L'Altro della Buona Fede. Cioè di pari passo, ingannerà l'Altro del patto matrimoniale, tradendo la moglie con le ragazze che trova e ingannerà l'Altro del Buon padre di famiglia, organizzando truffe sui leasing e i contratti di vendita d'auto. Chi non è visto, non è preso (pas vu, pas pris). Insomma la fragile tenuta dell'Altro cede, Ben con la futura moglie su una panchina del Campus e con l'amico del bar dell'università che gli prepara il suo panino, sono solo un ricordo. "Se vai su o giu' gli amici spariscono", Ben perde tutto quando viene scoperto, ma il suo mondo dopo questo "segno" dal corpo ignorato è un universo immaginarizzato, Ben è tutto teso in questa battaglia "a fottere l'Altro", nemmeno la figlia e il nipote sono piu' che "oggetti indisciminati", La figlia Susan dopo che il padre è uscito con una sua amica, gli annuncia che chiude con lui, non vedrà più il nipote. Ben si sente solo sfidato in questa sua "caccia grossa".. Ben tradisce persino Jordan la sua nuova compagna perversa (moglie di un uomo potentissimo), con la figlia Allison appena diciannovenne. Kant parlava di amare la dama e meritare la forca, per Ben il rischio è assoluto. Questo dà il gusto del proibito, un capriccio più grande, ma non ha nulla a che fare col desiderio. Allison lo perderà, lo getterà, dopo aver appreso tecniche amatorie, lo "farà fuori", dicendo alla madre, che Ben il suo compagno, l'ha avuta, Di nuovo perderà tutto, dovrà scappare lontano dalla fuiria di Jordan. Ma il bar del suo amico che lo assume è presso l'Ateneo, cosi la vendetta di Jordan a mezzo di un ex poliziotto lo fa finire all'ospedale. Qui recupera la figlia, che ha dovuto cavarsela nonostante un padre cosi' e nel momento in cui rischia di perderlo, può raccoglierne l'eredità simbolica "sono ancora la tua bambina". Ma Ben non sa vedere le mani tese della ex-moglie, del giovane Cheston, mentre gli altri crescono, il suo sguardo si posa sulla prossima ragazza, sul suo sintomo.
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oscar15781
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domenica 4 agosto 2013
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sei che devi ricordarti di essere il mio pao
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Riesco a mettermi nei panni di chi non parte dalla psicoanalisi, capisco che il personaggio di Ben Kalman può solo esser ritenuto assurdo, non è neanche un eroe negativo. Ma proprio a partire dal titolo, questo film mantiene la promessa di dirci qualcosa su questa nostra epoca di solitudine, di crisi e di ripiegamento. Questa di Ben è solo una posizione sintomatica, nel quadro del proliferare di una serie di addiction, di sindromi della coazione a ripetere il proprio sintomo, schiavi di un super-io feroce. Ben Kalmen dice di sè "Ero un leone
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mauro lanari
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lunedì 1 aprile 2013
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a proposito d'(auto)biopic.
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Nel 2009 Clooney sembrava aver messo in scena la propria vita calandosi nei panni del protagonista d'"Up in the Sky", personaggio ondivago tra la fedeltà monogamica (=Canalis?) e un'esistenza votata alla promiscuità. L'anno successivo esce, si fa per dire, questo film straripante d'analogie su e con Michael Douglas: meglio il matrimonio a fianco della Zeta-Jones o le dicerie su un ripetutamente smentito problema di "sex[ual] addiction"? Tanto gigioneggiava da impareggiabile ruffiano Clooney quanto invece Douglas s'espone in chiave drammatica, per nulla lieve e nemmeno indolente, ma dolente, da loser contro la propria volontà. Memorabile la cifra stilistica del regista (produce pure Soderbergh) che toglie al film l'inimmaginabile, come se il destino di Douglas fosse già scritto e dunque il "Solitary Man" non disponesse d'alcuna reale possibilità d'interagire col resto dell'altrimenti ottimo cast.
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Nel 2009 Clooney sembrava aver messo in scena la propria vita calandosi nei panni del protagonista d'"Up in the Sky", personaggio ondivago tra la fedeltà monogamica (=Canalis?) e un'esistenza votata alla promiscuità. L'anno successivo esce, si fa per dire, questo film straripante d'analogie su e con Michael Douglas: meglio il matrimonio a fianco della Zeta-Jones o le dicerie su un ripetutamente smentito problema di "sex[ual] addiction"? Tanto gigioneggiava da impareggiabile ruffiano Clooney quanto invece Douglas s'espone in chiave drammatica, per nulla lieve e nemmeno indolente, ma dolente, da loser contro la propria volontà. Memorabile la cifra stilistica del regista (produce pure Soderbergh) che toglie al film l'inimmaginabile, come se il destino di Douglas fosse già scritto e dunque il "Solitary Man" non disponesse d'alcuna reale possibilità d'interagire col resto dell'altrimenti ottimo cast. C'è una panchina da cui bisognerebbe alzarsi per decidere (nessun rimando a "Forrest Gump" o a, orrore, "Caos calmo"), tuttavia il finale resta sospeso: sebbene Douglas abbia davvero optato per l'avventura nuziale, col suo alter-ego davanti alla mdp pare intenda dirci che è stato solo per predeterminismo, per un fato che ci consegna in dotazione un'indole che non lascia scampo. Storia insomma d'una discesa agl'inferi, d'una catàbasi dove forse è doveroso non indagare su ulteriori affinità tra Michael e le tematiche aggiuntive della vecchiaia e della malattia. Privo intenzionalmente d'ogni appeal per un pubblico sempre più alla ricerca d'effetti facili e/o speciali, qui in Italia la pellicola ha bypassato la distribuzione in sala ed è terminata subito nel giro dell'homevideo. Visto per caso in tv qualche giorno fa, ha l'ulteriore impagabile merito di lasciare l'enorme dubbio che il sillogismo "tutte le donne sono uguali, ergo lo stare a fianco sempre della stessa o il cambiare partner a ripetizione è un distinguo insignificante" sia fallace nella premessa maggiore.
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