lorenzo pisano
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venerdì 18 marzo 2011
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la forza dei pregiudizi
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Buio. Un pub di sera, dei ragazzi festosi. Un esplosione. La primissima scena (che rievoca propriamente quello che Hitckock definiva “stupore”) di questo lavoro di Jim Sheridan ci proietta in un mondo quasi medievale, dominato da soprusi indicibili e da terrore costante, dove i diritti sono calpestati e si combatte quotidianamente per sopravvivere. Il film è tratto dall’autobiografia di Gerry Conlon, un’agghiacciante storia vera, un processo indegno, nel quale sarà coinvolta gran parte della famiglia Conlon, bambini compresi, accusati di essere una rete d’appoggio per i terroristi dell'IRA; e saranno tutti condannati, grazie a prove fumose ma soprattutto alla forza dei pregiudizi e all’esigenza di un capro espiatorio.
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Buio. Un pub di sera, dei ragazzi festosi. Un esplosione. La primissima scena (che rievoca propriamente quello che Hitckock definiva “stupore”) di questo lavoro di Jim Sheridan ci proietta in un mondo quasi medievale, dominato da soprusi indicibili e da terrore costante, dove i diritti sono calpestati e si combatte quotidianamente per sopravvivere. Il film è tratto dall’autobiografia di Gerry Conlon, un’agghiacciante storia vera, un processo indegno, nel quale sarà coinvolta gran parte della famiglia Conlon, bambini compresi, accusati di essere una rete d’appoggio per i terroristi dell'IRA; e saranno tutti condannati, grazie a prove fumose ma soprattutto alla forza dei pregiudizi e all’esigenza di un capro espiatorio.
In carcere George e Giuseppe saranno costretti dalla vicinanza a riesaminare il loro rapporto, e soprattutto George attraverserà un lungo processo di maturazione, grazie alla moralità incrollabile di Giuseppe che dopotutto è stato l’unico vero punto di riferimento stabile di tutta la vita di George. Dopo 14 anni di carcere, il processo verrà riesaminato grazie agli sforzi di Giuseppe, George e del’avvocatessa Peirce.
In tutto il film si susseguono scene esplosive, sia visivamente, sia in quanto a tensione drammatica. La situazione terribilmente surreale per la sua assurdità, l’ingiustizia subita, il crollo di ogni certezza, la menzogna, coinvolgono lo spettatore e lo fanno gridare di rabbia insieme a George. Il padre è l’unica figura d’appoggio, nella sua innocenza, candore di ideali e serietà. È una persona onesta ed ammirevole, che spera che il figlio riesca a trovare la sua via ma non è mai stato in grado di far sentire George accettato. Per questo il giovane agisce sempre dando per scontato che non avrà la stima del padre, e quindi si lascia andare a comportamenti sbagliati.
Questo rapporto di amore-odio col padre è comunque fortissimo nel bene o nel male: basti ricordare una scena: quando il padre viene incarcerato, George riconosce la sua voce e lo intravede dallo spioncino della cella: nudo, vecchio, bianco per la sostanza antipulci. Urla il suo nome. È una visione terribile, è come l’apparizione di un fantasma, un incubo, un dio immolato per lui, che lo ha sempre seguito e protetto per tutta la vita e che anche adesso gli è vicino, nell’ora più buia.
Tutta la vicenda del film si basa sull’equivoco e sulla deliberata menzogna; George arriverà a dire che “le parole non significano niente”, e tutto sembra dargli ragione, inoltre la certezza della propria innocenza è come un macigno che gli pesa addosso, cosi come dovrebbe pesare addosso agli agenti che hanno sacrificato la sua vita e quella dei suoi parenti.
Questo è anche un film sulla paura; paura del confronto col padre, paura per la propria incolumità, la paura ottusa e ignorante delle masse che puntano il dito, paura di morire in carcere.
È impressionante pensare quanto poco tempo fa si siano verificati questi eventi, dalla inconcepibile drammaticità, che un film può solo sfiorare, pur generando una fortissima carica emotiva e sete di giustizia, e profonda compassione ed immedesimazione con i personaggi.
In definitiva il film è appassionante e si lascia seguire, forse un po’ didascalico, ma da vedere.
Candidato a 7 statuette, porta a casa solo gli applausi di critica e pubblico.
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kyuss
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mercoledì 10 agosto 2011
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rapsodia di dolore e redenzione
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Uscito nel 1993, Mel nome del padre è, tuttora, esempio eclatante di film impegnato e magistralmente girato.
Vogliasi la recitazione minimale di Postlewhite (il suo Giuseppe è umano, fragile e fortissimo nello stesso tempo), il talento purissimo di Daniel Day-Lewis (uno dei migliori attori degli ultimi vent'anni) o la combattività di Emma Thompson, il film sembra essere un inno disperato ad una stagione compressa fra felicità (gli ultimi scampoli della Londra hippy) e dolore (la minaccia dell'IRA, gli spettri del Sunday Bloody Sunday, la reazione autoritaria dell'inerme polizia inglese).
Concettualmente il film si snoda su un filone principale (il processo e gli avvenimenti che l'hanno preceduto), in cui emergono prepotenti schegge di denuncia sociale (l'inizio della storia è un sordo dolore/orrore che si ripercuote su tutto il film) e rapporti interpersonali; e
su quest'ultimo aspetto ci sarebbe da aprire più di una parentesi.
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Uscito nel 1993, Mel nome del padre è, tuttora, esempio eclatante di film impegnato e magistralmente girato.
Vogliasi la recitazione minimale di Postlewhite (il suo Giuseppe è umano, fragile e fortissimo nello stesso tempo), il talento purissimo di Daniel Day-Lewis (uno dei migliori attori degli ultimi vent'anni) o la combattività di Emma Thompson, il film sembra essere un inno disperato ad una stagione compressa fra felicità (gli ultimi scampoli della Londra hippy) e dolore (la minaccia dell'IRA, gli spettri del Sunday Bloody Sunday, la reazione autoritaria dell'inerme polizia inglese).
Concettualmente il film si snoda su un filone principale (il processo e gli avvenimenti che l'hanno preceduto), in cui emergono prepotenti schegge di denuncia sociale (l'inizio della storia è un sordo dolore/orrore che si ripercuote su tutto il film) e rapporti interpersonali; e
su quest'ultimo aspetto ci sarebbe da aprire più di una parentesi.
Il duetto fra Postlewhite/Giuseppe e Daniel/Gerry è bilanciato ed armonioso, scuotendo l'animo con l'apparenza della fragilità di Giuseppe nei confronti del figlio (sconquassante è la frase detta in cella "avevamo vinto e tu hai visto solo il mio fallo..." e la messa alla berlina della salute cagionevole di Giuseppe), la maturazione del rapporto con il peggiorare della salute di Conlon Sr. e la presa di coscienza di Gerry (le cui sofferte "aperture" all'amato/odiato padre sono catarsi pura e specchio di una tenerezza/fragilità insita e mai ammessa nell'animo del figlio e di una forza d'animo immensa del padre) ed il conclusivo librarsi della nuova personalità di Gerry sul finire della pellicola, in cui si farà forza "nel nome del padre".
La regia di Sheridan è schietta e puntuale, non si sofferma morbosamente sui particolari ma lascia scorrere la narrazione, creando un contesto ideale nel cui inserire le varie ambientazioni e situazioni (la libertà e gli eccessi di Londra, l'incubo della prigionia ed il dibattimento in tribunale).
Consigliato vivamente a chi non si accontenta di emozioni da discount.
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orfeo93
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domenica 6 ottobre 2013
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un film coraggioso, commovente, onesto e potente!
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Non c’è un velo di incertezza nel dire che Nel Nome del Padre sia un bellissimo film, retto da una sceneggiatura ed una regia di spessore e solida, che non scade mai nel banale e priva di alcun calo tecnico. Un’opera realizzata non solo per mettere in luce gli errori e gli scandali di un governo che si faceva garante di giustizia e sicurezza, ma soprattuto per parlare del rapporto tra due uomini (padre e figlio) legati l’un l’altro, tanto vicini quanto distanti per idee e psicologia.
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Non c’è un velo di incertezza nel dire che Nel Nome del Padre sia un bellissimo film, retto da una sceneggiatura ed una regia di spessore e solida, che non scade mai nel banale e priva di alcun calo tecnico. Un’opera realizzata non solo per mettere in luce gli errori e gli scandali di un governo che si faceva garante di giustizia e sicurezza, ma soprattuto per parlare del rapporto tra due uomini (padre e figlio) legati l’un l’altro, tanto vicini quanto distanti per idee e psicologia. Sullo sfondo un’Irlanda/Inghilterra sconquassata dagli attentati terroristici, dalle bombe e dalla repressa voglia di libertà, Sheridan realizza un qualcosa che può essere visto su più livelli, non risparmiandosi nel denunciare i metodi del governo inglese, ma puntando sempre l’attenzione sui personaggi, filmando un’opera onesta, coraggiosa e con una forte morale. La pellicola vanta, inoltre, una colonna sonora eccellente, con brani realizzati da artisti made in ireland ed un cast più che eccezionale di cui fanno parte Daniel Day-Lewis, Pete Postlethwaite e Emma Thompson, capace di dar vita a performances convincenti e da antologia. Jim Sheridan mette ancora una volta sullo schermo l’amore e la sofferenza che prova verso la sua terra natale, quella verde Irlanda condannata dagli inglesi e piena di lotte intestine.Il film, qualora non fosse abbastanza chiaro, è consigliato e promosso a pieni voti.
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filippo catani
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giovedì 9 giugno 2011
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la forza della disperazione
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A metà degli anni '70 Belfast è devastata dalla lotta tra indipendentisti e lealisti. Un giovane ragazzo che di lavoro fa un po' il perdigiorno e un po' il ladruncolo decide di trasferirsi a Londra. Durante il viaggio incontra un amico d'infanzia e insieme sbarcano nella capitale. Quì, dopo essere stati ospitati da una comunità hippy, andranno incontro ad un terribile destino; verranno infatti arrestati per una bomba esplosa in un pub. Insieme a loro, in base alla nuova legge che ampliava i poteri della polizia, vengono arrestati anche alcuni familiari tra cui il padre di uno dei due ragazzi. Per dimostrare la propria innocenza i nord irlandesi dovranno fare i conti con funzionari di polizia senza scrupoli e con la durissima vita del carcere.
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A metà degli anni '70 Belfast è devastata dalla lotta tra indipendentisti e lealisti. Un giovane ragazzo che di lavoro fa un po' il perdigiorno e un po' il ladruncolo decide di trasferirsi a Londra. Durante il viaggio incontra un amico d'infanzia e insieme sbarcano nella capitale. Quì, dopo essere stati ospitati da una comunità hippy, andranno incontro ad un terribile destino; verranno infatti arrestati per una bomba esplosa in un pub. Insieme a loro, in base alla nuova legge che ampliava i poteri della polizia, vengono arrestati anche alcuni familiari tra cui il padre di uno dei due ragazzi. Per dimostrare la propria innocenza i nord irlandesi dovranno fare i conti con funzionari di polizia senza scrupoli e con la durissima vita del carcere.
Tratto dall'autobiografia del protagonista principale della vicenda interpretato nel film da Day Lewis, il film mostra con crudezza quale fosse la situazione dell'Irlanda del Nord. Ma ancora di più ci mette davanti agli occhi un tema di strettissima attualità; l'aumento dei poteri della polizia in occasioni particolari come la guerra al terrorismo si rivela un'arma a doppio taglio specie con funzionari corrotti o dediti alla tortura. Inoltre è davvero toccante il rapporto tra un padre non esattamente carismatico e il figlio cresciuto allo sbando a causa della mancanza di una figura guida. Lynch e Day Lewis sono strepitosi e ottima prova anche per una intensa Emma Thompson. Inspiegabilmente il film non ottenne premi Oscar.
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williamd
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domenica 19 luglio 2015
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troppo emozionante!!!
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Durante gli anni più accesi del crudo conflitto nordirlandese alla polizia britannica vengono ampliati i poteri per quando riguarda la detenzione di sospetti terroristi. Gli attenti a Londra nel periodo dei cosiddetti “anni di fuoco” del 1972-73 sono molti comuni, ma non sempre diviene possibile identificare i fautori di tali atti. La drammatica esplosione di una bomba in un pub della cittadina di Guildford è uno di quei casi in cui non ci sono veri e propri sospetti, e così la polizia decide di accusare ingiustamente un gruppo di quattro hippy irlandesi, scappati da Belfast a causa dei continui scontri. Tra i quattro troviamo anche Gerry (Daniel Day-Lewis) che sottoposto a violenze fisiche e morali – come ai suoi tre sfortunati compagni – si trova costretto – dopo aver tentano a lungo, ma invano, a non cedere – a firmare una dichiarazione di colpevolezza: la sua condanna all’ergastolo.
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Durante gli anni più accesi del crudo conflitto nordirlandese alla polizia britannica vengono ampliati i poteri per quando riguarda la detenzione di sospetti terroristi. Gli attenti a Londra nel periodo dei cosiddetti “anni di fuoco” del 1972-73 sono molti comuni, ma non sempre diviene possibile identificare i fautori di tali atti. La drammatica esplosione di una bomba in un pub della cittadina di Guildford è uno di quei casi in cui non ci sono veri e propri sospetti, e così la polizia decide di accusare ingiustamente un gruppo di quattro hippy irlandesi, scappati da Belfast a causa dei continui scontri. Tra i quattro troviamo anche Gerry (Daniel Day-Lewis) che sottoposto a violenze fisiche e morali – come ai suoi tre sfortunati compagni – si trova costretto – dopo aver tentano a lungo, ma invano, a non cedere – a firmare una dichiarazione di colpevolezza: la sua condanna all’ergastolo. Innocente ma in galera, “Nel nome del padre” è un doloroso grido di libertà, di giustizia. Emozionantissimo, il film dal regista di Jim Sheridan è capace di infondere nello spettatore la stessa rabbia e forza che vivono i protagonisti.
Tratto dal romanzo autobiografico “Proved Innocent” di Gerry Conlon, il lungometraggio racconta il furore di un figlio che vede suo padre finire illecitamente dietro le sbarre e anche morirci. Candidato a sette statuette dorate, “Nel nome del padre” trasmette e coinvolge come pochi film sanno fare. Daniel Day-Lewis, superbo come sempre, riesce a suscitare e a far vivere al pubblico le sue stesse roventi ed esplosive emozioni; perché (citando Oscar Wilde) vi è una sola cosa peggiore dell'ingiustizia: la giustizia senza la spada in mano. Quando il diritto non è la forza, è male.
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