Una scrittrice di nome Sandra, famosa per romanzi in cui mescola liberamente autobiografia e finzione, viene intervistata nel suo chalet di montagna, vicino a Grenoble. C’è ancora la neve intorno. La casa è senza lussi (si dirà poi di alcune difficoltà finanziarie). Sandra è imbacuccata in un maglione pesante. È bendisposta verso la ragazza che l’intervista, ma il colloquio non può continuare a causa della musica assordante, sparata dal marito dalla mansarda. Sandra non si arrabbia e annuncia di doversi ritirare in camera a fare delle traduzioni. Suo figlio, ipovedente, esce per una passeggiata con il cane e al suo ritorno trova il padre disteso a terra nella neve, in una pozza di sangue (la musica terribile nel frattempo è cessata). Sandra, invocata dal figlio, chiama i soccorsi, ma l‘uomo è morto e l’autopsia si chiude con un referto ambiguo: la ferita in testa, mortale, potrebbe essere tanto accidentale quanto inferta con rabbia o intenzione.
Così Sandra da testimone diventa indagata e inizia così il processo, che si traamuta presto nell’anatomia della vita di una coppia, che viene scandagliata nei minimi dettagli, alla presenza in aula del piccolo e coraggioso Daniel. Il PM sembra un inquisitore d’altri tempi, intenzionato a far emergere, dai panni di una Sandra dimessa, mansueta, addolorata, la mantide religiosa, la strega in competizione con il marito, ugualmente scrittore, ma senza fortuna, la traditrice, la vendicativa (per rancore verso il marito, responsabile, per incuria, dell’incidente che aveva causato la cecità del bambino).
La difesa fa sua parte, ma sembra in difficoltà, anche perché accadono diversi colpi di scena che tengono sulla corda il pubblico del processo e lo spettatore. Di fronte al tema di fondo (per altro molto attuale, se ne estendiamo la portata - l’intreccio tra apparenza e realtà, ovvero tra finzione e verità), la conclusion non azzera i dubbi. Manca, volutamente, una profonda catarsi liberatoria.
Questo bel film di Justine Triet deve molto all’espressività di Sandra Huller, sottolineata da molti primissimi piani in stile Bergman. Palma d’oro meritata al festival di Cannes.
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