Pa-ra-da |
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Un film di Marco Pontecorvo.
Con Jalil Lespert, Daniele Formica, Evita Ciri, Gabi Rauta, Patrice Juiff.
continua»
Drammatico,
durata 100 min.
- Italia, Francia, Romania 2008.
- 01 Distribution
uscita venerdì 19 settembre 2008.
MYMONETRO
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l'interazione coi ragazzi attraverso la clowneria
di ciccio capozziFeedback: 521 | altri commenti e recensioni di ciccio capozzi |
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sabato 25 aprile 2009 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
“PA-RA-DA” di MARCO PONTECORVO; ITA, 08. Miloud è un clown franco-algerino da strada che a Bucarest s’imbatte nei boskettari: bambini che vivono sotto le fogne della città. Cerca di aiutarli a uscirne, facendoli diventare clown come lui. Ispirato ad una storia vera, ha trovato nell’attore che lo interpreta una rassomiglianza non solo fisica. Presentato a Venezia 08, ha avuto una calorosa accoglienza critica e di spettatori. Il regista, figlio del grande Gillo, è riuscito a catturare quell’atmosfera di oppressione che caratterizza la società rumena all’indomani della caduta del regime di Ceausescu. Ma che investiva soprattutto il vivere dei bambini da strada in un momento storico di grande difficoltà sociale. Il senso della collettività, di appartenenza ad un gruppo in cui il singolo qualche modo si protegge l’un l’altro regge la presenza collettiva dei piccoli fantastici interpreti. Senza cadere in alcun clichè prevedibile sia dickensiano, che alla Truffaut, abbiamo uno spettacolo apparentemente documentario, che costruisce il percorso di costoro. In realtà il regista, che è stato un valido Direttore della Fotografia per molto cinema italiano contemporaneo, ha operato una scelta narrativa che teneva abilmente presente il percorso documentario-illustrativo della vicenda di Miloud, nel mentre ce ne esplicitava le fasi narrativamente. Perché la crescita collettiva è giustamente correlata alla stessa crescita del protagonista che all’iniozio non è del tutto consapevole del percorso d intraprendere: lo “scopre”, si può dire, quasi insieme ai ragazzi. Egli “sa”, nel senso di: sente, solo che deve fare qualcosa per questi bambini derelitti e osteggiati da tutti, che sono un po’ trovatelli e appena tollerati come lui, che è un immigrato a mala pena integrato in patria; e che sono violenti come lo sarebbe anche lui nelle stesse condizioni. Da qui nasce il coinvolgimento e l’invenzione per sé del ruolo di “maestro di strada”. Egli comunica l’affetto e la solidarietà concreta, rivelando loro i suoi talenti di clown: l’unica sua ricchezza; l’unica cosa che sa fare e che gli appartiene. Questo percorso va di pari passo con quello dei ragazzi: ne affronta le psicologie sia individuali che comuni, vi si cala; “entra” in relazione con loro. Come direbbe G.Zagrebelski, non si “integra”, ma si “intera” con loro. La perdita di una semplice “g”, implica una relazione più difficile: che maggiormente lo mette in discussione, non solo con gli altri; ma soprattutto con sé. La freschezza e la forza della sceneggiatura, cui ha collaborato lo stesso regista insieme al bravo Roberto Tiraboschi, sta proprio nella via narrativa che imprende nel definire questo doppio percorso. La diversità diventa fastidiosa anomalia, quando non è affrontata con la dovuta umiltà. Ed è proprio questa consapevolezza che rende così originale la tenuta del film. Anche se si leggono gli ispiratori sia di cinema che di letteratura che stanno alla base del tessuto della trama, risalta l’attenzione alle specificità sia ambientali e sociali, dell’intorno alla collettività infantile, che alle loro psicologie. Perciò risultano così poco leccosamente individuate. Un cinema agile nel montaggio, che raffigura con ossuta rudezza documentaria le asperità descrittive della metropoli che da poco si affaccia al finto benessere post-comunista, tutto confuso con la violenza atavica di una società agraria arretrata, che solo nella esteriorità superficiale ha mutato i suoi comportamenti tribali.
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