Settimo cielo |
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Un film di Andreas Dresen.
Con Ursula Werner, Horst Rehberg, Horst Westphal, Steffi Kühnert, Werner Schmidt.
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Titolo originale Wolke 9.
Drammatico,
durata 98 min.
- Germania 2008.
- Videa
uscita venerdì 29 maggio 2009.
MYMONETRO
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Esplorazione poetica sull'erotismo dell'età anzian
di ciccio capozziFeedback: 521 | altri commenti e recensioni di ciccio capozzi |
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sabato 7 novembre 2009 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
“SETTIMO CIELO” di ANDREAS DRESEN; GER, 08. Inge sessantenne, sposata felicemente da 30 anni, incontra Karl, più anziano di lei: è amore devastante a prima vista. Sono di scena gli anziani: ma letti nella loro dimensione erotismo. Il film è un miracolo. “Sposa” con raro equilibrio semplicità stilistica a grande ricchezza di notazioni. Gli sceneggiatori hanno messo in visione un universo fatto di quotidianità, anche a limite della povertà, ma non di squallore. Ogni persona cerca di vivere, non di esistere banalmente: si pone il perché dei propri comportamenti, che assume con evidenza di motivazioni e di consapevolezza. Il bruciante sentimento è descritto nelle sue fasi con delicatezza, ma con cristallina chiarezza. E’ un amore che impone con assoluta “irragionevolezza” le sue spasmodiche ragioni esistenziali. Ogni passaggio è descritto con un controllo formale da capolavoro. E’ chiaro che è l’attrice protagonista, Ursula Werner, a “reggere” la struttura drammaturgica dell’intero film. Lo fa presentandosi con una semplicità e un’autorevolezza di presenza scenica, che provengono solo dal teatro: e in effetti tutti gli attori protagonisti sono del “Maxim Gorky Theater” , un prestigioso e indipendente teatro di ricerca dell’ex Berlino Est, tuttora attivo. Il fare di lei, deciso, è altresì ricco di sfumatura psicologiche, nel tratteggiare, all’interno dell’insieme delle sue definite relazioni familiari e sociali, la pervasività della passione. Pur se sono notazioni che crederemmo da adolescenti, si accompagnano, senza la minima ombra di grottesco e di posticcio, all’esistenza e all’esperienza di una persona adulta e matura. Non ci sono svenevolezze, eccitazioni meramente superficiali, gesti o metafore visuali che si rifanno all’esteriorità, ma un lavoro di gestualità fatto di “togliere”, al fine di potenziarne l’espressività interiore: è di scavo interiore e di asciutta concretezza psicologica, realizzato nella più pretta “scuola” brechtiana. Abituati agli anziani fasulli della nostra tv, che ragionano e parlano come dei ferlocchi, o, se va bene, come dei cascami hollywoodiani, vedere sulla scena tanta autorevolezza, chiarezza e originalità gestuale, è portentoso. Il regista comunque non si è lasciato condizionare da questo eccellente “parco” attori a sua disposizione; ha condotto la sua ricerca sull’erotismo dell’età anziana in piena autonomia autoriale. Usando una tecnica di ripresa in digitale, quindi “leggera” per i macchinari necessari, e poco invasiva rispetto alla concentrazione del lavoro degli attori, ha perfettamente secondato e implementato le professionalità in scena, ma facendo assistere alla trasformazione avvenuta nella vita di tutti i personaggi, dall’irrompere della passione. Gli spazi, semplici scenograficamente, però un po’ occlusivi, perché organizzati come scenario di una vita non ricca di benessere, sono come illuminati “dall’interno” e riscattati dalla presenza solare di questa donna: che diventa bella e piacente, perché una persona che non si nega, e non nega al suo maturo innamorato, la dignità della felicità; e la vive con forza e desiderio di dare e di esistere, di sottrarsi alla sua negazione, espressione di apatia sentimentale, che è già, come scelta, annuncio di morte. E anche il dolore dell’abbandono, sofferto dall’altro coniuge, è oggetto di una pudica, attenta e non moralistica riflessione sulla realtà ad essa correlata.
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