Capitalism: A Love Story |
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Un film di Michael Moore.
Con Thora Birch, Wallace Shawn, Arnold Schwarzenegger, John McCain, William Black (II), Michael Moore.
continua»
Documentario,
Ratings: Kids+16,
durata 127 min.
- USA 2009.
- Mikado Film
uscita venerdì 30 ottobre 2009.
MYMONETRO
Capitalism: A Love Story
valutazione media:
3,38
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Capitalism: a love storydi G. RomagnaFeedback: 16232 | altri commenti e recensioni di G. Romagna |
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lunedì 24 maggio 2010 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Il racconto dell'attuale tracollo capitalistico muove i suoi primi passi dalla deregolamentazione reaganiana. Sono i tempi della finanziarizzazione e dell'ascesa dei manager di Wall Street. Il sistema va avanti arricchendosi sulla pelle del cittadino, compiendo così un’escalation che si rivela, in breve tempo, sì letale, ma solo per chi non ne è colpevole. Largo così ad agghiaccianti esempi di società private di gestione di carceri minorili che arrivano a corrompere giudici pur di far arrestare il maggior numero possibile di bambini per intascare poi i rimborsi federali, o di aziende che stipulano polizze assicurative sulla morte dei propri dipendenti (a loro insaputa, ovviamente) per poi incassarne introiti milionari una volta che queste avvengono. La compressione dei diritti della classe operaia trova tuttavia a far da contraltare la possibilità di usufruire di un mercato drogato dalla liquidità bancaria con cui occorre sostenere i consumi: si giunge allo scoppio della bolla dei subprime. Il loro funzionamento è quanto di più letale si possa immaginare: il possesso della casa viene portato ad essere percepito come un capitale di investimento del quale usufruire tramite continui rifinanziamenti del mutuo. Ciò non può che essere condotto ritoccando periodicamente verso l’alto i connessi tassi d’interesse. Tutto si rivela una gigantesca truffa nei confronti dei cittadini, circuìti ed abbindolati da cotanto marciume, e lo spropositato castello di carta crolla. Le banche cominciano a saltare come birilli. Si teme un nuovo ’29. Ecco però giungere dai meandri del ministero del tesoro il Piano Paulson, una vera e propria regalìa pubblica di 700 miliardi alle banche atti a rifinanziare il loro capitale senza che il governo pretenda una benché minima documentazione che ne identifichi il modo in cui sono stati spesi. Il popolo americano si mobilita e fa sì che il testo non venga approvato. Wall Street si mette in moto, e, segnando il momento di maggior divisione tra gli organi amministrativi del paese ed i suoi cittadini (nonchè tra democrazia e capitalismo), fa sì che nel giro di pochi giorni l’esito del voto sia ribaltato. Tutto si avvia a tornare come prima, sulle spoglie delle inermi vittime del sistema. Ma arriva Obama. Che un vento di reale cambiamento si profili? Ed è qui che, mi duole dirlo, Moore sbaglia: la sua visione del nuovo presidente appare infatti sin troppo edulcorata e speranzosa, come se la sua figura fosse (o perlomeno, mirante ad esserlo) indipendente dalle pressioni del capitale. Le apparenze potevano portare qualcuno in prima battuta a sperarlo (anche se resto convinto del contrario), ma, non occorreva poi così tanta lungimiranza per accorgersi che non era certo oro quel che luccicava, e che anche Obama era destinato a ridursi a mero simulacro capitalistico tramite il quale dare ad intendere di aver cambiato qualcosa affinché tutto restasse come prima. Anche il ricordo di Franklin D. Roosevelt appare un po' fuori luogo, allorquando si dipinge il presidente del New Deal (non esente, ricordiamolo, da politiche antioperaie e dall’adesione alla più catastrofica guerra della storia umana) nel suo eroico impegno verso la mai approvata Carta dei Diritti come colui che avrebbe contribuito ad importare negli USA quei valori di uguaglianza che stavano per attecchire nelle costituzioni europee, ignorando come anche qui, a livello di costituzione materiale, se ne faccia invece ugualmente strame ogni giorno. *** 1/2, nonostante tutto.
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