Nel nome del padre

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Un film di Jim Sheridan. Con Emma Thompson, Daniel Day-Lewis, John Lynch, Pete Postlethwaite, Jerry Concon.
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Titolo originale In the name of the father. Drammatico, Ratings: Kids+16, durata 133 min. - Irlanda 1993. - UIP - United International Pictures uscita lunedì 1 agosto 1994. MYMONETRO Nel nome del padre * * * 1/2 - valutazione media: 3,55 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

la forza dei pregiudizi Valutazione 3 stelle su cinque

di Lorenzo Pisano


Feedback: 12452 | altri commenti e recensioni di Lorenzo Pisano
venerdì 18 marzo 2011

Buio. Un pub di sera, dei ragazzi festosi. Un esplosione. La primissima scena (che rievoca propriamente quello che Hitckock definiva “stupore”) di questo lavoro di Jim Sheridan ci proietta in un mondo quasi medievale, dominato da soprusi indicibili e da terrore costante, dove i diritti sono calpestati e si combatte quotidianamente per sopravvivere. Il film è tratto dall’autobiografia di Gerry Conlon, un’agghiacciante storia vera, un processo indegno, nel quale sarà coinvolta gran parte della famiglia Conlon, bambini compresi, accusati di essere una rete d’appoggio per i terroristi dell'IRA; e saranno tutti condannati, grazie a prove fumose ma soprattutto alla forza dei pregiudizi e all’esigenza di un capro espiatorio. In carcere George e Giuseppe saranno costretti dalla vicinanza a riesaminare il loro rapporto, e soprattutto George attraverserà un lungo processo di maturazione, grazie alla moralità incrollabile di Giuseppe che dopotutto è stato l’unico vero punto di riferimento stabile di tutta la vita di George. Dopo 14 anni di carcere, il processo verrà riesaminato grazie agli sforzi di Giuseppe, George e del’avvocatessa Peirce. In tutto il film si susseguono scene esplosive, sia visivamente, sia in quanto a tensione drammatica. La situazione terribilmente surreale per la sua assurdità, l’ingiustizia subita, il crollo di ogni certezza, la menzogna, coinvolgono lo spettatore e lo fanno gridare di rabbia insieme a George. Il padre è l’unica figura d’appoggio, nella sua innocenza, candore di ideali e serietà. È una persona onesta ed ammirevole, che spera che il figlio riesca a trovare la sua via ma non è mai stato in grado di far sentire George accettato. Per questo il giovane agisce sempre dando per scontato che non avrà la stima del padre, e quindi si lascia andare a comportamenti sbagliati. Questo rapporto di amore-odio col padre è comunque fortissimo nel bene o nel male: basti ricordare una scena: quando il padre viene incarcerato, George riconosce la sua voce e lo intravede dallo spioncino della cella: nudo, vecchio, bianco per la sostanza antipulci. Urla il suo nome. È una visione terribile, è come l’apparizione di un fantasma, un incubo, un dio immolato per lui, che lo ha sempre seguito e protetto per tutta la vita e che anche adesso gli è vicino, nell’ora più buia. Tutta la vicenda del film si basa sull’equivoco e sulla deliberata menzogna; George arriverà a dire che “le parole non significano niente”, e tutto sembra dargli ragione, inoltre la certezza della propria innocenza è come un macigno che gli pesa addosso, cosi come dovrebbe pesare addosso agli agenti che hanno sacrificato la sua vita e quella dei suoi parenti. Questo è anche un film sulla paura; paura del confronto col padre, paura per la propria incolumità, la paura ottusa e ignorante delle masse che puntano il dito, paura di morire in carcere. È impressionante pensare quanto poco tempo fa si siano verificati questi eventi, dalla inconcepibile drammaticità, che un film può solo sfiorare, pur generando una fortissima carica emotiva e sete di giustizia, e profonda compassione ed immedesimazione con i personaggi. In definitiva il film è appassionante e si lascia seguire, forse un po’ didascalico, ma da vedere. Candidato a 7 statuette, porta a casa solo gli applausi di critica e pubblico.

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