fabrizio dividi
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venerdì 25 settembre 2009
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nanook dei nostri tempi
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Nanook l'eschimese, girato nel 1922, rappresenta il primo tentativo, riuscito, di unire cinema a documentario e ancora oggi è possibile apprezzarne la vena realistico-poetica dettata dalla regia di Robert Flaherty che ci racconta la vita di una famiglia alle prese con il suo quotidiano.
Un cinema "antropologico" che "Il cane giallo" riprende con finalità analoghe e con in più il colore e il gusto estetico della ripresa (peraltro mai invasiva). Vita di tutti i giorni di una bambina di otto anni, con fratellino e sorellina alle prese con la tranquilla vita di tutti. Un cagnolino entrerà a far parte della sua vita diventando il tipico elemento di catarsi e crescita.
Quando la modernità entra nella vita del gruppo non è mai risolutrice: un recipiente in plastica che brucia sul fuoco, o un orribile cagnolino di peluche possono al massimo rappresentare uno squallido simulacro di modernità e vengono regolarmente rigettati.
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Nanook l'eschimese, girato nel 1922, rappresenta il primo tentativo, riuscito, di unire cinema a documentario e ancora oggi è possibile apprezzarne la vena realistico-poetica dettata dalla regia di Robert Flaherty che ci racconta la vita di una famiglia alle prese con il suo quotidiano.
Un cinema "antropologico" che "Il cane giallo" riprende con finalità analoghe e con in più il colore e il gusto estetico della ripresa (peraltro mai invasiva). Vita di tutti i giorni di una bambina di otto anni, con fratellino e sorellina alle prese con la tranquilla vita di tutti. Un cagnolino entrerà a far parte della sua vita diventando il tipico elemento di catarsi e crescita.
Quando la modernità entra nella vita del gruppo non è mai risolutrice: un recipiente in plastica che brucia sul fuoco, o un orribile cagnolino di peluche possono al massimo rappresentare uno squallido simulacro di modernità e vengono regolarmente rigettati.
Film sobrio e meditativo, mai noioso, davvero unico nella sua semplicità.
Fabrizio Dividi
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odissea 2001
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sabato 29 dicembre 2007
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la modernità che spezza l'infinito
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Anche in un luogo che sembra sospeso nel tempo, dove tanto per dire sembrano "alieni" come una navicella sulla luna persino una moto o un vecchio furgone, si può arrivare a cogliere qualche segnale del mondo che cambia. Ad un certo punto, tra le alture e i pascoli sterminati della Mongolia, i pastori dicono che il loro mestiere sta scomparendo e che molti loro colleghi iniziano a sentire irrefrenabile il richiamo della città. Anche la figlia della famiglia Batchuluun, una vera famiglia che rappresenta il cast del film, ad un certo punto accenna alle comodità del paesaggio urbano: lì, dice, si fa la pipì senza uscire di casa. Lei, i fratelli, i genitori e un cane trovatello si muovono invece in un paesaggio che non sembra reale, tra pascoli, pecore, montagne, lo sterco usato come combustibile, le tende-casa e la paura dei lupi.
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Anche in un luogo che sembra sospeso nel tempo, dove tanto per dire sembrano "alieni" come una navicella sulla luna persino una moto o un vecchio furgone, si può arrivare a cogliere qualche segnale del mondo che cambia. Ad un certo punto, tra le alture e i pascoli sterminati della Mongolia, i pastori dicono che il loro mestiere sta scomparendo e che molti loro colleghi iniziano a sentire irrefrenabile il richiamo della città. Anche la figlia della famiglia Batchuluun, una vera famiglia che rappresenta il cast del film, ad un certo punto accenna alle comodità del paesaggio urbano: lì, dice, si fa la pipì senza uscire di casa. Lei, i fratelli, i genitori e un cane trovatello si muovono invece in un paesaggio che non sembra reale, tra pascoli, pecore, montagne, lo sterco usato come combustibile, le tende-casa e la paura dei lupi. Il ritmo impresso al film è lento, più da documentario che da opera cinematografica, ma è difficile pensare che in quel paesaggio il tempo, a cui fa da sottofondo la filosofia buddista, possa scorrere in modo diverso. La storia ha un guizzo finale che risolve tutto il film: anche il cane trovatello riuscirà a conquistarsi uno spazio ed un futuro. Un lavoro interessante, che esce dagli schemi del cinema popolare e commerciale. Sconsigliato a chi cerca emozioni forti. Consigliato a chi è curioso e vuole aprire lo sguardo verso orizzonti inconsueti.
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rosa
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giovedì 8 novembre 2007
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tutti muoiono, nansaa, ma nessuno muore davvero.
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C'è del buono nel nuovo interesse che qui a ovest si prova nei riguardi del Sol Levante, perchéè proprio da laggiù che vengono, da sempre, ampi respiri di pensiero umano, filosofia di vita, amore per il prossimo. Il Cane Giallo della Mongolia sembra un documentario, tanto la fabula è lieve, smussata nei suoi tratti più accesi (quelli che tengono vivo lo scarto tra film e realtà), come disciolta nel latte caldo (uno dei simboli di questa storia) e tenuta in circolo con tutta la naturale cautela dei ritmi metabolici. C'è una famiglia che per una volta non è quel "microcsomo" di affetti, legami di sangue, progetti, aspettative che la cultura -qui- sempre descrive. Eppure una famiglia cento volte più sincera, più dolce, anche in virtù di un generale principio per cui la famiglia non serve a chiudere bensì ad aprire.
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C'è del buono nel nuovo interesse che qui a ovest si prova nei riguardi del Sol Levante, perchéè proprio da laggiù che vengono, da sempre, ampi respiri di pensiero umano, filosofia di vita, amore per il prossimo. Il Cane Giallo della Mongolia sembra un documentario, tanto la fabula è lieve, smussata nei suoi tratti più accesi (quelli che tengono vivo lo scarto tra film e realtà), come disciolta nel latte caldo (uno dei simboli di questa storia) e tenuta in circolo con tutta la naturale cautela dei ritmi metabolici. C'è una famiglia che per una volta non è quel "microcsomo" di affetti, legami di sangue, progetti, aspettative che la cultura -qui- sempre descrive. Eppure una famiglia cento volte più sincera, più dolce, anche in virtù di un generale principio per cui la famiglia non serve a chiudere bensì ad aprire. Velato è il concetto di destino, cosicché, secondo la più pacifica e meno aggressiva delle tradizioni culturali, tutto sommato esso - il destino - si incammina dolcemente incontro al suo eterno antinome, che forse invece non è che lo stesso: il caso.
Il Cane, il Giallo, la Mongolia. Sono il materiale-base della favola tradizionale: l'animale (l'altro, il pericolo, la paura), il colore (il sentimento, luogo immaginario e profondo di integrazione fra dolore e felicità, di superamento della paura), la terra di casa (per i protagonisti del film), campo su cui si tirano i dadi, e al contempo, per molti spettatori, una terra tutt'altro che domestica eppure, proprio per questo, non meno significativa a livello simbolico.
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giuggianello
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mercoledì 17 maggio 2006
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z, il segno di zochor
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Ciao a tutti, ben ritrovati cari amici, sono ritornato a scrivere le recensioni, dopo un periodo di vacanza che mi sono preso con Rino e Bruno, ed il mio ritorno coincide con un bellissimo film che consiglio a tutti voi di andare a vedere. Della stessa regista avevo già recensito " La storia del cammello che piange" e tutto quello che avevo detto di buono per quel film, vale anche per questo. E' un film che ripulisce un po' la mente dalla spazzatura delle parole inutili e delle volgarita' che accompagnano la nostra vita quotidiana. Quella che il film ci mostra é un' esistenza che si fonda sulle cose piu' vere e muove i sentimenti piu' puri. Ci dimostra che non si deve per forza raccontare di storie estreme, di violenza, o di eroismo, ma é sufficente la storia di un amore puro tra una bambina e un cagnolino per emozionare lo spettatore.
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Ciao a tutti, ben ritrovati cari amici, sono ritornato a scrivere le recensioni, dopo un periodo di vacanza che mi sono preso con Rino e Bruno, ed il mio ritorno coincide con un bellissimo film che consiglio a tutti voi di andare a vedere. Della stessa regista avevo già recensito " La storia del cammello che piange" e tutto quello che avevo detto di buono per quel film, vale anche per questo. E' un film che ripulisce un po' la mente dalla spazzatura delle parole inutili e delle volgarita' che accompagnano la nostra vita quotidiana. Quella che il film ci mostra é un' esistenza che si fonda sulle cose piu' vere e muove i sentimenti piu' puri. Ci dimostra che non si deve per forza raccontare di storie estreme, di violenza, o di eroismo, ma é sufficente la storia di un amore puro tra una bambina e un cagnolino per emozionare lo spettatore. Ottima la regia e le interpretazioni dei bellissimi bambini, di tutti gli attori anche se non professionisti, ma su tutti ci hanno commosso gli sguardi teneri dei pecorini, quelli cattivi degli avvoltoi, e soprattutto quelli dolcissimi di Zochor, cane protagonista che recita molto meglio di tanti attori famosi e strapagati! Un saluto a tutti voi con la speranza che di film come questi se ne possano vedere sempre di piu'!!! Giuggianello
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maria cristina nascosi
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mercoledì 3 maggio 2006
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storia poetica di bimba con cane in mongolia
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IL CANE GIALLO DELLA MONGOLIA
di Byambasuren Davaa
Interpretato da una famiglia nomade e presentato in anteprima con grande successo al Festival del Nuovo Cinema di Pesaro del 2005, il film è tratto da un racconto di Gantuya Lhagua.
Una bimba è salvata dagli avvoltoi grazie ad un cane abbandonato dai nomadi, suoi familiari.
Storia di fiction, dunque, su di un impianto documentaristico, visto che la famiglia nomade e l’ambiente in cui vivono per mesi sono reali, come nello stile della giovane regista mongola, classe 1971, di cui già s’era visto Storia del cammello che piange.
Girato con sensibile delicatezza e realismo poetico quasi allo stato puro, di chiara impronta femminile, il bel docu-fiction rappresenta anche un interessante spaccato etno-antropologico dei nomadi della Mongolia di oggi, sospeso fra tradizione atavico-abitudinaria ed innovamento del quotidiano.
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IL CANE GIALLO DELLA MONGOLIA
di Byambasuren Davaa
Interpretato da una famiglia nomade e presentato in anteprima con grande successo al Festival del Nuovo Cinema di Pesaro del 2005, il film è tratto da un racconto di Gantuya Lhagua.
Una bimba è salvata dagli avvoltoi grazie ad un cane abbandonato dai nomadi, suoi familiari.
Storia di fiction, dunque, su di un impianto documentaristico, visto che la famiglia nomade e l’ambiente in cui vivono per mesi sono reali, come nello stile della giovane regista mongola, classe 1971, di cui già s’era visto Storia del cammello che piange.
Girato con sensibile delicatezza e realismo poetico quasi allo stato puro, di chiara impronta femminile, il bel docu-fiction rappresenta anche un interessante spaccato etno-antropologico dei nomadi della Mongolia di oggi, sospeso fra tradizione atavico-abitudinaria ed innovamento del quotidiano.
Narrato con disarmante semplicità è, come solo le cose davvero semplici sanno trasmettere, fonte e principio di grande autenticità, sia reale che metaforica.
MARIA CRISTINA NASCOSI
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