paolo bisi
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giovedì 10 marzo 2011
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la leggenda della casbah e di jean gabin
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Pèpè le Moko, celebre bandito francese, è costretto a vivere nella Casbah di Algeri, unico luogo dove può difendersi dagli assalti della polizia. Quando si innamora di Gabì, decide di lasciare la Casbah, sapendo benissimo a cosa sta andando incontro. Catturato dalla polizia al porto, dopo aver visto partire Gabì, si toglie la vita. Il decimo film di Duvivier è una di quelle opere senza tempo, che non moriranno mai. Tanti elementi contribuiscono a creare un'atmosfera straordinaria: la meravigliosa ambientazione della Casbah, quartiere affascinante e misterioso; gli ottimi dialoghi che danno grande slancio al film, portando la narrazione sempre al centro dell'attenzione; infine soprattutto il personaggio di Jean Gabin, che con quest'opera si consacra come l'attore per eccellenza del realismo poetico e uno dei migliori attori francesi di tutti i tempi.
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Pèpè le Moko, celebre bandito francese, è costretto a vivere nella Casbah di Algeri, unico luogo dove può difendersi dagli assalti della polizia. Quando si innamora di Gabì, decide di lasciare la Casbah, sapendo benissimo a cosa sta andando incontro. Catturato dalla polizia al porto, dopo aver visto partire Gabì, si toglie la vita. Il decimo film di Duvivier è una di quelle opere senza tempo, che non moriranno mai. Tanti elementi contribuiscono a creare un'atmosfera straordinaria: la meravigliosa ambientazione della Casbah, quartiere affascinante e misterioso; gli ottimi dialoghi che danno grande slancio al film, portando la narrazione sempre al centro dell'attenzione; infine soprattutto il personaggio di Jean Gabin, che con quest'opera si consacra come l'attore per eccellenza del realismo poetico e uno dei migliori attori francesi di tutti i tempi. L'impossibilità della salvezza, ma nonostante questo la ricerca di ogni tentativo per raggiungerla, è tipica dei personaggi di questo movimento ed è una delle ragioni del suo grande fascino. Da ricordare tanti momenti, ma forse più di ogni altro la sequenza in cui Pepè scende dalla Casbah arrivando alla città, ricostruita interamente in studio in modo magistrale. Pochi altri film hanno saputo influenzare il cinema del dopoguerra come questo. Assolutamente imperdibile.
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il cinefilo
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lunedì 27 settembre 2010
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intrigante cult movie francese
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TRAMA:La storia si svolge ad Algeri,dove il bandito Pèpè Le Moko trova rifugio presso la Casbah dove la polizia non può catturarlo e tutto sembra andare per il meglio,fino a quando non si innamora di una ragazza francese...COMMENTO:Il regista Julien Duviver realizza una delle opere che,successivamente,saranno considerate di grande importanza all'interno del filone cinematografico del"realismo poetico"anche se,probabilmente,malgrado la fama(comunque meritata)non è da annoverarsi tra i suoi migliori esponenti malgrado la coppia Jean Gabin-Mireille Babin(che interpreta Gaby)riesce effettivamente a fare"scintille".
La tonalità leggermente umoristica della storia lascia,verso il finale,campo libero alla tragedia e sembrerebbe trasparire(in maniera particolarmente velata)nel corso della vicenda,una forma di"parallelismo"con il film SCARFACE di Howard Hawks rendendolo quasi una specie di gangster movie.
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g. romagna
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giovedì 24 dicembre 2009
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pepè le moko
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Il film è senza dubbio ben condotto, con una trama semplice ma avvincente e uno Jean Gabin in grande forma (come sempre del resto) anche in un ruolo -quello del malvivente- non propriamente suo. Bellissimo e struggente è poi il finale. L'unico limite -e non è poco- di questo film sta nelle forzature connesse al suo inserimento nel filone del realismo poetico: è infatti assai leggero far dipendere le azioni di un super-latitante e la sua conseguente cattura dall'innamoramento verso una donna conosciuta pochi giorni prima. Va bene che al cuor non si comanda, ma probabilmente si è azzardato un po' troppo. Alla luce di ciò, ci si trova di fronte ad una pellicola sicuramente bella e gradevole da guardare, ma in cui quell'esperienza totalizzante dell'amore, che nei film di Marcel Carnè e Jean Renoir diveniva il punto di forza, appare eccessivamente didascalica ed inadatta ad una vicenda che si sarebbe invece ben prestata ad altri sviluppi in tipologie diverse di film.
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Il film è senza dubbio ben condotto, con una trama semplice ma avvincente e uno Jean Gabin in grande forma (come sempre del resto) anche in un ruolo -quello del malvivente- non propriamente suo. Bellissimo e struggente è poi il finale. L'unico limite -e non è poco- di questo film sta nelle forzature connesse al suo inserimento nel filone del realismo poetico: è infatti assai leggero far dipendere le azioni di un super-latitante e la sua conseguente cattura dall'innamoramento verso una donna conosciuta pochi giorni prima. Va bene che al cuor non si comanda, ma probabilmente si è azzardato un po' troppo. Alla luce di ciò, ci si trova di fronte ad una pellicola sicuramente bella e gradevole da guardare, ma in cui quell'esperienza totalizzante dell'amore, che nei film di Marcel Carnè e Jean Renoir diveniva il punto di forza, appare eccessivamente didascalica ed inadatta ad una vicenda che si sarebbe invece ben prestata ad altri sviluppi in tipologie diverse di film. Poichè una mezza stella non può essere aggiunta al giudizio sovrastante, lo faccio qui in maniera ufficiosa.
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prof. unrhat
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venerdì 8 febbraio 2008
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tra i capolavori della cinematografia francese
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Entra bene nella grande stagione dei cinema francese degli anni '30 e '40, che conobbe registi di grande spessore: Renoir, Carné, Clair, Duvivier, appunto. L'esperienza di questo cinema francese fu alla base del cinema italiano neorealista del dopoguerra '45-'60. In sé, la storia di Pepé le Moko è quella di una solitaria ricerca di libertà che rifiuta le regole della società, né più né meno dell'altro successivo personaggio interpretato dallo stesso grandissimo Gabin in Le jour se leve di Carné del 1941. Quanto oggi è poco conosciuto e ripercorso dal pubblico giovane questo splendido momento del cinema!
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breberto
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giovedì 14 giugno 2007
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un culto da sfatare
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Se vogliamo ragionare con un criterio di affetto e legame al vecchio cinema ben fatto (quello che i registi della nouvelle vague chiamavano cinéma de papà) allora potremo anche accettare di rivedere questo film ed essere anche inteneriti e ammirati ogni tanto (ci sono ottimi movimenti di macchina e bei primi piani) ma se consideriamo il valore del film oggi, nudo e crudo, dobbiamo concludere che è poca cosa, o almeno che è irrimediabilmente datato. Quello che infastidisce è l'eccesso di romanticismo nella figura del protagonista, la superficialità delle figure di contorno, il manierismo nella ricostruzione della Casbah. Se pensiamo ai film di gangster che avevano inaugurato qualche anno prima il decennio, dobbiamo concludere che resistono molto meglio: Scarface, Piccolo Cesare, quelli con James Cagney, perchè non c'è la tara del 'realismo poetico'.
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Se vogliamo ragionare con un criterio di affetto e legame al vecchio cinema ben fatto (quello che i registi della nouvelle vague chiamavano cinéma de papà) allora potremo anche accettare di rivedere questo film ed essere anche inteneriti e ammirati ogni tanto (ci sono ottimi movimenti di macchina e bei primi piani) ma se consideriamo il valore del film oggi, nudo e crudo, dobbiamo concludere che è poca cosa, o almeno che è irrimediabilmente datato. Quello che infastidisce è l'eccesso di romanticismo nella figura del protagonista, la superficialità delle figure di contorno, il manierismo nella ricostruzione della Casbah. Se pensiamo ai film di gangster che avevano inaugurato qualche anno prima il decennio, dobbiamo concludere che resistono molto meglio: Scarface, Piccolo Cesare, quelli con James Cagney, perchè non c'è la tara del 'realismo poetico'. Carné qualche anno dopo farà un po' meglio ma anche i suoi film appaiono datati. Vogliamo dare ragione ai registi della nouvelle vague che usavano l'espressione citata sopra in senso dispregiativo? Forse sì.
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