Il diario di un curato di campagna |
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Un film di Robert Bresson.
Con Claude Laydu, Jean Danet, Jean Riveyre, André Guibert, Antoine Balpêtre.
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Titolo originale Le journal d'un curé de campagne.
Drammatico,
Ratings: Kids+16,
b/n
durata 110 min.
- Francia 1950.
MYMONETRO
Il diario di un curato di campagna
valutazione media:
4,50
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Il diario di un curato di campagnadi G. RomagnaFeedback: 16232 | altri commenti e recensioni di G. Romagna |
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martedì 15 febbraio 2011 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Un giovane prete dalla salute cagionevole di una piccola parrocchia di campagna si trova a far fronte alle difficoltà del suo ministero. Le anime del paese gli sono lontane, le ragazze del catechismo si prendono gioco di lui e la sua scarsa esperienza di vita secolare gli impedisce di vivere come vorrebbe le sofferenze di chi gli si avvicina. Stringe un forte legame con una contessa, il cui marito lo considera un impiccione e la cui figlia, incattivita dagli anni di "clausura" entro le mura della tenuta, entra in rotta di collisione con lui. La signora è tormentata dalla morte del proprio figlio, e il curato vive con profondo trasporto il patimento di costei, sino a quando apprende della sua morte. Nel mentre le sue condizioni di salute si aggravano, la sofferenza ed il senso di inadeguatezza mettono in crisi la sua fede, ed in paese si fano forti le dicerie riguardanti una sua dipendenza dall'alcool. Una notte il malessere fisico e spirituale gli fanno perdere conoscenza in mezzo al bosco. Quando si risveglia a soccorrerlo ed accudirlo trova la bambina più propensa a farsi con perfidia gioco di lui durante la catechesi. L'immagine è come un segnale divino di redenzione. La visita medica che effettua in città a seguito del malore è impietosa: trattasi di cancro allo stomaco. La sua vita è segnata: il parroco non farà mai più ritorno al paese e morirà nella città stessa tra le braccia di un vecchio amici seminarista tornato provvisoriamente al secolo per motivi di salute. Le parole che pronunzierà al suo orecchio sul punto di spirare rivelano la summa del suo percorso di vita, così breve ma irto di travagli... Dopo l'espolorazione dei temi della fede e della redenzione nei buoni, negli sventurati e nei cattivi (Mouchette, Au Hasard Balthazar), Bresson mette magistralmente in scena la stessa questione sulla pelle di coloro che della fede sono ministri, illustrando un romanzo le cui pagine sembrano state scritte apposta per dare al regista francese modo di poterle raccontare per immagini. Il travaglio interiore, dilaniante, è l'aspetto dominante della pellicola, ed accosta in tutto e per tutto la parabola del protagonista a quella del calvario di Cristo, con la richiesta di allontanamento del calice al Monte degli Ulivi alla redenzione finale. La visione della realtà terrena resta la solita di Bresson: un universo fatto indistintamente di sventure e pena, in cui la religione è sì speranza, ma mai deterrenza o guida verso il raggiungimento di rettitudine nella parabola di vita. La differenza qui sta nel fatto che il contatto di Dio si fa diretto e sinonimo di pienezza - non può essere altrimenti, vista la sua professione - nell'esistenza del protagonista, ed il fatto permette di andare oltre la dimensione terrena per raggiungere finalmente pieno contatto con la sfera della salvezza e della forza della fede, senza rinnegare minimamente l'inevitabilità delle sofferenze umane dalla nascita alla morte. Bellissimo.
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