gianni lucini
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mercoledì 14 settembre 2011
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nel west le sfide tipiche dei peplum
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L’idea di mettere a confronto due tra gli eroi più amati dal pubblico è una delle scelte che hanno caratterizzato la stagione dei “peplum”, i film d’avventura d’ispirazione classica o mitologica nati in Italia sulla scia dei grandi kolossal statunitensi. Il meccanismo è semplice. Riprendendo il gioco senza età dei confronti (è più forte Ercole o Maciste?) si costruisce una storia nella quale, per un equivoco iniziale, due personaggi che in genere dovrebbero stare dalla stessa parte finiscono per ritrovarsi l’uno contro l’altro, salvo poi allearsi in extremis per punire il cattivo di turno. Il gioco diventa ancora più facile quando agli eroi a tutto tondo dei “peplum” si sostituiscono gli imperfetti antieroi del western all’italiana, solitari per definizione e poco disposti a dare confidenza a chicchessia.
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L’idea di mettere a confronto due tra gli eroi più amati dal pubblico è una delle scelte che hanno caratterizzato la stagione dei “peplum”, i film d’avventura d’ispirazione classica o mitologica nati in Italia sulla scia dei grandi kolossal statunitensi. Il meccanismo è semplice. Riprendendo il gioco senza età dei confronti (è più forte Ercole o Maciste?) si costruisce una storia nella quale, per un equivoco iniziale, due personaggi che in genere dovrebbero stare dalla stessa parte finiscono per ritrovarsi l’uno contro l’altro, salvo poi allearsi in extremis per punire il cattivo di turno. Il gioco diventa ancora più facile quando agli eroi a tutto tondo dei “peplum” si sostituiscono gli imperfetti antieroi del western all’italiana, solitari per definizione e poco disposti a dare confidenza a chicchessia. In Django sfida Sartana il meccanismo è proprio quello classico anche se Pasquale Squitieri modifica le caratteristiche di Django che soprattutto all’inizio del film è molto lontano dall’ombroso e tormentato vendicatore nato dalla fantasia di Sergio Corbucci. Più eroe che antieroe è un inusuale pistolero buono e altruista quello che all’inizio del film lavora in squadra con altri bravi cittadini per dare la caccia alla banda del Corvo. Il suo mantello è pulito, di buon taglio e non interamente nero. Quasi a sottolinearne la sostanziale “normalità” gli affianca addirittura un fratello impiegato di banca. Per contrasto è Sartana ad avere le stimmate dell’ombroso e solitario pistolero che vive nelle zone d’ombra poste ai margini della legalità. Nerissimo, silenzioso e sfuggente è il reietto che viene vissuto come un diverso e respinto dalla comunità allo stesso modo del pianista nero del saloon che subisce i pesanti scherzi razzisti del giovane Fabian. Le caratteristiche dei due protagonisti si mantengono immutate fino alla fine e proprio l’unione di due personalità così differenti finisce per diventare l’elemento più suggestivo del film.
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gianni lucini
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mercoledì 14 settembre 2011
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una colonna sonora dalle tinte jazz
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Non è nell’eccessiva caratterizzazione dei protagonisti il rischio maggiore per un regista che ha il compito di dirigere un film come Django sfida Sartana, ma nella trappola della banalizzazione. Quando ci si trova a girare in pochi giorni una storia imperniata su due personaggi così amati dal pubblico la tentazione è quella di limitarsi a definirne i contorni e lasciare che il resto venga da sé. La storia della cosiddetta “cinematografia di genere” italiana è costellata da lungometraggi in cui la caratterizzazione del protagonista supplisce alle carenze di una regia frettolosa. Non è il caso del film di Pasquale Squitieri, il quale evita la trappola grazie a una serie di sequenze e trovate decisamente interessanti, a partire dal messicano muto abilissimo a suonare l’armonica che appare quasi un omaggio a Sergio Leone.
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Non è nell’eccessiva caratterizzazione dei protagonisti il rischio maggiore per un regista che ha il compito di dirigere un film come Django sfida Sartana, ma nella trappola della banalizzazione. Quando ci si trova a girare in pochi giorni una storia imperniata su due personaggi così amati dal pubblico la tentazione è quella di limitarsi a definirne i contorni e lasciare che il resto venga da sé. La storia della cosiddetta “cinematografia di genere” italiana è costellata da lungometraggi in cui la caratterizzazione del protagonista supplisce alle carenze di una regia frettolosa. Non è il caso del film di Pasquale Squitieri, il quale evita la trappola grazie a una serie di sequenze e trovate decisamente interessanti, a partire dal messicano muto abilissimo a suonare l’armonica che appare quasi un omaggio a Sergio Leone. Originale e suggestiva è anche la colonna sonora di Piero Umiliani che spesso si avventura in inusuali e gradevoli brani dalle esplicite atmosfere jazz. Tutt’altro che superficiali appaiono infine alcune sequenze come quella del cerchio sfuggito alla bambina che Sartana salva dalle zampe dei cavalli in corsa o come quella dell’arrivo di Django a Tombstone sotto la pioggia mentre il paese è deserto dopo la sbornia collettiva del linciaggio di Steve.
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