Film noir di pregevolissima fattura, girato in modo magistrale dall’ottimo Mark Robson, che proprio con questa pellicola fece il suo debutto dietro la macchina da presa.
In questa sua opera prima Robson si distingue per la raffinata tecnica registica, esaltata dall’uso delle luci e delle ombre, elemento essenziale nei film noir, che il regista canadese dimostra di saper gestire in modo impeccabile.
Molto intrigante la storia narrata, capace di avvincere lo spettatore fino alla fine del film, peraltro di durata notevolmente contenuta.
L’opera affronta anche tematiche delicate come l’insofferenza per la vita e la voglia di farla finita, a cui si contrappone il desiderio di restarvi aggrappati per non rinunciare alle piccole e grandi gioie quotidiane; in questo senso è indimenticabile la scena conclusiva della pellicola, in cui questa complessa contrapposizione di stati d’animo viene rappresentata in modo magistralmente emblematico, invitando gli spettatori più attenti a profonde riflessioni.
Non ci sono personaggi azzeccati ed interpreti di grande carisma, realmente capaci di bucare lo schermo. Sul piano del cast la pellicola si segnala principalmente per il debutto della brava Kim Hunter, a cui va la parte femminile più presente in scena, benché quella che si ricorda di più è quella interpretata da Jean Brooks.
Nel film sono presenti numerose scene mitiche, suggestive e di grande effetto: tra queste si ricorda per la notevole suspense, quella in cui Jean Brooks cerca di sfuggire ad un sicario tra le cupe strade dei sobborghi della città. Altra scena di grande effetto è quella in cui Kim Hunter, mentre si trova sotto la doccia, viene minacciata da una sagoma femminile che si intravvede oltre la tenda della doccia medesima; questa sequenza, alquanto suggestiva ed inquietante, ha probabilmente ispirato la mitica scena della doccia di “Psyco” del maestro del brivido Alfred Hitchcock.
Una curiosità: il personaggio del Dottor Louis Judd, ricoperto da Tom Conway, è presente, sempre col medesimo interprete, anche in un altro film dell’epoca, “Il bacio della pantera” di Jacques Tourneur, che come questo film di Robson venne prodotto dal russo naturalizzato americano Val Lewton; tale circostanza porta quindi a considerare che le due pellicole siano collegate.
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