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marv89
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venerdì 12 febbraio 2010
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solo per palati fini
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Il capolavoro dei Coen si chiama L'UOMO CHE NON C'ERA...un film d'altri tempi, noir mai banale, profondo e sublime, un bianco e nero perfetto che riporta lo spettatore al cinema anni 40 con uno stile indiscusso. La storia di un uomo che pensa e non parla, o meglio, parla poco e pensa troppo, si immerge totalmente nei suoi pensieri tanto da farsi scivolare tutto, quasi non vivendo piu, subendo tutto e tutti. Il suo ruolo di eterno secondo nella vita lo spinge a voler abbandonare il lavoro di barbiere, ma il suo essere lo porta a fallire totalmente fino alla morte. La genialità della regia sta nella vena comica che i Coen riescono a dare a questa storia che di comico ha poco e niente.
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Il capolavoro dei Coen si chiama L'UOMO CHE NON C'ERA...un film d'altri tempi, noir mai banale, profondo e sublime, un bianco e nero perfetto che riporta lo spettatore al cinema anni 40 con uno stile indiscusso. La storia di un uomo che pensa e non parla, o meglio, parla poco e pensa troppo, si immerge totalmente nei suoi pensieri tanto da farsi scivolare tutto, quasi non vivendo piu, subendo tutto e tutti. Il suo ruolo di eterno secondo nella vita lo spinge a voler abbandonare il lavoro di barbiere, ma il suo essere lo porta a fallire totalmente fino alla morte. La genialità della regia sta nella vena comica che i Coen riescono a dare a questa storia che di comico ha poco e niente. SUBLIME
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paride86
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lunedì 16 marzo 2009
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bellissimo
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"L'uomo che non c'era" racconta la storia di un uomo anonimo e insignificante che, seppur involontariamente, riesce a cambiare drasticamente il proprio e l'altrui destino.
Il tema centrale del film, a metà tra un western e un noir, è l'eterogenesi dei fini, ovvero come la vita e gli eventi possano rispondere in maniera inaspettata e insolita agli stimoli delle nostre azioni, come un grande mosaico possa essere condizionato anche dal più piccolo e impalpabile tassello della sua trama, descrizione, quest'ultima, che aderisce perfettamente al personaggio di Ed Crane.
Il tutto è confezionato in un affascinante bianco e nero e arricchito da una regia sobria ma originale, davvero meritevole.
Bavi tutti gli attori.
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"L'uomo che non c'era" racconta la storia di un uomo anonimo e insignificante che, seppur involontariamente, riesce a cambiare drasticamente il proprio e l'altrui destino.
Il tema centrale del film, a metà tra un western e un noir, è l'eterogenesi dei fini, ovvero come la vita e gli eventi possano rispondere in maniera inaspettata e insolita agli stimoli delle nostre azioni, come un grande mosaico possa essere condizionato anche dal più piccolo e impalpabile tassello della sua trama, descrizione, quest'ultima, che aderisce perfettamente al personaggio di Ed Crane.
Il tutto è confezionato in un affascinante bianco e nero e arricchito da una regia sobria ma originale, davvero meritevole.
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paquito
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lunedì 19 gennaio 2009
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un noir americano intelligente e raffinato
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Sembra di vedere un noir americano anni '40. Ambienti, circostanze, personaggi, dialoghi, l'eleganza della fotografia in bianco e nero, e la musica sommessa, ricalcano il cinema di quel periodo. Tanto che guardandolo d'emblai non si riesce quasi a ritenerlo un film d'oggi. Personalmente mi ha ricordato, per impostazione, " La fiamma del peccato " di Billy Wilder ( e scusate se è poco...). Gran bel film che avrà fatto impazzire i cinefili.
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t.t.
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venerdì 11 luglio 2008
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la bravura dei coen
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Il film è un chiaro omaggio al genere nero; Anche il fatto del no ai colori lo dimostra. E' la conferma della bravura dei fratelli Coen sia come sceneggiatori, che come registi. Non trovo difetti degni di nota nella pellicola. Molto buono.
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michiamojerda
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lunedì 7 luglio 2008
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ed crane!!!.......chi?!?! il barbiere!! aaaaaah...
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Il Film è fatto su misura di Ed Crane, barbiere californiano della metà del secolo scorso...
Pellicola in bianco e nero e ritmi lenti...alla fine, nonstante la vera storia di Ed non verrà fuori, ci sarà "giustizia" per tutti...
Buono tutto il cast e ottima regia per Coen...da vedere, tutti dovrebbero conoscere IL barbiere.
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jekyc
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sabato 21 giugno 2008
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i coen,che fratelli geniali
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complimenti ai fratelli coen,sempre geniali,sempre unici nel loro fare cinema,capaci di proporre cinema in tutte le salse..un altro film affascinante,con uno stile fuori da questo tempo triste,che spesso ci propone polpettoni allucinanti.Onore ai Coen per la loro vera passione cinematografica e per la loro classe
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antonio
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giovedì 23 agosto 2007
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indimenticabile ed
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Splendido e anomalo noir dei fratelli Coen, geni a corrente alternata, ma qui decisamente ispirati nel raccontare la storia di Ed Crane, uomo ''trasparente'' che attraversa la propria vita frastornato dal suo mistero e ignorato dal mondo (''Ero un fantasma, nessuno mi vedeva e io non vedevo nessuno''), al punto che nessuno - neanche i parenti della moglie - ricorda neppure il suo nome e lui sa farsi riconoscere solo quando si presenta come ''il barbiere''.
Nel momento in cui, ingannato da un viscido truffatore, prova a dare una svolta e una direzione alla propria vita, finisce per mettere in moto una catena di tragici eventi in cui ognuno dei protagonisti troverà sì la propria punizione, ma mai per la colpa di cui si è realmente macchiato.
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Splendido e anomalo noir dei fratelli Coen, geni a corrente alternata, ma qui decisamente ispirati nel raccontare la storia di Ed Crane, uomo ''trasparente'' che attraversa la propria vita frastornato dal suo mistero e ignorato dal mondo (''Ero un fantasma, nessuno mi vedeva e io non vedevo nessuno''), al punto che nessuno - neanche i parenti della moglie - ricorda neppure il suo nome e lui sa farsi riconoscere solo quando si presenta come ''il barbiere''.
Nel momento in cui, ingannato da un viscido truffatore, prova a dare una svolta e una direzione alla propria vita, finisce per mettere in moto una catena di tragici eventi in cui ognuno dei protagonisti troverà sì la propria punizione, ma mai per la colpa di cui si è realmente macchiato.
Domina il senso tragico dell'assurdità dell'esistenza, appena temperato dal ghigno di umor nero così tipico dei registi, e della conseguente impossibilità di raccontarla in modo organico (da qui, in questo come in altri film dei Coen, la loro carattersitica alternanza di vari registri e toni del racconto), sicchè il principio di indeterminazione di Heisenberg - cui si riferisce l'avvocato di Ed (spassosa macchietta di tronfio e borioso principe del foro), adottandolo come base concettuale a sostegno della strategia difensiva - finisce per rappresentare il compendio più efficace della visione degli autori (''più osservi qualcosa, meno la comprendi, perchè l'atto stesso di osservarla la cambia''). E la domanda che più personaggi ripetono a Ed nel corso del film (''Ma che razza di uomo sei?'') è la stessa che è destinata a rimanere senza risposta fino all'ultimo.
Memorabile il finale, col sogno notturno in carcere e l'auspicio di trovare oltre la morte un senso per tutto ciò ''per cui qui non abbiamo le parole''.
Straordinari tutti gli attori, con una menzione speciale per Billy Bob Thornton, indimenticabile nel tratteggiare il catatonico Ed, giù fino all'ultimo dei caratteristi, e splendido il luminoso bianco e nero, unico ''colore'' pensabile per raccontare la storia di un uomo che non c'è. E si resta ammirati di fronte alla capacità di costruire una narrazione insieme lenta e tesissima, nella quale convivono con sorprendente efficacia un ritmo apparentemente compassato - degno dello stranito protagonista - e un susseguirsi non per questo meno incalzante e efficace di colpi di scena.
Capolavoro imperdibile che la tv ha vergognosamente relegato - in prima visione! - alle ore piccole per far spazio alla penosa fiction di turno.
Gli appassionati che non l'hanno visto rimedino al più presto.
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andre
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martedì 24 luglio 2007
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eccezionali i coen!
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Spettacolare ritratto di una provincia americana e di un uomo onesto, un barbiere, la cui vita è sconvolta all'improvviso. E' il primo film che vedo dei fratelli Coen, e devo ammettere che non credevo potesse attrarmi così. Ho trovato starordinaria la denuncia al sistema, simboleggiata, a mio avviso, dalla figura dell'avvocato incaricato di difendere, in tribunale, prima la moglie del protagonista e poi il protagonista stesso. Un avvocato- considerato il migliore- che lavora incurante della verità, o della ricerca di giustizia. Il suo unico scopo è vincere, non gli interessa il modo attraverso il quale occorre perseguire tale risultato. Non fa altro che ripetere di essere il migliore, inventa cento modi per far fessi i giurati, ma quando le cose si mettono male, è il primo a squagliarsela per non rischiare di compromettersi.
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Spettacolare ritratto di una provincia americana e di un uomo onesto, un barbiere, la cui vita è sconvolta all'improvviso. E' il primo film che vedo dei fratelli Coen, e devo ammettere che non credevo potesse attrarmi così. Ho trovato starordinaria la denuncia al sistema, simboleggiata, a mio avviso, dalla figura dell'avvocato incaricato di difendere, in tribunale, prima la moglie del protagonista e poi il protagonista stesso. Un avvocato- considerato il migliore- che lavora incurante della verità, o della ricerca di giustizia. Il suo unico scopo è vincere, non gli interessa il modo attraverso il quale occorre perseguire tale risultato. Non fa altro che ripetere di essere il migliore, inventa cento modi per far fessi i giurati, ma quando le cose si mettono male, è il primo a squagliarsela per non rischiare di compromettersi. Alla fine del film, lo spettatore si accorge che tutto è sbagliato. Il processo è stato una buffonata, e l'esito non poteva essere diverso: tutto è stato ricostruito male, nessuno ha capito niente, ma ciò non toglie che qualcuno debba pagare. Ed è il povero protagonista, un eccezionale Billy Bob Thornton, che ne farà le spese. Il personaggio, immerso in una spirale perversa, non può nemmeno far valere le proprie ragioni, perchè non interessano a nessuno: il sistema ha bisogno di un colpevole, e lui, che comunque è colpevole, verrà incriminato anche per ciò che non ha commesso. Strepitoso affresco dei fratelli Coen, mai banali o prevedibili, sempre affascinanti nella loro aperta critica contro un sistema precostituito, logoro, crudele.
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mario conti
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giovedì 12 luglio 2007
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un grande uomo (anche se non c'era)
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Che un uomo aspiri all'invisibilità è cosa nota. Che l'invisibilità gli sia connaturata, come un vestito cui ci si affezioni e che si fa fatica a dismettere, è altra storia. Ma il disegno divino o naturale che rende un uomo riconoscibile soltanto dal fumo delle proprie sigarette non può durare, almeno non abbastanza da eludere le conseguenze di una semplice permanenza sulla Terra. Il barbiere ("guardate quest'uomo: è soltanto un barbiere") agisce perchè esiste ed agendo (pur nel silenzio: nessuno lo ha visto uccidere, nessuno lo riconosce nè può farlo, egli è solo un taglio ben fatto o un paio di forbici che fendono l'aria) inizia a disegnare le proprie coordinate esistenziali, il proprio destino che, beffardo, ne farà un uomo completo nel momento della fine.
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Che un uomo aspiri all'invisibilità è cosa nota. Che l'invisibilità gli sia connaturata, come un vestito cui ci si affezioni e che si fa fatica a dismettere, è altra storia. Ma il disegno divino o naturale che rende un uomo riconoscibile soltanto dal fumo delle proprie sigarette non può durare, almeno non abbastanza da eludere le conseguenze di una semplice permanenza sulla Terra. Il barbiere ("guardate quest'uomo: è soltanto un barbiere") agisce perchè esiste ed agendo (pur nel silenzio: nessuno lo ha visto uccidere, nessuno lo riconosce nè può farlo, egli è solo un taglio ben fatto o un paio di forbici che fendono l'aria) inizia a disegnare le proprie coordinate esistenziali, il proprio destino che, beffardo, ne farà un uomo completo nel momento della fine.
Non si può non provare simpatia, quasi amore, per quest'uomo. E' squallido e meschino come un brutto sogno diurno; odia le vite degli altri, il loro successo, la loro capacità di vincere le partite. Ed è solo, con il suo tabaco ed i monologhi interiori. E' anche discretamente stupido, talmente da non capire gli altrui inganni, e quei disegni della vita che, inevitabilmente, escludono i perdenti. Per un momento la ruota pare girare dalla sua, ma è un altro incubo al sole: neppure la confessione di un omicidio ne attenua l'invisibilità. Non resta che attendere l'appuntamento finale. E' allora che Ed sboccia, forse si riscatta per il giusto tempo di un lampo di elettricità, finalmente può guardare i capelli degli altri senza stanco interesse professionale: semplicemente con odio e definitiva indifferenza.
Vogliamo chiamarla parabola esistenziale? Lo è ma è di più: è una disincantata riflessione sulle scelte dell'uomo, sul suo posto nella società. E' una una umoristica digressione sulla incapacità di trovare un posto a sedere nel luna-park di questo mondo e, al contempo, una drammatica constatazione della immutabilità delle cose.
E'una gigantesca prova attoriale: Billy Bob Thornton non ha sorrisi, non ha espressioni; eppure fa impallidire le gigionerie di un qualunque George Clooney. E' il capolavoro assoluto dei fratelli Coen, sorretto da una sceneggiatura a prova di bomba, da una musica di tagliente e devastante efficacia, da una bellezza e nitidezza delle immagini che è raro trovare nell'attuale cinema. Bellezza e nitidezza che si stagliano senza un solo colpo ad effett, senza facili e spreconi effetti speciali, con la sola forza della riflessione filosofica.
Viene da piangere a pensare a quanto cinema italiano si erga a dispensatore di massime esistenziali, senza avere al contempo la leggerezza di tocco di certo cinema americano. Meglio: di QUESTO cinema americano.
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nerofelix
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giovedì 11 gennaio 2007
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sublime
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Quando il cinema ritrova la poesia, la forza dell’immagine, il guizzo della genialità, torna ad essere arte, lasciandosi alle spalle le sgangherate esercitazioni di registi improvvisati e recitazioni farsesche loro malgrado. Vedere questo film (e rivederlo) riconcilia con questo mondo troppo spesso in balia di spregiudicati manager di loro stessi che, nelle vesti di cineasti o attorucoli, infestano l’aria di pattume di celluloide. Questo film ha la personalità e il genio dei Coen e promette di rimanere nel tempo, cristallizzato com’è nella condizione classica di bianco e nero. E’ praticamente perfetto: nei dialoghi ma soprattutto nei monologhi, nella storia e nella musica che l’accompagna, nel tessuto sottile e spesso di una trama intelligente e raffinata, nelle performances degli attori, tutti bravissimi, dalla malinconica e stralunata Scarlett Johansson a Billy Bob Thornton (il protagonista) che sa dare assoluto spessore a un personaggio al tempo stesso pieno e vuoto, raziocinante e folle.
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Quando il cinema ritrova la poesia, la forza dell’immagine, il guizzo della genialità, torna ad essere arte, lasciandosi alle spalle le sgangherate esercitazioni di registi improvvisati e recitazioni farsesche loro malgrado. Vedere questo film (e rivederlo) riconcilia con questo mondo troppo spesso in balia di spregiudicati manager di loro stessi che, nelle vesti di cineasti o attorucoli, infestano l’aria di pattume di celluloide. Questo film ha la personalità e il genio dei Coen e promette di rimanere nel tempo, cristallizzato com’è nella condizione classica di bianco e nero. E’ praticamente perfetto: nei dialoghi ma soprattutto nei monologhi, nella storia e nella musica che l’accompagna, nel tessuto sottile e spesso di una trama intelligente e raffinata, nelle performances degli attori, tutti bravissimi, dalla malinconica e stralunata Scarlett Johansson a Billy Bob Thornton (il protagonista) che sa dare assoluto spessore a un personaggio al tempo stesso pieno e vuoto, raziocinante e folle... lo scarto di una mente ripiegata su sé stessa, quieta ma visionaria. E’ la storia di un barbiere, raccontata in prima persona fino al conclusivo epilogo, coinvolto in una vita semplice ma comunque più grande di lui che, poco a poco, diviene ingestibile e di cui finisce vittima. Il bianco e nero è fondamentale perché i tagli di luce siano più sgargianti di mille colori, e copre la pellicola di una decisa patina di antico che parla di tanto cinema espressionista (da Murnau a Lang, da Dreyer ad Eisenstein). La luce è la protagonista della scena, insieme alla macchina da presa... si fissano entrambe su sguardi, su gesti, sulle rughe di un volto, sul panneggio morbido dei vestiti. E rendono ogni dettaglio carico di significato. A volte (metaforicamente anche) la scena è priva di luce, altre volte (altrettanto metaforicamente) ne è inondata, come nelle scene finali, talora la penombra suggerisce l’atmosfera ovattata, talaltra lo stacco luministico squarcia lo schermo. E’ un film che ha tutto: gli estremi come le mezze misure, l'umorismo e la malinconia... un capolavoro che merita 5 stelle e il privilegio di avere, secondo me, un suo piccolo posto nella storia del cinema.
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