Paragonare Emma Bovary alla protagonista di Lettera da una sconosciuta è un totale nonsense. A meno di non considerarle simili solo perché preda di fantasie amorose. Emma è la donna che ama solo l'immagine di se stessa riamata, quasi a diventare l'eroina di uno dei romanzetti di bassa lega che legge. Lisa serve a Zweig per esprimere un totale nichilismo rispetto alla possibilità di essere amati, compresi. Il dialogo è impossibile, l'amore una faccenda solitaria. Lisa, questo è vero, non segue un destino precostituito. Ma non è affatto poco credibile provi fascinazione per il vile pianista e scelga di seguire, secondo l'ottica romantica della Vienna di inizio secolo, un impossibile sogno amoroso che non ha nulla di lezioso, semmai è tragedia. Di famiglia piccolo borghese, genitori meschinelli, il pianista le appare come un principe, un artista, quindi senza dubbio un essere superiore. Il film rende benissimo il romanzo ed è assolutamente irrilevante la distanza anagrafica tra Joan Fontaine e la protagonista. Rilevante semmai è la spietata descrizione della discrepanza tra quello che vede il cuore quando ci si innamora e la realtà. Parlare non serve, l'altro tanto non sente. Tant'è che l'unico che capisce tutto è il servo...muto.
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