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lorenzomnt
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martedì 10 aprile 2012
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truculento e di sottile erotismo
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Davvero niente male questo "Non si sevizia un paperino".
è il secondo film di Fulci che vedo dopo "La Pretora" e per la seconda volta non mi ha deluso.
Anche se è presente qualche momento "deprimente" e l'assassino si individua prima del finale per esclusione,ha buona suspance e azione.
Fa leva inoltre sull'affascinante Bolkan e sulla sensuale Bouchet(molto erotica la scena di lei nuda con il bambino,che però andò incontro a rogne con la censura).
Buon thriller.
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sciamalaglia
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giovedì 20 agosto 2009
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bello
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INSIEME A "PROFONDO ROSSO" IL MIGLIOR GIALLO ITALIANO
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paride86
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sabato 25 luglio 2009
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così così
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Sopravvalutato thriller anni '70.
Un maniaco assassino fa strage di bambini e una magiara confessa gli omicidi.
Seppure siano presenti alcuni elementi critici di ritratto sociale e l'assassino non sia facilmente intuibile, il resto è piuttosto banale ed artefatto.
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matteo
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venerdì 16 gennaio 2009
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mai più un film così.
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Questo film è molto importante per la genesi del thriller italiano in cui Fulci dimostra di conoscere perfettamente i meccanismi della paura,originali gli omicidi che avvengono sotto la luce del sole invece che di notte e con un'atmosfera morbosa tra sacro e peccato.
Da antologia la barbara esecuzione della Bolkan scambiata con il vero assassino.
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patrick bateman
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martedì 2 dicembre 2008
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un pezzo dell'assolata provincia del sud italia
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Lo ricordo "non si sevizia un..." quando lo passarono per la prima volta alla tv,naturalmente con qualche "taglio" e finalmente ora nella sua originale veste !
Gran lavoro di Fulci interessantissimo regista dei gialli made 70', particolare scenografia della provincia del sud Italia e storia assolutamente non banale con tanto di colpo di scena finale (alla faccia del moralismo )Attori bravi e una bellissima Bouchet. E poi il pestaggio della Bolkan con in sottofondo la canzone della Vanoni è un "cult" il quale persino i cineasti americani troppo valutati ci invidierebbero!!Tra i migliori gialli italiani di sempre ! AVE
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vincenzo carboni
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lunedì 24 novembre 2008
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guardare, non smettere mai di guardare...
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Vi sono due scene -quelle di cui parla Stefano Franzoni nella sua bella recensione qui su ‘mymovies.it’- in cui è implicata forse più che in altre una qualità del vedere: la scena del linciaggio e la scena in cui la Bouchet -nuda- invita un bambino a portargli un'aranciata. Sono sequenze in cui Fulci 'prende a schiaffi' in un modo molto benevolo lo spettatore, così da permettergli non solo di entrare in un cinema semplicemente per divertirsi (sacrosanto motivo del resto) ma anche per fare una esperienza di ‘discrasia’ emotiva. Quelle scene sono un colpo che allenta necessariamente una rigida (mi riferisco ai censori) tenuta stagna morale e che ci mette di fronte ad un certo disagio-piacere, quello provato da bambini nel vedere per la prima volta una donna nuda che non sia la propria madre ad esempio (disagio-piacere è naturalmente un termine posticcio perchè un bambino non sa cosa sente montargli dentro e non sa dargli un nome, può solo rifugiarsi dentro una complicità di gruppo e continuare a tenere viva quella sensazione per poterla conoscere).
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Vi sono due scene -quelle di cui parla Stefano Franzoni nella sua bella recensione qui su ‘mymovies.it’- in cui è implicata forse più che in altre una qualità del vedere: la scena del linciaggio e la scena in cui la Bouchet -nuda- invita un bambino a portargli un'aranciata. Sono sequenze in cui Fulci 'prende a schiaffi' in un modo molto benevolo lo spettatore, così da permettergli non solo di entrare in un cinema semplicemente per divertirsi (sacrosanto motivo del resto) ma anche per fare una esperienza di ‘discrasia’ emotiva. Quelle scene sono un colpo che allenta necessariamente una rigida (mi riferisco ai censori) tenuta stagna morale e che ci mette di fronte ad un certo disagio-piacere, quello provato da bambini nel vedere per la prima volta una donna nuda che non sia la propria madre ad esempio (disagio-piacere è naturalmente un termine posticcio perchè un bambino non sa cosa sente montargli dentro e non sa dargli un nome, può solo rifugiarsi dentro una complicità di gruppo e continuare a tenere viva quella sensazione per poterla conoscere). C’è un rigore dello sguardo in Fulci che diviene necessariamente anche dello spettatore ed è un rigore assolutamente morale. Non si tratta di cosa è bene vedere e cosa no, ma di cosa fare delle emozioni che suscita lo sguardo. Riconoscerle? Averne paura? Il giovane prete si aiuta con un paio di occhiali imponenti e con un apparato sacramentale che piuttosto lo espongono ad una protezione eccessiva. Allo stesso modo gli assassini della ‘maciara’ non sono in possesso di strumenti per fronteggiare dismorfismi visivi, perchè del resto non si desidera se non guardando (e la Bouchet –bellissima da far male- non può non essere guardata). Tutti i pezzi devono andare al loro posto: la ‘maciara’ è colpevole e va uccisa; Barbara –lo abbiamo visto- è una puttana. Un bambino così piccolo non può andare con una prostituta, non può avere pulsioni, non può essere depositario di una dignità eroticamente esprimibile (Freud-Fulci docet). La ‘maciara’ in questo senso non può che essere la vittima designata, e il piccolo cimitero di Accendura è l’altare pagano sulla quale immolarla al dio-maschio-carnefice, un dio che non ha bisogno di sentirsi uomo sostenendo il proprio sguardo sulla bellezza di una donna tanto da alimentare il desiderio fino a conoscerla, ma –essendo dio- può fare a meno del femminile, anzi lo vuole degradato. La morte della maciara-Bolkan è l’unica esperienza sessualizzata alla portata di quegli uomini: il cimitero è il set infatti di una morte –appunto- sessualizzata, un omicidio in forma di stupro (mentre Vanoni canta il pensiero muto di quella donna se un giorno avesse potuto prendere quella autostrada sospesa: “e mi vergogno un po’ di averti detto sì, ora che ho più dignità…“). Mi sorprendo ogni volta a rivedere questo film e a starci dentro, perchè un film è innanzi tutto una visita dentro una storia raccontata da un altro, è un po’ come passare una serata a casa sua. Fulci -perfino nei suoi film più manifestamente comici- disegna uno sguardo, non ci fa affondare in un boudoir che riflette una immagine narcisistica. Conversa, ci coglie impreparati, ci racconta di quando ha provato per la prima volta quel turbamento da bambino, ci invita a riviverlo noi, a racontarlo a nostra volta, a ricordarlo se mai ce ne fossimo dimenticati, a guardare indietro con benevolenza a noi stessi: guardare, sempre guardare, non smettere mai di guardare…
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vincenzo carboni
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sabato 22 novembre 2008
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ponti, viadotti, tralicci...
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Ponti, viadotti, tralicci che salgono verso il cielo a sospendere vie di traffico sopra deserti di umanità. E’ questa la prima sequenza di ‘Non si sevizia un paperino’; una panoramica che culmina con uno zoom all’indietro fino ad arrivare al dettaglio della ‘maciara’ che scava la terra con le mani nude. Il viadotto sospeso lo ricordo come una immagine ricorrente nei film di Fulci (nello splendido finale di ‘Zombie 2’ gli zombie invadono New York dal ponte sospeso verso Manhattan mentre al livello inferiore il traffico metropolitano scorre tranquillo come in un giorno qualunque). Il viadotto è una arteria, è sospeso, incombente, indifferente. Chi passa sopra di esso -chiunque sia- non si cura di chi sta sotto; nè coloro che ne sono sovrastati si curano di ciò che passa in alto.
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Ponti, viadotti, tralicci che salgono verso il cielo a sospendere vie di traffico sopra deserti di umanità. E’ questa la prima sequenza di ‘Non si sevizia un paperino’; una panoramica che culmina con uno zoom all’indietro fino ad arrivare al dettaglio della ‘maciara’ che scava la terra con le mani nude. Il viadotto sospeso lo ricordo come una immagine ricorrente nei film di Fulci (nello splendido finale di ‘Zombie 2’ gli zombie invadono New York dal ponte sospeso verso Manhattan mentre al livello inferiore il traffico metropolitano scorre tranquillo come in un giorno qualunque). Il viadotto è una arteria, è sospeso, incombente, indifferente. Chi passa sopra di esso -chiunque sia- non si cura di chi sta sotto; nè coloro che ne sono sovrastati si curano di ciò che passa in alto. Sembra essere stato fatto per permettere un salto, per privare una volta di più dell’esperienza del viaggio e quindi dell’esperienza della visione (gli automobilisti –in quanto tali- si curano di vedere attraverso il parabrezza e non di deviare lo sguardo altrove, verso la ‘maciara’ morente sul ciglio della strada). La visione, appunto: forse parliamo di qualcosa di più del semplice vedere. E’ possibile dire che l’aspetto della visione è nel cinema un elemento paradossalmente (e ipnoticamente) accecante, e tutto il cinema di Fulci (compreso quello dignitosissimo di Franco e Ciccio se si considera il lavoro di visibilità bidimensionale fatto per questi due grandi attori) è stato un lavoro di dettaglio, quasi da patologo dell’occhio, per resistere a questo accecamento. Jean-Luc Nancy ha espresso una idea di cinema come volontà di dirigere meglio lo sguardo, e in questo senso Fulci ci ha aiutato a non deviare, a vedere la morte all’opera, a dirigere lo sguardo sulla violenza che non è mai astratta ma crudelmente –se mai fosse possibile il contrario- ‘incarnata’. La scena dell’omicidio della ‘maciara’ con la canzone di Ornella Vanoni a coprire ogni cosa (ma cosa deve essere coperto?), è proprio il viaggiare a doppio binario dell’occhio e della mente che dirige l’occhio, di una pressocchè totale assenza di simultaneità. Henry Bichat –fisiologo- in uno studio di inizio 800 dichiarava il proprio desiderio che il pensiero potesse avere l’agilità e la prontezza dell’occhio. Oggi possiamo forse dire che l’occhio acceca la mente, a meno che la mente non obblighi –come un carnefice- l’occhio a indulgere fino a che un pensiero possa formarsi. Come spiegare altrimenti la ‘benevola’ dedizione censoria a ‘tagliare’ (termine questo appropriato se si considera che ogni taglio sulla pellicola è un taglio inferto all’occhio-mente che vedrà) quelle scene che dovranno essere un ‘ponte’ –appunto- tra l’occhio e la mente. Il bambino che con la fionda colpisce la lucertola, la carne tranciata della ‘maciara’, sono queste il valore aggiunto della visione perché hanno il compito di creare una interruzione nel flusso linearmente visivo. Ci troviamo invece ad essere per lo più conducenti di un auto sospesi sopra un viadotto di cui non vediamo la terra su cui si posa, e tutto intorno a noi sembra volerci proteggere dallo scandalo di una visione impudica. Mi sono accorto che negli anni ho utilizzato spesso il cinema di Fulci (tutto il cinema di Fulci, non solo l’horror) come una palestra per educare il mio occhio a ‘vedere’. Di questo sono riconoscente a Fulci, ad uno degli uomini cioè –a mio avviso- più dotati di una speciale intelligenza visiva nel cinema italiano.
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suspiria
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giovedì 25 settembre 2008
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...e liberaci dal male
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Preti pedofili, magiare stregonesche, terreni riarsi dal sole in un sud italia magico ed arcano. Fulci, tanto osannato per le mattanze degli anni '80, gira i suo film più ispirato e compatto, morboso e malsano. Tra nani/bambini, la Vanoni in colonna sonora, Tomas Milian Pre Monnezza, si dispiega la ferocia di un regista che solo in altre sporadche occasioni (Sette note in nero) saprà tornare a certi livelli. Discostatosi dal filone argentiano che tanto andava per la maggiore (la trilogia uccello/gatto/mosche - seguita d arieti, code dello scorpione, farfalle insanguinate, gati dagli occhi di giada) Fulci gira, forse, il più bel thriller degli anni '70 (dopo Profondo Rosso,of course). Difficile vederlo integrale, resta una delle testimionianze più incisive di come, in quegli anni, il cinema italiano sapesse osare, spingendosi su un baratro infinito.
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stefano franzoni
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martedì 23 settembre 2008
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l'orrore alla luce del sole
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Tra i caldi campi e le amene valli della Lucania stanno cominciando a trovare spazio grandi strade ed enormi ponti. Ma là dove il progresso si sta prepotentemente facendo strada rimane in vita la retrograda ed ottusa mentalità di provincia, fatta di superstizioni ed irrazionali credenze. Così, non appena in un antico paesino vengono ammazzati alcuni bambini, è spontaneo per ogni paesano seguire alla ceca i primi sospetti e puntare il dito contro i membri meno "conformi" della comunità: lo scemo, la fattucchiera("maciara") o la giovane, ricca ed eccentrica giunta di recente da Milano. "Non si sevizia un paperino" è un film corale, senza un protagonista vero. Non lo è il curioso giornalista Andrea Martelli (interpretato da Tomas Milian), nè la "maciara" o la splendida Patrizia (Barbara Bouchet), giovane ereditiera milanese con passati problemi di droga in Lucania per volontà del padre.
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Tra i caldi campi e le amene valli della Lucania stanno cominciando a trovare spazio grandi strade ed enormi ponti. Ma là dove il progresso si sta prepotentemente facendo strada rimane in vita la retrograda ed ottusa mentalità di provincia, fatta di superstizioni ed irrazionali credenze. Così, non appena in un antico paesino vengono ammazzati alcuni bambini, è spontaneo per ogni paesano seguire alla ceca i primi sospetti e puntare il dito contro i membri meno "conformi" della comunità: lo scemo, la fattucchiera("maciara") o la giovane, ricca ed eccentrica giunta di recente da Milano. "Non si sevizia un paperino" è un film corale, senza un protagonista vero. Non lo è il curioso giornalista Andrea Martelli (interpretato da Tomas Milian), nè la "maciara" o la splendida Patrizia (Barbara Bouchet), giovane ereditiera milanese con passati problemi di droga in Lucania per volontà del padre. Lo sono, più di tutti, i bambini, che esprimono con i loro occhi una gran varietà d'emozioni, dalle risa dei calcetti all'oratorio al terrore di fronte alla morte. In questo contesto opera una polizia diversa dai suoi simili cinematografici, che ragiona e va al di là delle apparenze, lasciando sempre una seconda opportunità alla verità e combattendo con la volontà del volgo di trovare un colpevole a tutti i costi. Lucio Fulci, addentrandosi nel tetro regno del cinema del terrore, confeziona un meritevole thriller rurale e originale, atipico per la sua ambientazione principalmente diurna e provinciale, ed anticipa di 4 anni "La casa dalle finestre che ridono" di Avati, altra opera che fa onore al cinema horror del nostro Bel Paese e che si accosta a "Non si sevizia un paperino" per molti aspetti. Fulci risvolta come un pugno nello stomaco la comune idea dell'idilliaca provincia, lontana anni luce dai delitti,le rapine e i fatti di cronaca delle grandi città, quasi a voler svelare la triste verità che purtroppo l'orrore è ovunque, anche nei luoghi che da esso ci dovrebbero salvare... Non più i bui vicoli delle metropoli, le lunghe notti scure e senza stelle, ma il giorno, il sole e le ampie vallate senza ombra. Siamo ancora lontani dalle esplosioni di sangue degli horror che seguiranno ma qualche risvolto macabro lo troviamo anche qui, in due scene da citare. La prima è la sequenza finale, che purtroppo toglie pathos alla narrazione a causa dei disastrosi effetti speciali. Efficace è invece la scena madre del linciaggio, che nel suo coniugare selvaggia ferocia e fredda razionalità crea nello spettatore un forte senso di disagio. Da menzionare infine la modernissima casa di Patrizia, dal design futuristico, che stride con le bianche e vecchissime casette locali e la conturbante scena in cui la giovane, sdraiata nuda su una poltrona reclinabile, invita un bambino a portargli l'aranciata. Come non immedesimarsi nei pensieri di un bambino troppo timido per guardarla e troppo curioso per non farlo. Un film che colpisce per il suo rifuggire stereotipi e banalità, sia a livello narrativo che fotografico. Una buona opera sotto ogni aspetto. Da riscoprire.
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[+] curiosità
(di stefano franzoni)
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(di stefano franzoni)
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(di stefano franzoni)
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leoxx
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sabato 15 dicembre 2007
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ottimo fulci
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Reale, sadico, provocatorio, disturbante, nevrotico: uno dei film meno noti e più riusciti del cinema italiano. Capolavoro.
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