Titolo internazionale | Dust on the Tongue |
Anno | 2013 |
Genere | Drammatico |
Produzione | Colombia |
Durata | 86 minuti |
Regia di | Rubén Mendoza |
Attori | Richard Córdoba, Jairo Salcedo, Alma Rodriguez, Gabriel Mejía . |
MYmonetro | 2,75 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento lunedì 23 giugno 2014
Don Silvio è un violento, testardo, sessista e donnaiolo. Ha vissuto tutta la vita senza pensare agli altri. Ora chiede a due nipoti di ucciderlo.
CONSIGLIATO SÌ
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Don Silvio è un uomo rude, violento, sessista, testardo, sempre alla ricerca dello scontro benché sia ad un passo dalla morte. Ha trascorso la sua vita a bere, a maltrattare la moglie, a correre dietro ad altre donne da cui ha avuto un numero imprecisato di figli. Convinto che suicidarsi sia un atto poco virile, chiede a due dei suoi molti nipoti di ucciderlo, durante un viaggio in cui i tre devono spargere le ceneri della nonna da poco defunta.
Al suo secondo lungometraggio dopo The Stoplight Society, il colombiano Rubén Mendoza punta in alto, intrecciando i ricordi personali di un nonno amato-odiato alla finzione, con tanto di accenni al falso documentario, per avventurarsi nel tema dei legami di sangue. Non solo tra esseri umani, ma anche tra questi ultimi e la terra che abitano e che li ha generati, da cui finiscono con l'essere posseduti, quasi mutando in relazione ad essa. Personaggio certamente letterario, o meglio, mitico, quasi ancestrale, Don Silvio respinge e attrae lo spettatore, posto nella medesima condizione dei due nipoti, divisi tra l'odio per un carattere tanto abominevole e uno strano rispetto per una figura così monolitica, priva di qualsiasi filtro verso gli altri che non sia quello della propria libertà. È un film sulla fine, colmo di immagini di morte, gli animali, i campi aridi, la scelta di luci tenui, intriso di terra e cenere, di passaggi sgradevoli, di scelte stilistiche forti e non sempre condivisibili (alcuni movimenti di macchina francamente superflui). Così com'è, quest'opera seconda avrebbe tutti i numeri per funzionare davvero, con i suoi cambi di tono e la sua graduale discesa verso la rovina, se non fosse per un'eccessiva voglia di marcare ciò che già vediamo accadere, di ribadirlo fino allo sfinimento con sequenze esplicative: dopo aver sparato ad un cane sofferente, ad esempio, Don Silvio commenta «Quando si ama, si uccide». La legge di questo minaccioso tiranno è quella di una terra d'altri tempi, di una Colombia arcaica, di un organismo di credenze e comportamenti nei quali i giovani non vogliono più riconoscersi.
Mesto e crudele, Tierra en la lengua svela appieno il coinvolgimento emotivo del suo regista risultando, tuttavia, troppo scoperto nel ricorrere ad un simbolismo meccanico, specialmente nel tragico e ricercato finale.
L'innegabile vitalità registica di Rubén Mendoza avrebbe forse bisogno di un freno, di una maggiore pulizia di forme per ottenere quei risultati alti a cui già aspira. Comunque coinvolgente e generoso di spunti, è uno di quei titoli su cui si potrebbero versare fiumi di inchiostro.