Quell'oscuro oggetto del desiderio

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Un film di Luis Buñuel. Con Julien Bertheau, Fernando Rey, Carole Bouquet, Angela Molina, Milena Vukotic.
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Titolo originale Cet obscur objet du désir. Drammatico, durata 100 min. - Francia 1977. MYMONETRO Quell'oscuro oggetto del desiderio * * * 1/2 - valutazione media: 3,98 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Surrealismo e pathos magnificamente amalgamati! Valutazione 4 stelle su cinque

di GreatSteven


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domenica 13 agosto 2017

Mathieu Favère è un ricco borghese cinquantenne, che ha perso la moglie sette anni prima dell’inizio della storia, un uomo posato e di abitudini parche che si è ormai rassegnato alla vedovanza… finché non entra in servizio in casa sua Conchita, ragazza diciottenne dalle indecifrabili voglie sessuali, come cameriera. Una scintilla scatta quasi immediatamente fra i due: Mathieu s’innamora di lei e crede di esserne ricambiato, ma la ragazza, pur accettandolo in veste di amante, si fa sempre desiderare, lo tiene costantemente sulle spine e con sadica puntualità manca di soddisfarlo e lo lascia inappagato. La vicenda è narrata da Mathieu stesso nello scompartimento di un treno durante un viaggio da Madrid a Parigi. I capricci di Conchita provocano frustrazione e smarrimento all’uomo e sono causa di una catena di rotture. Intenzionato a chiudere una volta per tutte questi tira e molla sentimentali senza scopo, Mathieu chiede aiuto ad un amico che vanta una posizione influente nella Polizia di far espellere Conchita e la madre spagnola dalla Francia. La ritrova poi a Siviglia, dove lei lavora come ballerina di flamenco in un locale, in quanto possiede come unica capacità la danza. Durante una pausa, Conchita si scusa dicendo all’amante che deve salire a riposarsi mezz’ora, quando in realtà, come scopre lo stesso Mathieu in seguito, intrattenga un pubblico maschile ballando nuda. Imbestialito, l’uomo scaccia via tutti gli astanti, ma poi le moine di Conchita lo inteneriscono e lui promette di acquistarle una casa a Siviglia. Ottenuto l’edificio, Conchita gli rivela di odiarlo e di averlo trovato sempre ripugnante, e quando poi Mathieu scopre di esser stato beffato con un presunto amante della giovanotta che in verità è omosessuale, la picchia. Terminato il racconto ai compagni di viaggio (una madre con figlia al seguito, un magistrato accidentalmente amico del cugino di Mathieu e uno psicologo nano), Mathieu vede giungere la ragazza che gli restituisce il favore di versargli un secchio d’acqua addosso come lui aveva fatto con lei rudemente poco prima di montare in carrozza. Ma, ancora una volta, ben presto è pace fatta e i due si prendono mano nella mano e camminano per i boulevards sotto i porticati parigini, finché un altoparlante non avverte di un nuovo possibile attentato politico da parte di una compagine terroristica chiamata Gruppo Armato Rivoluzionario del Bambin Gesù, quando infine esplode una bomba, forse uccidendo i due protagonisti. Liberamente tratto dal romanzo francese La donna e il burattino (1898) di Pierre Louys, convince benissimo nella narrazione delle delusioni sessuali e dei continui fallimenti amorosi di un facoltoso uomo maturo che s’infatua di una diciottenne rivelatasi estremamente furba nel condurre un gioco erotico a suo completo piacimento, senza mai darsi al momento opportuno e vanificando le pretese corporee dell’uomo più anziano, ma non più esperto, di lei nel risolvere con un atto pratico qualunque approccio. Ha la particolarità di far interpretare a due attrici un solo ruolo, quello di Conchita appunto, alternando A. Molina a C. Bouquet senza uno scopo preciso, facendo risaltare anche le evidenti differenze fisiche e fisionomiche per avvolgere in un alone di mistero e incomprensibilità questo interessante e intrigante personaggio femminile, di donna castissima, addirittura ancora vergine, ma in grado di reggere i fili di un piano architettato con obiettivi drastici e ben chiari nella sua mente un po’ diabolica. Ma non si deve credere che il sesso femminile sia qui esposto esclusivamente come la superiorità di una femme fatale ai danni di un inetto: Mathieu, col volto impassibile ma pur sempre efficiente di un F. Rey in forma smagliante, riesce a tenerle testa e non demorde nei suoi intenti fatidici, rivelandosi un giocatore accanito che procede nel rincorrere il suo ambitissimo oggetto del desiderio passando sopra tutti e tutto, valicando pure ostacoli col ricorso a mezzi scorretti. Giocare sporco è una caratteristica che accomuna entrambi i protagonisti, come si nota per esempio dalla rapina simulata nel parco dall’erba verde, dal corpetto inestricabile che indossa Conchita per scoraggiare una probabile copula con l’amante, dai numerosi quattrini prestati da Mathieu per garantire una sicurezza economica alla famiglia della fanciulla e anche dalla lunga sequenza nel buio della stanza spagnola in cui il volto di Conchita diventa una maschera di sangue per colpa degli schiaffi dell’uomo. Sullo sfondo, le deprecabili imprese di terrore portate avanti dai gruppi armati criminali aggiungono una feroce tensione drammatica alla vicenda, condendola sagacemente di suspense e attesa di una rottura finale del precario equilibrio. Contributi tecnici di qualità lodevole che raffigurano i paesaggi urbani dell’Europa occidentale, alternando la Francia alla Spagna (le lingue originali della pellicola sono infatti tanto il francese quanto lo spagnolo) e ritraendo ambienti con un dosaggio di colore che dona ricchezza cromatica alle riprese. Buñuel effettua con questo suo ultimo film il suo perfetto canto del cigno, ponendo un mattone sopra il suo vastissimo repertorio visionario con un’opera che abbraccia tout court il surrealismo, trasformandolo nel quadro corale di una passione sfegatata che non trova mai il suo decisivo appagamento. È anche una discesa nei meandri psicologici dell’amore e dei motivi che lo scatenano: quasi un’indagine psicoanalitica, che però fin da subito mette in chiaro che abolisce i toni accademici per concentrarsi invece, e più giustamente, sui canoni di un racconto con personaggi statici nel modo più perfetto ed assoluto che mira a stuzzicare lo spettatore mediante riflessioni su temi importanti quali i giochi erotici, i rifiuti reiterati, l’amore non corrisposto (o corrisposto per finta), il modo della società di inquadrare la vita privata dei cittadini, l’oppressione dell’universo urbano sulla personalità di ciascuno, le critiche spietate nei confronti della borghesia e in generale un esame accorato e inflessibile sul perbenismo, in certo qual modo pure anticlericale, non soltanto quel moralismo imperante contro cui il regista spagnolo s’è sempre schierato, cercando con immane successo di liberarlo a piene mani dalle costruzioni eccezionali, e mai ripetitive o incomprensibili, delle sue opere cinematografiche. Cet obscur objet de désir è e rimarrà un caposaldo di un regista fortemente innovativo e rivoluzionario che ha saputo apportare al cinema europeo una ventata di clamore artistico capace di penetrare negli anfratti del cervello umano con precisione e veridicità, restituendo lo scettro della creatività all’irragionevolezza. Un sistema assai originale per raccontare i vizi e le storture di una società burocratizzata che Buñuel da sempre rigettò, ma dalla quale ebbe molto da imparare perché ne trasse gli spunti per inventare il suo meraviglioso mondo di non-sense, che in fin dei conti è il nucleo centrale del suo testamento spirituale e in particolar modo la stella incapace di spegnersi attorno alla quale ruotano i suoi pianeti popolati da individui in tutto e per tutto umani che vorrebbero ottenere scopi valorosi, ma rimangano sempre impigliati e irrealizzati da impedimenti che dipendono dalla loro volontà più di quanto essi stessi vorrebbero ammettere.

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