Non ci sarebbe manco bisogno di scriverlo ma il film è girato benissimo, mostruosamente bene. L'uso del grandangolo, il long take, il dolly... La prossemica inscritta nello sguardo della macchina da presa. Superbo, così come è felice il connubio Welles- Kafka. Oggi chi potrebbe riportare Kafka sulla pellicola? Chi potrebbe mettere in scena le sue tematiche? Sicuramente Terry Gilliam, Spike Jonze o Charlie Kaufman; mi piacerebbe vedere Il Processo adattato da uno di questi simpatici cineasti.
Il Processo, be', il soggetto è noto. Un uomo Josef K. viene svegliato la mattina (e il risveglio è "il momento più rischioso", così come si legge nel romanzo) da due agenti di polizia che gli notificano lo stato di arresto.
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Non ci sarebbe manco bisogno di scriverlo ma il film è girato benissimo, mostruosamente bene. L'uso del grandangolo, il long take, il dolly... La prossemica inscritta nello sguardo della macchina da presa. Superbo, così come è felice il connubio Welles- Kafka. Oggi chi potrebbe riportare Kafka sulla pellicola? Chi potrebbe mettere in scena le sue tematiche? Sicuramente Terry Gilliam, Spike Jonze o Charlie Kaufman; mi piacerebbe vedere Il Processo adattato da uno di questi simpatici cineasti.
Il Processo, be', il soggetto è noto. Un uomo Josef K. viene svegliato la mattina (e il risveglio è "il momento più rischioso", così come si legge nel romanzo) da due agenti di polizia che gli notificano lo stato di arresto. Per cosa viene arrestato? Non si sa, ma l'uomo -in attesa della condanna- può comunque muoversi liberamente seppur in modo estraniante nel labirintico sistema giudiziario-esistenziale. Dalla sua parte troverà solo le donne, donne che lo coccolano e lo seducono, gli vengono in soccorso giacché Josef K. ha bisogno di essere aiutato dalle donne. E come dargli torto?
Anche il film, ovviamente, ha una struttura claustrofobica, indirizzata verso un esito già inscritto nell'incipit. L'inquietante coterie di avvocati, giudici, funzionari, poliziotti da una parte e la sudditanza degli individui in attesa di giudizio dall'altra, poco più che un alienato marame -così come le scartoffie- prigioniero all'interno dello stesso tribunale. Nel mezzo si muove Josef K., interpretato in modo esemplare (ma per molti la scelta non fu per niente indovinata) da Anthony Perkins. Anthony Perkins dona secondo me un valore ulteriore al film. Io lo trovo ipnotico, nervoso ma non folle, sicuro ma non arrogante. Un attore che è piena fisicità. Diverge certo dal K. originario ma in fondo, se vuoi il Josef K. originario basta semplicemente leggersi il libro.
Josef K. si muove in una linea diacronica ed identitaria, lì nell'attesa -soprattutto- e in un agire non-agire pressoché ininfluente o forse già previsto e quindi auto-condannante. Sulla scorta di quella medesima linea in cui, probabilmente, si trova Kafka. Tra Il Processo e Il Castello. Nel margine o nella linea, per dire, derridariana della différance. O nel nulla di Sartre. Ma a parte questi miei deliri interpretativi o ermeneutici in sovrappeso, la chiave di tutto è forse nella chiave che Leni, domestica e infermiera -interpretata da una bellissima Romy Schneider- dona a K.. La chiave che gli permetterà di incontrare la ragazza quando vorrà. Così come la chiave di tutto è anche nella chiave dell'usciere della Corte, una chiave che non c'è.
Avere la chiave e non usarla, non avercela più ed averne bisogno. Continuamente. Il luogo ideale di Kafka e il luogo alienante che si rivela cestola imprigionante per Josef K..
Seppur traslato nell'ottica di Welles (ma risulterebbe poco interessante seguir pedissequamente questo tipo di romanzo) il suo Processo riflette bene quello originario kafkiano. Nelle varie scelte di regia, nelle modalità filmiche, nell'obiettivo grandangolare Il Processo di Welles veste-trucca più che appropriatamente Il Processo di Kafka, operando una felice collaborazione artistica più che mai contemporanea, sia nella forma che nella sostanza.
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