Film scritto e diretto da una perfetta sconosciuta, almeno in Italia, regista neozelandese, Gaylene Preston, che inizia come thriller routinario, col maniaco di turno che rapisce una donna portandola su di un’isola deserta, e subito si trasforma in un dramma della follia. Troppo rapido il cambio di tono e per nulla approfondito il profilo psicologico dei due personaggi principali, per non dire unici, soprattutto della donna, sebbene la storia sia incentrata su di lei ed implicitamente sul suo vissuto che si intuisce traumatico e avrebbe quindi meritato maggiore attenzione, non fosse altro che per rendere motivata la sua repentina trasformazione, che, invece, appare del tutto gratuita e senza senso.
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Film scritto e diretto da una perfetta sconosciuta, almeno in Italia, regista neozelandese, Gaylene Preston, che inizia come thriller routinario, col maniaco di turno che rapisce una donna portandola su di un’isola deserta, e subito si trasforma in un dramma della follia. Troppo rapido il cambio di tono e per nulla approfondito il profilo psicologico dei due personaggi principali, per non dire unici, soprattutto della donna, sebbene la storia sia incentrata su di lei ed implicitamente sul suo vissuto che si intuisce traumatico e avrebbe quindi meritato maggiore attenzione, non fosse altro che per rendere motivata la sua repentina trasformazione, che, invece, appare del tutto gratuita e senza senso. Sam Neil tenta il ruolo di protagonista ma non riesce a liberarsi da quello dell’eterno comprimario, finendo succube della più forte personalità di Rachael Blake, volto, peraltro, poco noto del cinema, con soli quattro film all’attivo di cui questo è l’ultimo. Il plot sarebbe stato forse anche interessante se non fosse per il romanticume che affligge la pellicola, rendendola un ibrido indigesto a metà strada tra Ghost e Robinson Crusoe, e la scelta del cast, con attori che, seppur bravi, risultano, eufemisticamente, poco empatici e coinvolgenti.
Gaylene Preston è tornata a girare documentari.
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